Turchia e Kurdistan - Il Protocollo tra DHKP-C e PKK e gli Sviluppi, da “ Devrimci Sol, Revolutionary left against imperialism and oligarchy, revolutionary Review About Turkey and Kurdistan ”, maggio 1998 (pag. 29);

- Intervento del DHKC al festival culturale di West Belfast nell’agosto 1998 (pag. 40);

-  Lettera da un Carcere Turco di una Militante DHKP-C (inizio di novembre 1998) (pag. 47);

- -  Rapporto di Dursum Karatas (Segretario Generale) al Congresso di Fondazione del DHKP-C, ddel 1994, opuscolo in lingua inglese (pag. 49);

- Due Anni Dopo lo Sciopero della Fame Fino alla Morte La Storica Vittoria dello Sciopero della Fame Fino alla Morte Anche Oggi Chiarisce i Fronti e i Percorsi della Lotta Rivoluzionaria, da “ Devrimci Sol, Revolutionary left against imperialism and oligarchy, revolutionary Review About Turkey and Kurdistan ”, n.12, ottobre 1998 (pag.271).

- I Nemici del Popolo Discutono dell’Amnistia Per i Prigionieri, da “ Devrimci Sol, Revolutionary left against imperialism and oligarchy, revolutionary Review About Turkey and Kurdistan”, n.12, ottobre 1998 (pag. 276);

 

Turchia

 

Il Protocollo tra DHKP-C e PKK e gli Sviluppi

 

La Lotta Progredisce Con le Alleanze, nella Pratica Quotidiana, Non Con la

Propaganda

(traduzione dall’inglese da “Devrimci Sol, Revolutionary left against imperialism and oligarchy, revolutionary Review About Turkey and Kurdistan”, n.11, maggio 1998)

Il protocollo tra DHKP-C e PKK era stato discusso, firmato e presentato all'opinione popolare, alla fine del 1996, col titolo: "Questo è il nostro appello per costruire il Fronte rivoluzionario" ed era diventato motivo di paura per l'oligarchia e di gioia e di nuove aspettative per i democratici e i rivoluzionari.

Il periodo a partire da quel momento chiaramente non ha dato una risposta a queste aspettative. Ovviamente ciò si

può valutare da diverse angolazioni. Però i responsabili di questa incapacità continuano a criticare e ad approcciarsi alle sinistre in Turchia (per usare le 1oro parole: “sinistra turca”) con superiorità per quanto riguarda il concetto di unità, come se queste non esistessero e come se essi non avessero alcuna responsabilità. Questa è una questione che andrebbe discussa separatamente.

Ad esempio, recentemente, l' ARGK, nell'ultimo numero dalla rivista Alternatif, ha affermato: “Il nostro approccio verso questa forza (DHKP-C)  si basava sul concetto di unità.  Le loro deficienze nella conoscenza della lotta li mantengono lontani dall'unità.  In particolar modo - nonostante la guerra in Kurdistan, i suoi effetti sulle masse e pure i recenti miglioramenti in Turchia - la loro inattività, al di là dell'organizzazione di un fronte, ha creato disagio perfino fra i loro quadri. Ma insistono ancora nel loro noto atteggiamento e linea senza badare a tutto ciò. In effetti, il primo principio del marxismo è di prendere  parte alle più ampie unità.  A questo punto non possono nemmeno tollerare la nostra presenza in Turchia. Dato che si definiscono “democratici e rivoluzionari”, dovrebbero partecipare alle unità regionali e locali - se non altro”. (Alternatif, gennaio-febbraio 1998, n.6-7).

Il Fronte rivoluzionario è la necessità della rivoluzione in Turchia. In un modo o nell'altro verrà costituito: non cambieremo idea su questo punto. Nella lotta e nella guerra non vi è posto per il disaccordo. Se stavolta non ci siamo riusciti, ci proveremo di nuovo. Proseguiremo la lotta contro quell'atteggiamento che ha un impatto negativo sulle unità e sui fronti. Ciò dimostra la nostra perseveranza e determinazione riguardo all'unità.

Osserviamo questo passaggio (di Alternatif). Non c'è traccia dell’ “Appello al Fronte rivoluzionario”. Inoltre si dice: “Dovrebbero partecipare alle unità regionali e locali”. Noi abbiamo dichiarato proprio di poter andare oltre questo punto: perché il comandante, che parla per l' ARGK, ignora questo fatto ?

Perché all'ordine del giorno dell' ARGK, dell' ERNK o del PKK non è contemplata l'idea o la formazione di questo genere di unità: il Fronte rivoluzionario.

Chiunque affermi che noi non partecipiamo alle unità dovrebbe leggersi di nuovo il protocollo.

Chiunque l'abbia dimenticato o non gli abbia prestato sufficiente attenzione, dovrebbe riguardarlo. Che cosa abbiamo detto? Che cosa è successo? Perché il protocollo non ha funzionato?

1. Abbiamo dato la nostra parola di costruire il Fronte rivoluzionario. Abbiamo raggiunto un accordo per avviarlo e costruirlo. Abbiamo dichiarato e firmato che: “Siamo pronti a mostrare l’impegno e il sacrificio necessari”. Questo comprendeva tutte le aree di lotta. Certamente il Fronte rivoluzionario non si sarebbe creato con le intenzioni ma con dei passi concreti, con organizzazioni e istituzioni che comprendessero la vita e la pratica. A questo punto sono sopraggiunti i problemi.

2. Per prima cosa si sarebbe dovuto formare un comitato unitario, che avrebbe controllato e assicurato la realizzazione del protocollo. Ciò era stato posto all'ordine del giorno subito dopo la definizione del protocollo e si era raggiunto un accordo. La decisione riguardava come e dove sarebbe stato formato. Il PKK ha chiesto un mese e mezzo per organizzare il luogo. Ci siamo trovati d'accordo. Ci ha impiegato un anno e niente è stato fatto. Le nostre domande: “Che cosa è successo ? Perché non si è iniziato?” non hanno cambiato nulla. E le nostre domande sono tuttora senza risposte.

L'unità per la costruzione di un Fronte rivoluzionario è una questione seria. In una situazione in cui le questioni concordate non vengono portate avanti e non ci si preoccupa di spiegarne le ragioni, questa serietà scompare.

