Riportato da “Il Lavoro”,
quotidiano genovese dell’epoca, 1-4-1980
BRIGATE ROSSE (simbolo e scritta a mano)
Venerdì 28 marzo
1980 quattro compagni delle Brigate Rosse sono stati uccisi dai mercenari di
Dalla Chiesa. Dopo aver combattuto, e trovandosi nell’impossibilità di rompere
l’accerchiamento, dopo essersi arresi, sono stati trucidati. Sono caduti sotto
le raffiche di mitra della sbirraglia prezzolata di regime i compagni:
Roberto,
operaio marittimo, militante rivoluzionario praticamente da sempre, membro
della direzione strategica della nostra organizzazione. Impareggiabile è stato
il suo contributo nella guerra di classe che i proletari in questi anni hanno
sviluppato a Genova. Dirigente dell’organizzazione dall’inizio della
costruzione della colonna che oggi è intitolata alla memoria di Francesco
Berardi, con generosità e dedizione totale ha saputo fornire a tutti i compagni
che hanno avuto il privilegio di averlo accanto nella lotta un esempio di
militanza rivoluzionaria fatta di intelligenza politica, sensibilità,
solidarietà, vera umanità, che le vigliacche pallottole dei carabinieri non
potranno distruggere.
Cecilia:
si guadagnava da vivere facendo la segretaria. Come a tutte le donne proletarie
la borghesia aveva destinato una vita doppiamente da sfruttata, doppiamente
subalterna e meschina. Non ha accettato questo ruolo aderendo e militando nella
nostra organizzazione, dando con tutte le sue forze un enorme contributo per
costruire una società divera, dove la parola donna e la parola proletario non
significano sfruttamento.
Pasquale:
operaio della Lancia di Chiasso. Antonio: operaio della Fiat e dirigente della nostra
organizzazione.
Sempre alla testa
delle lotte della fabbrica e dei quartieri nei quali vivevano. Li hanno
conosciuti tutti quegli operai e proletari che non si sono piegati all’attacco
scatenato dalla multinazionale di Agnelli e dal suo Stato. Proprio perché vere
avanguardie avevano capito che lottare per uscire dalla miseria, dalla cassa
integrazione, dai ritmi, dai cottimi, dal lavoro salariato, vuol dire
imbracciare il fucile e
organizzare il potere proletario che sappia liberare le forze per una società
comunista. Imbracciare il fucile e combattere. Questi compagni erano
consapevoli che decidendo di combattere avrebbero affrontato la furia omicida
della borghesia e che avrebbero potuto essere uccisi. Ma la certezza che combattere per
la vita, per la libertà in una posizione d’avanguardia, in prima fila,è
un compito che i figli migliori, più consapevoli, del popolo, devono assumere
su di sé per poter rompere gli argini da cui il movimento proletario spazzerà
via la società voluta dai padroni. Per loro, come per molti altri operai, la
scelta è stata molto precisa: combattere e vincere con la possibilità di
morire; anziché subire e morire a poco a poco da servi e da strumenti usati da
un pugno di sciacalli per accumulare profitti.
Oggi Roberto,
Pasquale, Cecilia, Antonio, sono caduti combattendo. È grande il dolore per la
loro morte, non riusciamo ad esprimere come vorremmo quel che sentiamo perché
li hanno uccisi e non li avremo più tra noi. Ma nessuno di noi ha piato, come
sempre quando ammazzano dei nostri fratelli, e la ragione è una sola: altri
hanno già occupato il loro posto nella battaglia. Proprio mentre ci tocca lo
strazio della loro scomparsa e onoriamo la loro memoria, si rinsalda in noi la
convinzione che non sono caduti invano come non sono caduti invano tutti i
compagni che per il comunismo hanno dato la vita. Alla fine niente resterà
impunito.
Per il
comunismo
Brigate
Rosse
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Annamaria Ludman,
Cecilia, nata a Chiavari (GE) il 9 settembre 1947
Lorenzo Betassa,
Antonio, nato a Torino il 30 marzo 1952
Piero Panciarelli,
Pasquale, nato a Torino il 29 agosto 1955
Riccardo Dura,
Roberto, nato a Roccalumera (ME) il 12 settembre 1950