PER CAPIRE LE
”VISIONI” DI PAOLO DORIGO
di Mario Cossali
E’
una vecchia storia quella della ricerca dell’assoluto nell’arte, nel duplice e
pur tuttavia strettamente intrecciato senso, della ricerca della verità, della
luce che ci manca e nel senso dell’ absolutum, di ciò che non è condizionato,
che è libero, sciolto, appunto, da condizionamenti e nel caso dell’arte
pittorica libero da riferimenti iconici o ancor più da riferimenti formali in
qualche modo riconoscibili. Si sono ripetute sotto questo segno le più diverse
esperienze creative e francamente sembrerebbe già tutto detto e già tutto
visto, se insistessimo pervicacemente nel ragionamento di partenza, ma se
invece partiamo dalla concreta Erlebniss del pittore, dalla sua capacità
rappresentativa, dall’unicità del suo linguaggio, ci accorgiamo che il viaggio
dell’arte non ha mai fine, che l’arte, come Dio, non muore, anche se si traveste con infiniti
travestimenti e ci viene incontro nei momenti più inaspettati, sorprendendoci
nella nostra apatia, concettuale ancor prima che sentimentale.
Paolo Dorigo sorprende innanzitutto per la sua
coerenza compositiva, per l’ostinata e calda tensione verso forme che
comprendono e non escludono, verso forme, che rappresentano sia l’interno che
l’esterno e dicendo questo mi riferisco sia alla soggettività psicologica, sia
alla fisicità nella sua doppia accezione biologica e meccanica.
Sappiamo che ogni arte e dunque anche la
pittura vince per così dire la sua
scommessa pascaliana quando riesce a costruire una visione, nella quale entrano
gli elementi più diversi e imprevedibili della realtà, in particolare i buchi
neri , le angosce, le domande senza risposta, le gioie inarrivabili nella
ripetizione.
Le visioni di Paolo Dorigo ci immergono in una strana e seducente liquidità che ci permette
di entrare in sintonia con il mondo o forse meglio con quei brani più nascosti
e meno decifrabili con i soliti occhi e con normali, pur raffinati ed
approfonditi, criteri interpretativi, del lungo racconto del mondo, quello che è
parte di noi e che allo stesso tempo si svolge al di là dei nostri orizzonti di
dominio fisico, affettivo e conoscitivo.
Insomma la liquidità coloratissima di Paolo Dorigo
ci copre, ci avvolge, quasi ci nasconde, ma paradossalmente ci permette di
vedere ciò che normalmente non riusciamo a vedere, spesso nemmeno a sospettare.
A questo punto del ragionamento pare evidente l’inutilità di interrogarsi sul preteso astrattismo di questa pittura; non mi pare che si ponga nella scia delle aspirazioni metafisiche, rosminianamente collegate all’idea dell’essere, teorizzate con lucidità da Carlo Belli nel suo Kn di settanta anni fa; mi pare piuttosto che le geometrie non euclidee di Paolo Dorigo, le sue reti e i suoi tappeti volanti appartengano proprio ad un altro regno, abitato dalle passioni e dai turbamenti:
Ancora una volta però dobbiamo capirci, evitare
pregiudizi e fraintendimenti: se si parla di emozioni e di passion de l’ame non
si deve pensare bandito da esse nella pittura il rigore formale e l’amore
paziente della e per la costruzione.
La pittura di Paolo Dorigo secondo me è questo, né
action painting, né metafisica geometria; ma un tentativo affascinante di
contenere l’esperienza vitale dentro un cerchio che in certo qual modo la
“salvi” e la ispezioni, spingendo al massimo grado le possibilità interpretative.