3.     Nonostante ciò, abbiamo voluto compiere dei passi avanti nelle aree. Ci siamo impegnati in questo. Il PKK non ha voluto l'unità in quasi nessuna area.

Inoltre, nel protocollo affermavamo: “La  nostra alleanza, che mira alla formazione e allo sviluppo dell’ unità del fronte tra i nostri popoli, assicura... lo sviluppo delle organizzazioni collettive e della lotta contro il nemico comune, per 1'interesse dei nostri popoli e della rivoluzione, in tutte le istituzioni legali, nei sindacati, negli ordini professionali, nelle fila democratiche come le associazioni, fra i lavoratori e dipendenti statali, nella stampa e nel fronte culturale, nei villaggi, fra la gioventù studentesca, nelle carceri, nelle zone residenziali e all'estero, dove i nostri partiti dirigono o partecipano”.

Con grosse difficoltà è stato firmato un protocollo per le  aree dei lavoratori e dei dipendenti statali. Anche questa è stata una vera commedia. Comunque, il PKK ha voluto inserire nel testo del protocollo la parola “pace". Si è giunti al punto in cui sono state inserite le parole "lotta pacifica". Poi non hanno seguito nessun principio o concetto di questo protocollo, non hanno mantenuto le promesse fatte al Congresso generale del SES [Sindacato dei lavoratori della sanità]. Violando gli accordi, hanno rifiutato l'alleanza rivoluzionaria per la bramosia di non possedere delegazioni. Quando abbiamo chiesto loro un'autocritica sono diventati più ostinati: nessuno ha voluto assumersene le responsabilità. "I lavoratori patrioti" del Maliye-Sen (Sindacato dei lavoratori delle istituzioni del Ministero delle finanze) hanno rifiutato l'alleanza dichiarando che per loro il protocollo non aveva alcun significato: per loro anche la non serietà costituiva un problema. Nel Genel-Is (Sindacato generale dei lavoratori) hanno firmato la decisione di liquidare il protocollo. Al Congresso del DISK (Confederazione dei sindacati dei lavoratori rivoluzionari) non c'è stata unità sull' eliminazione del MGK (Consiglio nazionale di sicurezza) all'interno del DISK.

4. L'impegno per l'unità dei giovani è stato abbandonato senza successo. Hanno detto: “Anche ciò che loro affermano può essere o non essere accettato” e alla fine questo non è avvenuto. La concezione era: tutto si sviluppa attorno a loro. Tutto ciò che sta al di fuori di questo è errato.

5. Non hanno fatto niente per dar vita ai Consigli popolari e non vi hanno nemmeno partecipato. Questo è ciò che abbiamo affermato nel protocollo: “Miriamo alla diffusione dell'alleanza all'interno di tutte le aree. Alla luce dei concreti compiti attuali, per organizzare l'opposizione democratica dei nostri popoli consideriamo nostro dovere e scopo lo sviluppo di un consiglio, che includerà tutte le forze, per far sì che i nostri popoli siano in grado di partecipare e di decidere mediante questi consigli, per creare la possibilità di autodeterminazione e dunque per dar vita ai Consigli popolari locali in tutte le aree, dalle più piccole zone residenziali alle più grandi metropoli”. L'intera opinione popolare rivoluzionaria è testimone del fatto che da quel momento in molti luoghi i Consigli hanno cominciato a lavorare, ma che il PKK non vi ha partecipato, comprese quelle aree in cui era presente, e che in alcuni luoghi, dove ha mostrato un atteggiamento poco serio, non era chiaro se vi partecipava o meno.

6. Scrivere una nuova Costituzione e far sì che il popolo la facesse propria, è stata una nostra idea collettiva. Anche nel protocollo questo aspetto veniva affrontato: “... E' nostro compito preparare il progetto di Costituzione, che abbia per scopo la conquista dell'indipendenza e della democrazia, che il popolo faccia proprio lavorando alla partecipazione di tutte le organizzazioni antimperialiste, antifasciste e di tutti gli individui che esigono la  libertà e la giustizia”. Abbiamo preparato il progetto di Costituzione e lo abbiamo dato loro. Hanno detto di non avere obiezioni, solo che il diritto all'autodeterminazione delle nazioni doveva essere più dettagliato. Non c'erano problemi. Al momento di proseguire la campagna, non se ne sono interessati. Nel corso del dibattito, per esempio, hanno detto: “Siamo occupati. Questo non è il nostro lavoro attuale, fatelo voi”. E non erano sicuri nemmeno gli interlocutori con i quali discutere: in quasi  tutti i contatti i responsabili cambiavano. Il/la nuovo/a arrivato/a diceva di non sapere. Alcuni di loro hanno addirittura detto: “I Consigli popolari? Che cosa sono ?”.

7. Abbiamo fatto delle proposte sull'organizzazione pratica collettiva. Questo chiaramente avrebbe fatto progredire il protocollo. Ad esempio, all'ordine del giorno c'era l'occupazione dell' oligarchia in Irak. Abbiamo proposto di fare qualcosa insieme: non hanno accettato.Abbiamo proposto di celebrare il Newroz [il 21 marzo, è una festività dei kurdi, ndT] insieme: non hanno accettato.

8. Abbiamo proposto di organizzare collettivamente la lotta dei prigionieri in carcere: non hanno accettato. In effetti, il PKK (agli alti livelli) ha proposto di dar vita a "Comitati unitari di resistenza" nelle carceri. Abbiamo chiesto loro in che modo pensassero di fare questa cosa: niente. In seguito abbiamo proposto che fosse l'interno delle carceri a dover discutere e che si sarebbe realizzato un modello organizzativo collettivo. Nelle carceri c'è stata la discussione e alla fine i prigionieri del PKK hanno detto: “Non vi sono punti comuni d'accordo nelle carceri”.

In risposta al documento dei prigionieri del DHKP-C, la struttura centrale delle carceri del PKK ha affermato: “1nnanzitutto il nostro approccio al carcere e al ruolo previsto per il carcere: abbiamo due concezioni ben diverse dell'azione e del ruolo previsto per il carcere. (...) E' assai difficile formare, su questa base, una piattaforma collettiva e un centro di coordinamento. Non riteniamo realistica la vostro proposta di dar vita ad un centro di coordinamento di tutte le carceri, né che funzioni”.

E così, anche se nel documento si diceva: “Nel corso dei meeting centrali una vostra proposta riguardava i comitati unitari di resistenza, ma non avete detto come formarli”, nella risposta non c'era alcun riferimento a ciò. E allora, perché hanno fatto quella proposta?

9.     Questo è quanto dimostrano gli sviluppi: che tutte le loro parole servono alla propaganda, che vivono di parole e che non possono essere uniti con nessuno. I loro articoli pubblicati, come ad esempio “Uniamoci e diamo vita ad un quartier generale collettivo", servono alla propaganda. Di questa propaganda, quella più impressionante è data della frase ripetuta frequentemente: “Chiunque voglia qualcosa, noi gliela daremo”. Di fatto, il PKK non si unisce a nessuno in questo genere di rapporti. Il PKK vuole soltanto forze utili che lo sostengano e che si sviluppino attorno ad esso.

Questa è la realtà che viviamo concretamente. Prima del protocollo, in una zona di guerriglia, stavamo attraversando grosse difficoltà. Il PKK parlava di nuovo dai più alti livelli. Abbiamo chiesto delle cose minime, se volessero un pagamento per le spese, se volessero un prestito o solidarietà. Non ci hanno nemmeno risposto.

Inoltre, dopo un po' di tempo, nella stessa zona due nostri combattenti sono fuggiti con le armi. Il PKK ha preso quelle armi e non ce le ha restituite. Le abbiamo richieste: è trascorso un anno e non ci hanno ancora risposto.

Dove sono la solidarietà, i rivoluzionari e i princìpi ?

Se la situazione è questa, che cosa e come faremo insieme le cose ?

Il PKK si troverebbe a proprio agio se dicessimo: “Se volete potete guidare le nostre truppe”, “Condividiamo i delegati nel tal posto”, ecc. La realtà della politica e dell'organizzazione non è questa. Va ricordato che bisogna essere realistici, ma loro investono nella propaganda.

10. Le organizzazioni legali attorno al PKK hanno voluto stare con i riformisti, come l' ODP, e non hanno voluto farsi vedere insieme ai rivoluzionari. Non c'è stata dunque nessuna alleanza d'azione. Tutte le nostre insistenze non hanno dato risultati.

L'alleanza nelle aree legali e democratiche, anch'essa prevista dal protocollo, è diventata impossibile in seguito a questa politica. Su questo tema non è stato possibile giungere ad alcuna risoluzione politica e la firma del protocollo non ha avuto nessuna importanza in queste aree. Il problema principale non è tanto il non riconoscimento del centralismo in queste aree, quanto la riluttanza del loro centro verso l'unità e la collettività.

11. Il PKK ha detto: “Pubblichiamo un quotidiano e utilizziamo la TV”, ecc. Abbiamo risposto: va bene, proponete un progetto e discutiamone. Nel momento in cui abbiamo richiesto concretezza, l'argomento è stato dimenticato. In realtà il PKK vuole solamente "manovali" e non la condivisione o l'amministrazione collettiva.

12. Siamo stati aperti e abbiamo preso seriamente tutti gli argomenti e le parole. Tutte le volte che è stato necessario, riguardo alcuni temi, abbiamo detto loro che si sbagliavano o che avevano informazioni errate, dando quelle esatte. Abbiamo detto: se si presenta un problema, chiedetecelo prima.

Come se niente fosse, siamo stati venduti in TV: hanno preparato e trasmesso dei programmi televisivi che adulavano e si complimentavano con Sabanci; le nostre azioni venivano presentate come sospette. Quando il nome di un paese del Medio Oriente è stato menzionato e collegato alla cattura di Mustafa Duyar, loro, presi dal panico, hanno elogiato quel paese: di nuovo siamo stati venduti.

13. Ci hanno proposto un programma televisivo per il 30 marzo: abbiamo accettato ed è stato preparato.  Due giorni dopo, senza chiederci un parere, la trasmissione è stata cancellata. La ragione era ovvia: qualsiasi cosa doveva riguardare loro. Poi questo programma è stato archiviato e ne è stato preparato un altro con 3-5 riformisti poco attendibili: la trasmissione ha parlato del 30 marzo usando questi riformisti come veline e mettendo il PKK in primo piano. E' possibile intendere l'unità in questo modo?

14. Un fronte rivoluzionario consiste anche di forze armate, di guerriglia. Ma la realtà è che chi non è in grado di stabilire l'unità nei lavori minori non potrà mai stabilirla nella guerriglia. Le alleanze che si dice siano avvenute non hanno niente a che fare con le vere e proprie alleanze e con i fronti. Tutto questo è ovvio. Si è parlato di "Forze unite":non c'è niente di tutto ciò. Ci sono soltanto alcune persone del TDP (Partito dalla rivoluzione della Turchia) che non vengono neanche menzionate.

Molte azioni compiute nella regione del Mar Nero e dei monti del Tauro, nelle pubblicazioni del PKK vengono attribuite all' ARGK, ma in un numero recente dalla rivista Alternatif, in una "conversazione alla radio", si dice che queste azioni sono state compiute dalle Forze unite. Ad esempio, sull' Ulkede Gundem (L'agenda del paese) e sull' Ozgur Politika (Politica libera) del 17-18 agosto, è stato pubblicato che a Mesudiye/Ordu la guerriglia ha organizzato un'azione contro un posto di controllo e che un poliziotto era stato colpito. L'articolo era intitolato: "La guerriglia dell' ARGK ha intensificato le attività nella regione del Mar Nero...”. La stessa azione è stata attribuita alle Forze unite nel numero di novembre-dicembre 1997 di Alternatif. Vi sono decine di esempi come questo. La maggior parte delle azioni attribuite su Alternatif alle Forze unite, sulle pubblicazioni di massa vengono attribuite all' ARGK. Qual’è Io scopo ? Sulle pubblicazioni di massa risultano dell' ARGK e su altre pubblicazioni delle Forze unite. E' possibile ed è serio questo genere di unità ? E dopo questo, si afferma che non esistono ancora una formazione e un programma delle Forze unite. Nel novembre 1997, mentre su Alternatif le azioni venivano attribuite alle Forze unite, sulla rivista Yurtsever Genclik (Gioventù patriota) Semdin Sakik ha scritto: “I1 nome di questa organizzazione non è stato ancora annunciato, ma ciò accadrà”. Queste cose non sono serie.

Anche il DHP viene menzionato quale partecipante alle Forze unite, ma un'organizzazione che si chiama DHP di fatto non esiste. Il PKK, al fine di allargare la propria area di manovra, utilizza questo nome mediante alcuni dei suoi uomini. Questa è una strada pericolosa che mette a repentaglio il concetto di unità. Non è una cosa tanto difficile: chiunque può formarvi all'interno "organizzazioni" e usare questi nomi. I rivoluzionari non ingannano se stessi.

15. All'inizio dell'articolo di Alternatif si afferma: “Da 4-5 anni il DHKP è presente nelle zone di Ovacik e Dersim. Abbiamo operato insieme. Abbiamo trascorso l'inverno insieme...”. Commenti poco seri. Nello stesso modo in  cui hanno annunciato le "Forze unite" e comodamente attribuito all' ARGK le azioni, così hanno anche detto ciò che gli pareva senza prendersi le responsabilità e fornire spiegazioni. L'annuncio della nostra presenza a Dersim negli ultimi 4-5 anni è dovuto ad incoscienza  oppure ad un atteggiamento di voler sminuire i fatti. Da 8 anni, dal 1991, i nostri guerriglieri sono presenti a Dersim, ma quanto è scritto in quelle righe: “Abbiamo trascorso l'inverno insieme” non ha niente a che vedere con Dersim. Il succitato "stare insieme" riguardava Tokat: a causa delle operazioni di polizia a Sivas, erano giunti a Tokat; durante un incontro casuale avevano detto di non avere relazioni e avevano chiesto aiuto: gli si è procurato ogni genere di facilitazione, compreso un rifugio. (Le fotografie di questo rifugio sono state anche pubblicate sui media). Iniziato il rapporto con noi, ad un certo punto si sono addirittura presentati ai contadini come guerriglieri del DHKP-C invece di dire la loro vera identità. Come può un'organizzazione usare il nome di un'altra ? Che genere di coscienza è questa ?

16. In un'intervista all' ARGK, hanno detto di averci aiutato. Questo tema è stato ripetuto in diversi altri articoli e discorsi. Dovrebbero spiegare in che modo hanno dato questo aiuto. Queste critiche sono state dette e scritte molto spesso. Ripetiamo: questo non è corretto. Se [attorno] vi è una richiesta diversa, dovrebbero dare spiegazioni.

17. Il programma del PKK di “estensione alla Turchia” non è nuovo. A questo proposito la critica: “La sinistra non è stata in grado di fare, abbiamo aspettato, e adesso facciamo noi” è errata. Fin dal 1990 avevano all'ordine del giorno la formazione di un'organizzazione per la Turchia e lo sviluppo del DHP: non ci sono riusciti. La funzione del DHP non è stata soltanto quella di fare propaganda per il PKK, ma anche di ingiuriare la sinistra, soprattutto noi, nello stile del PKK: non avevano nessun altro lavoro significativo da fare. In quel periodo, quando la nostra organizzazione stava affrontando un conflitto interno, hanno sfacciatamente invitato dei nostri militanti nelle loro fila e hanno usato lo stesso modo del nemico nell'annunciare “la fine di DS”. Una coscienza davvero opportunista e rozza. Naturalmente il DHP non può svilupparsi all'interno della logica del PKK e non può nemmeno raggiungere una linea originale. L'unica sua funzione è quella di far pubblicità al PKK. O c'è il PKK o il DHP: entrambi non possono esistere. E’ stata ridicolizzata la stessa conoscenza dell’ex-PCUS.

18. Il PKK non partecipa a nessuna associazione a meno che non la controlli e non vuole nemmeno un rapporto basto sull'uguaglianza. Vuole l'incarico e il controllo: queste sono le condizioni per far sì che un'alleanza con il PKK progredisca. Se il PKK non ne ha il controllo, allora accordi e firme diventano nulli.

Hanno affermato: “Realizziamo l'unità amministrativa”. Non si sa come potrà realizzarsi e funzionare. Quando abbiamo detto di renderla concreta sono stati in silenzio. Conosciamo e ne viviamo gli esempi.

Il protocollo esiste: applichiamolo. Perché non è stato applicato? Discutiamone, prendiamoci le responsabilità e ricominciamo.

Di chi è la responsabilità ?  Quali sono i limiti di autorizzazione ? Definiamoli; rendiamo dettagliati e concreti i programmi sul modo in cui verrà formato il Fronte rivoluzionario in tutte le aree. Per quanto ci riguarda, non vi sono ostacoli su questo. Abbiamo fatto i passi necessari e siamo pronti a compierne altri. Ma dei passi senza risposte non possono proseguire solo da una parte.

E' stata proposta l'idea di un "congresso della sinistra". Abbiamo risposto che non era realistica, ma di portarla avanti ugualmente se volevano: se il risultato sarà positivo e si stabilirà l'unità, allora si farà quanto necessario. Non sono avanzati nemmeno di un passo: chi non riesce a costruire l'unità con noi, non riesce a costruirla con nessuno.

19. A livello di relazioni internazionali, il PKK non mostra un atteggiamento solidale, diffondendo continuamente la politica delle calunnie degli altri e soprattutto nei nostri confronti. Il bollettino che hanno distribuito nel luglio 1997 al Festival della gioventù internazionale a Cuba ne è un impressionante esempio: “I rivoluzionari turchi non sono stati in grado di liberarsi dall'ideologia ufficiale dello stato turco, il kemalismo. Non hanno la forza di farlo e perciò sono prigionieri dello sciovinismo. Stanno dalla parte dello stato turco e si dimenticano delle loro responsabilità internazionaliste verso la guerriglia kurda. (...) Nel frattempo le sinistre in Turchia hanno formato una base per i colpi di stato militari che hanno avuto luogo ogni dieci anni... Vogliamo innanzitutto criticare questa realtà. Il kemalismo è un fascismo celato, amministrato dagli imperialisti occidentali: il suo compito è quello di organizzare massacri di Armeni, Greci e Kurdi e di proteggere il sistema capitalista.  Se le sinistre in Turchia non sono in grado di capire questo, non possono assumersi le loro responsabilità internazionaliste”.

Sono possibili uno stile e una logica simili che vedono la "sinistra turca" in questo modo ? Il PKK a parole non esita a calunniare e a fare tali osservazioni, mentre la realtà è ovvia: in tutte le aree le parole di aiuto, la solidarietà e l'affermazione: “Chiunque voglia qualcosa, noi gliela daremo” sono soltanto un inganno.

20. Molto spesso la politica della leadership del PKK è volta a sminuire la sinistra turca. Questa logica ha parecchie conseguenze, tra cui la perenne ricerca di un'unità che le sia d'ausilio, poiché essa vede nella sinistra turca soltanto delle forze da amministrare e dirigere. Questa logica viene utilizzata anche per dare dei messaggi all'oligarchia. In un'intervista del giornale Cumhuriyet (La Repubblica), ad Ocalan è stata posta la seguente domanda: “Si parla di un protocollo tra PKK e Dev-Sol. Dev-Sol è un'estensione del PKK nelle città ?”. Ocalan ha risposto: “In genere, il tipo di ambiente che ho creato ha dato alla sinistra la possibilità di respirare. Ma è un'esagerazione affermare che a Dev-Sol si diano consapevolmente degli incarichi. E' giusto che Dev-Sol si rafforzi con noi, ma non gli impartiamo direttive come ad esempio l'uccisione del tal dei tali. Questo lo specifico chiaramente. Potevamo usarli completamente. La sinistra turca è indietro...”. (Cumhuriyet, 7-12-1997, Semin Idiz).

Il significato è chiaro: “Non danno consapevolmente degli incarichi a Dev-Sol” ma possono farlo, cioè lo possono dirigere. Il PKK è pronto ad un accordo con lo stato ed esso ha anche il potere di incidere su Dev-Sol: lo stato dovrebbe approfittare di quest'occasione ! Questo è quanto è stato detto.

Ecco un'altra intervista ad Ocalan fatta da IHA, non trasmessa da IHA ma da MED-TV: “Il defunto Ozal aveva un desiderio che apprezzo: dovremmo farne l'argomento del giorno. Anche Erbakan compie qualche passo: anche questo dovrebbe essere all'ordine del giorno. Ci sono persino delle voci nell'esercito che andrebbero chiarite, malgrado tutti i miei reali sentimenti, per il bene della Turchia. Ho instaurato rapporti con la sinistra turca, anche con Dev-Sol e simili. Credo nella necessità di inserirli nell' arena politica: ci sono molti gruppi così. Voglio usare la mia influenza per risolvere tutti i loro problemi entro i confini della democrazia. Qualcuno non dovrebbe sentirsi a disagio per questo”.

Cioè: chi trascina e dove? Chi impartisce incarichi e a chi? Tutto ciò non esiste e, cosa ancora più importante, è dannoso. Non si possono usare i rapporti con le organizzazioni rivoluzionarie come strumento per dar messaggi alla borghesia.

21. Il modo di approcciarsi del PKK, che vede le altre organizzazioni come forze da dirigere e amministrare, è largamente diffuso anche tra i suoi seguaci. Ognuno di loro si crede un maestro e gli altri i rozzi a cui impartire ordini. Le parole non hanno alcun significato: qualunque cosa si affermi oggi, domani verrà negata dicendo: “Dimenticala e guardiamo al futuro... Occupiamoci di quel lavoro”; poi verrà qualcun altro che negherà queste ultime parole. Cercheranno cioè di coinvolgere gli altri a fare qualsiasi cosa abbiano all’ordine del giorno, poiché li considerano dei semplici sostenitori.

22. La diffusione della guerriglia sulle montagne del nostro paese costituisce una minaccia all'oligarchia. Essa ovviamente costituisce una delle azioni necessarie per superare gli ostacoli della guerra di classe e per sviluppare la rivoluzione, ma è altrettanto ovvio che porre tale questione soltanto per fini “tattici” non darà risultati nello sviluppo della rivoluzione. L'attuazione dell’ “estensione alla Turchia” per il PKK è l'estensione alla regione del Mar Nero e la mostra come se fosse una prova, ma il PKK non ha forze significative in questa regione. L'oligarchia, al fine di intensificare l'oppressione,  presenta l'attuale situazione in maniera esagerata, e ci riesce pure.

23. La loro critica riguardo l'estensione “strategica” e non “tattica” al Mar Nero e ai monti del Tauro significa il fallimento della principale tesi strategica del PKK.

La tesi del colonialismo è fallita e l' estensione alla Turchia ne è una conseguenza.

Come abbiamo detto, l"'estensione alla Turchia” non è un nuovo concetto del PKK, ma è una scelta politica, che però non può realizzarsi soltanto inviando guerriglieri su alcuni monti della Turchia. In un'altra area anche le fila del HADEP e del HEP rivendicavano di “avere partiti in Turchia” e di essere organizzati in quasi tutti i centri urbani. Nonostante ciò, non sono stati in grado di estendersi e di restare in Turchia come partiti kurdi, perché non partono dal fatto di essere in Turchia, ma al contrario il loro modo di far politica si limita al nazionalismo kurdo. L'essenza del problema è la medesima in tutte le aree di lotta.

La teoria del colonialismo che proviene della Turchia significa il fallimento della previsione di una rivoluzione separata (e naturalmente di un'organizzazione e una lotta separate). Ora, per nascondere questo fallimento, rivendicano che fin dell'inizio avevano questa prospettiva.

Ad esempio: “I rapporti fra la nostra rivoluzione e la rivoluzione della Turchia non sono come quelli esistenti con gli altri paesi. Il futuro dei nostri popoli risiede nella reciprocità. Questa cd altre ragioni fanno sì e premono affinché la fase dello sviluppo delle nostre rivoluzioni abbia caratteristiche comuni”(14 settembre 1997, Ulkede Gundem, M. Can Yuce). E ancora: “Se ci sarà la rivoluzione, questa avverrà sia in Turchia che in Kurdistan” (Semdin Sakik).

Anche sulla stampa nazionalista kurda si possono leggere osservazioni di questo tipo. Abbiamo detto queste cose per anni, ma sono state ignorate e criticate di ‘kemalismo’. Oggi, poiché vedono la possibilità di un'alleanza con il popolo turco e anche con il popolo greco, le affermano loro e le inseriscono nel programma del partito. Queste odierne valutazioni devono anche rivalutare quelle di ieri, perché, se così non fosse, esse non avrebbero alcuna forza di persuasione e non porterebbero nemmeno all'unità e ad alleanze.

Infine: il protocollo che porta le firme del livello centrale è noto. Finora abbiamo avuto fiducia in tutte le firme e abbiamo dimostrato la stessa fedeltà al protocollo. Tutto quello che abbiamo fatto è risaputo. Malgrado le nostre proposte concrete e la nostra insistenza, anche tutto ciò che il PKK non ha fatto è noto.  Per raggiungere gli obiettivi del protocollo abbiamo quasi rincorso il PKK nelle aree, abbiamo preparato e presentato la Costituzione, abbiamo fatto proposte su questioni pratiche, abbiamo mostrato apertura: in cambio abbiamo ricevuto lo stesso atteggiamento, lo stesso comportamento e la stessa insensibilità che c'erano prima del protocollo.

Abbiamo detto della necessità di discutere dei problemi, ma non abbiamo ricevuto risposte, quindi questa spiegazione è diventata fondamentale.

La firma è stata rinnegata: hanno usato con noi dei metodi che non possono essere usati nei rapporti rivoluzionari.

Visto che l'atteggiamento non cambia, la costruzione del Fronte rivoluzionario diventa impossibile. Si dovrebbero cambiare opinioni e metodi politici.

Il Fronte rivoluzionario è un imperativo categorico per la rivoluzione della Turchia, che sarà costruito in un modo o nell'altro: non cederemo. Nella lotta e nella guerra non vi è posto per il disaccordo.  Se stavolta non ci siamo riusciti, ci proveremo di nuovo. Proseguiremo la lotta contro quell’atteggiamento che ha un impatto negativo sulle unità e sui fronti. Questo dimostra la nostra tenacia e determinazione riguardo il concetto di unità.

(traduzione a cura di una prigioniera politica)

 

Intervento di un rappresentante del DHKP-C al Festival culturale di West Belfast

 

MERHABA, DIA DAOIBH, OLA, HELLO!

Benvenuti al nostro meeting su “La lotta in Turchia e Kurdistan ed i recenti sviluppi nel mondo”.

Innanzitutto trasmetteremo un video sulla resistenza dello sciopero della fame fino alla morte condotta dai nostri prigionieri nel 1996. Poi presenteremo la nostra ideologia ed il modo in cui vogliamo giungere alla rivoluzione nel nostro paese.

Ma prima di iniziare, vorrei invitarvi ad osservare un minuto di silenzio per i martiri della rivoluzione...

“Il ricordo di coloro che hanno sacrificato la vita per la liberazione dei popoli del mondo vivrà nella lotta dei popoli di Turchia e Kurdistan”.

La Turchia è una neocolonia dell'imperialismo ed è governata dai suoi collaboratori. Il regime oligarchico turco è totalmente dipendente a livello politico, militare ed economico dall'imperialismo.

La Turchia è un membro della NATO, di conseguenza sul nostro territorio vi sono circa una decina di basi militari imperialiste. Il FMI e la BM decidono in merito alla nostra economia, alla nostra industria, ai nostri investimenti, al modo in cui dobbiamo impiegare le nostre risorse, ecc. Decidono in merito ai tassi di interesse, all'inflazione, alla svalutazione della moneta turca e persino al salario della classe operaia e dei dipendenti statali.

La borghesia turca, sostenuta dagli imperialisti USA ed europei e dal loro potere militare, continua a governare questo sistema fondato sullo sfruttamento, sulla tirannia e sulla degenerazione.

Il 3 novembre 1996 un incidente automobilistico aveva messo a nudo il vero volto dello stato turco. L'auto coinvolta in quell'incidente trasportava tre importanti individui, oltre a droga ed anni nel bagagliaio.

Il primo era un parlamentare del partito al governo, leader di un clan kurdo, il cui esercito personale, formato da circa 10.000 uomini tutti kurdi, coopera con le forze di sicurezza dello stato per opprimere il popolo e per sporchi affari come il traffico di droga.

Il secondo era uno dei capi della polizia di Istanbul, che aveva organizzato il massacro e l'assassinio di decine di uomini e donne durante la rivolta di Gazi.

Il terzo era un fascista, un boss della mafia, coinvolto nel traffico di droga e condannato dal tribunale come mandante dell'assassinio di dieci studenti ad Istanbul e di quattro membri del TIP (Partito dei lavoratori di Turchia) ad Ankara. Era nell'elenco dei ricercati dall'Interpol ed era in possesso di due passaporti diplomatici rilasciati dalla polizia turca.

Dei tre soltanto il parlamentare era riuscito a salvarsi e poco dopo aveva dichiarato di soffrire di amnesia e di non ricordarsi più nulla. Egli è, ancora oggi, nello stesso partito ed è sempre un parlamentare. Questo incidente mette in evidenza la nitida fotografia della struttura dello stato turco.

Inoltre, come hanno rivelato i governi tedesco e francese, il 70% del traffico di droga in Europa giunge attraverso la Turchia, sotto il diretto controllo dell'esercito e delle forze di polizia turchi. I veicoli blindati vengono impiegati per trasportare la droga in Kurdistan.

La Turchia si trova in una posizione strategicamente e geograficamente molto importante. È un ponte tra i Balcani ed il Medio Oriente che l'imperialismo vuole mantenere sotto il proprio controllo.

Le forze militari imperialiste, le questure, Israele: tutti si sono stabiliti nella regione al medesimo scopo. Recentemente i rapporti tra Israele e Turchia si sono rafforzati. Hanno persino organizzato manovre militari nel Mediterraneo sotto il diretto controllo degli USA. La Turchia era stata la base operativa per la guerra del Golfo. Gli USA, per opprimere i popoli del Medio Oriente, necessitano di queste due regioni sul petrolio e sulle nazioni arabe. Il sionismo israeliano sarebbe isolato e le rivoluzioni si diffonderebbero con conseguenti effetti positivi sui movimenti di liberazione in Medio Oriente.

Qual è dunque la nostra posizione?

Qual è la posizione del DHKP-C riguardo alla liberazione dei popoli, all'imperialismo, al socialismo?

Il DHKP-C è un partito marxista-leninista che conduce una guerra antimperialista ed antifascista per mezzo della strategia della lotta armata in termini politici. Noi pensiamo all'indipendenza, alla libertà ed al socialismo quale vittoria della nostra rivoluzione. Il Partito-Fronte ne assumerà la direzione. Il nuovo stato si chiamerà Repubblica Democratica Popolare e sarà governato dal popolo.

Questo non è un desiderio o un sogno. I popoli di Turchia e Kurdistan sono pronti a governare. Hanno già creato le proprie organizzazioni. I Consigli Popolari sono stati organizzati per la prima volta dal popolo di Gazi subito dopo la rivolta del 1995 ed oggi si sono diffusi in tutto il paese come le principali organizzazioni dei popoli turco e kurdo. I membri dei Consigli Popolari vengono arrestati, torturati, fatti sparire durante il fermo di polizia, ma non hanno mai indietreggiato, né si sono mai arresi.

Da un lato la guerra di guerriglia si sta sviluppando sulle montagne e dall'altro vengono organizzati i Consigli Popolari. Lavoratori, studenti, dipendenti statali, distretti si stanno unendo per formare i propri consigli.

Questa è l'unità di teoria e prassi nella realtà di Turchia e Kurdistan. Questa è la linea marxista-leninista. Questa è la linea del DHKP-C.

Nel corso della nostra lotta sono caduti più di 420 martiri ed altri ne cadranno ancora. I nostri martiri sono la forza, la tradizione e la garanzia del nostro futuro. I migliori se ne sono andati per primi, ma ognuno di essi ha creato una nuova tradizione ed alla loro morte nuovi quadri e combattenti ne hanno preso il posto.

Essi sono coloro che hanno rifiutato di arrendersi al nemico.

Sono coloro che, prima di morire, hanno scritto sui muri, con il proprio sangue, il nome della speranza, il nome dell'organizzazione.

Sono coloro che, di cella in cella, giorno per giorno, hanno sacrificato la propria vita durante gli scioperi della fame e durante la resistenza dello sciopero della fame fino alla morte.

Dobbiamo loro la vittoria e vinceremo con i nostri martiri.

Nelle carceri turche vi sono più di 900 prigionieri del Partito-Fronte. La resistenza permanente agli attacchi del nemico ha conferito loro il titolo di Prigionieri Liberi. Una volta hanno condotto uno sciopero della farne per diversi mesi, innalzando barricate nei braccetti, nei corridoi e nei cortili e combattendo con tutto ciò che avevano sottomano contro gli attacchi del nemico. Recentemente, tre mesi fa, i Prigionieri Liberi nel carcere di Buca hanno risposto agli attacchi delle guardie e dell'esercito prendendo in ostaggio due funzionari del carcere allo scopo di ottenere il ritorno di otto compagni che erano stati prelevati con la forza e trasferiti in un'altra prigione. Nello stesso giorno, nelle principali carceri turche, i Prigionieri Liberi hanno preso in ostaggio numerosi funzionari e guardie, innalzando barricate ed appendendo striscioni sui quali avevano scritto: “Venite a prenderci se ne avete il coraggio !”.

La resistenza si è conclusa il terzo giorno con una vittoria: gli otto compagni sono stati riportati indietro. Le carceri sono il cuore della guerra di liberazione. Se il carcere si ferma, allora tutto si ferma.

Ogni sabato le madri delle persone “scomparse” manifestano ad Istanbul per condannare le “sparizioni” ed i crimini commessi dallo stato. Via Istiklal ad Istanbul è diventata il fronte della protesta, che le madri difendono a qualsiasi costo. Sono state caricate, torturate, arrestate, ma non hanno mai pensato di arrendersi. Ora, dopo più di tre anni, si ritrovano sempre nello stesso luogo, continuando la resistenza come le madri argentine. Anche le madri di Ankara, Izmir ed Adana si sono unite a questa lotta, che si sta appunto diffondendo in tutte le maggiori città della Turchia.

La politica delle sparizioni attuata dallo stato fascista turco ha avuto inizio nel primi anni '80. Hayrettin Eren era stato il primo rivoluzionario “scomparso" durante il fermo di polizia. L'ultimo esempio sono i quattro rivoluzionari Metin Andas, Neslihan Uslu, Mehmet Ali Mandali e Hasan Aydogan, “scomparsi” ad Izmir il 31 marzo di quest'anno. La polizia li aveva arrestati e da quel giorno non si sa più nulla di loro.

Abbiamo appena detto che la caratteristica della nostra lotta è quella di essere antifascista ed antimperialista. Questo è un punto molto importante che pare sia stato dimenticato da molti movimenti di liberazione nazionale e socialisti.

L'imperialismo e l'oligarchia che collabora con esso sono i principali nemici della rivoluzione e dei nostri popoli. Considerare l'imperialismo ed i governi fascisti dei paesi neocoloniali due istanze separate significa non avere i piedi per terra. Senza una coerente coscienza antimperialista la rivoluzione e la liberazione sono impossibili.

La recente politica dell'imperialismo nei confronti del movimenti di liberazione è finalizzata alla loro distruzione, da un lato mediante interventi armati messi in atto contemporaneamente al tentativo di disarmare tali movimenti, e dall'altro persuadendoli ad allontanarsi dal socialismo, dalla rivoluzione e dall'indipendenza.

Nell'ultimo decennio questa politica ha fatto presa in alcune regioni. Il terreno che gli imperialisti hanno sfruttato a proprio vantaggio aveva deboli legami con il marxismo leninismo, la politica si fondava sulle conquiste momentanee e sulla propria paura della vittoria. Specialmente i movimenti nazionali e piccolo- borghesi, orientati verso il potere o influenzati da esso, avevano cominciato a dubitare della loro stessa legittimità. Le organizzazioni che avevano subito questo genere di influenze, tendevano a fondare partiti legali ed a prediligere il compromesso o la rinuncia alla armi. Cercare di trasformare la guerra di guerriglia in una fiche da mercanteggiare è un gioco d'azzardo alquanto pericoloso, che non offre nessuna possibilità di vittoria. Il popolo inerme, al quale vengono strappate le unghie, non accetterà la pace. Inoltre, non esisterà mai quella pace che gli imperialisti promettono.

Ma Come Mai l'Imperialismo Si Fa Sostenitore della "Pace” ?

Gli Europei hanno portato la “pace” in El Salvador.

Gli Europei hanno anche appoggiato le iniziative “pacifiche" dell'EZLN in Messico.

Gli Europei hanno appoggiato le "elezioni democratiche" in Nicaragua, che altro non erano che controrivoluzionarie.

Anche in Guatemala gli architetti della "pace" erano stati ancora una volta gli Europei.

Chi sono questi Europei?

Che cosa vogliono e perché si prodigano così tanto per la "pace"?

O questi imperialisti sono diventati amici dei popoli del mondo - il che significa che devono essere proprio molto cambiati - o intendono utilizzare a proprio vantaggio tutte queste politiche di "pace". Se la risposta è la seconda, allora ad essa fa seguito un'altra domanda: come fanno gli interessi degli imperialisti e quelli dei popoli ad essere gli stessi? È possibile? La risposta è storicamente e scientificamente ben nota e va contro la realtà della vita e del mondo.

Il capitale internazionale vuole distruggere tutte le forze che si oppongono allo sviluppo dei monopoli. Anche la sinistra è impegnata in questo. L'Europa dice: “vi concederemo maggiori crediti se farete ciò”. Sono gli imperialisti europei a portare avanti le iniziative di democratizzazione e gli accordi di "pace".

Per coloro che non hanno l'obiettivo della rivoluzione e del socialismo sarà facile legarsi al carro del capitalismo monopolista. Ciò è quanto è accaduto in El Salvador, Guatemala, Nicaragua e Palestina.

La pace e la libertà autentiche potranno diventare concrete soltanto dopo che avremo cancellato tutte le tracce di sfruttamento, dipendenza e della dittatura oligarchica. Soltanto il potere rivoluzionario del popolo potrà raggiungerle.

Noi non devieremo dalla nostra determinazione che è quella di scacciare l'imperialismo dal nostro paese. Non devieremo dal socialismo. I movimenti popolari di liberazione che combattono contro l'imperialismo e l'oligarchia rappresentano la speranza di indipendenza, democrazia e socialismo per i popoli. Non permetteremo mai che tale speranza venga meno.

Abbiamo dei vincoli e degli obblighi nei confronti dei guerriglieri che hanno dato la vita in Palestina, Libano, Turchia, Kurdistan, Cuba e America Latina e nei confronti di tutti coloro che nel mondo hanno dato la vita per la libertà e la liberazione. Siamo fedeli al loro giuramento.

Il ministro degli esteri USA ha recentemente annunciato di ritenere nuovamente la nostra organizzazione nell’ “elenco dei terroristi”. inoltre Madeleine Albright ha lanciato un appello a tutti gli altri paesi affinché anch'essi adottino le stesse misure. (E’ di pochi giorni fa la notizia della messa fuori legge delle attività politiche del DHKC in Germania, ndT)

Gli USA cercano di camuffare la storia con simili dichiarazioni. Sono stati gli USA ad occupare la Corea ed a massacrare il popolo. Sono stati gli USA a mettere in atto un bagno di sangue in Vietnam. Sono stati loro ad appoggiare le dittature in America Latina, Asia, Africa e in ogni angolo del mondo, lasciando dietro di sé milioni di cadaveri. Ogni genere di tortura utilizzato nelle neocolonie era stato prima sperimentato nei laboratori della CIA. Sono stati loro a sostenere con tutti i mezzi politici, diplomatici e militari il barbarico sistema di sfruttamento e tirannia. Sono loro i responsabili della fame e della povertà nel mondo. Hanno sganciato tonnellate di bombe sul popolo arabo, seppellendo vive le persone nel deserto. Ed è risaputo che soltanto ieri avevano utilizzato i propri cittadini come cavie per i test di radioattività. Gli USA e gli altri paesi imperialisti sono le maggiori, le più organizzate e diffuse organizzazioni terroristiche i cui tentacoli arrivano ovunque. Eccetto essi stessi, nessun altro può credere che le organizzazioni rivoluzionarie, patriottiche, antimperialiste ed i movimenti di liberazione siano "organizzazioni terroristiche". Questa situazione non è nuova al nostro movimento. Combattiamo contro l'imperialismo e per la liberazione dei nostri popoli. La nostra esistenza rappresenta una grande minaccia per l'imperialismo. Ciò spiega le ragioni delle sue aggressioni. Affermiamo qui ancora una volta che: Continueremo a combattere fino alla liberazione. Otterremo la libertà e l'indipendenza dei nostri popoli. Annienteremo le basi imperialiste. Libereremo il nostro suolo occupato dagli invasori. Spezzeremo le catene dello sfruttamento e della tirannia imposteci dai più grandi terroristi del mondo. I nostri popoli sanno benissimo che i massacri, le minacce, le torture, il carcere non ci faranno indietreggiare... e l'imperialismo lo constaterà a sue spese. Ora vorrei leggere qualche frase del messaggio che Ernesto Che Guevara aveva inviato alla  Tricontinentale: “Ogni nostra azione è un grido di guerra contro l'imperialismo e un appello vibrante per l'unità dei popoli contro il grande nemico del genere umano: gli Stati Uniti d’America. In qualunque luogo ci sorprenda morte, sia la benvenuta, purché questo nostro grido di guerra sia arrivato ad un orecchio recettivo e un'altra mano si tenda per impugnare le nostre anni, e altri uomini si apprestino a intonare i canti luttuosi col crepitio delle mitragliatrici e nuovi gridi di guerra e vittoria”. La nostra risposta al Che è: anche noi, Che, abbiamo le montagne e la guerriglia sulle nostre montagne. Le nostre mani hanno impugnato le tue armi, il tuo grido di guerra è giunto alle nostre orecchie e il crepitio delle mitragliatrici dei nostri combattenti salutano te e gli altri rivoluzionari. Infine vorrei concludere citando il documento di difesa politica dei prigionieri di Devrimci Sol, letto nelle aule dei tribunali della giunta militare fascista del l980 dal nostro leader ed attuale segretario generale del DHKP-C, Dursun Karatas: “Da sempre apparteniamo alla famiglia più numerosa del mondo. Anche nelle celle più buie e lontane giungevano alle nostre orecchie le voci che attorno a noi in diverse lingue ci dicevano: “Tenete duro!”, “Resistete!”, “Non fermatevi. Andate avanti!”. Nostro è ogni luogo del mondo, in tutti i suoi colori, da El Salvador all'Irlanda, da Cuba ai Paesi Baschi, dal Sud Africa alle Filippine, dal Perù alla Palestina. Nostri sono i compagni, i fratelli e le sorelle guerriglieri/e di ogni lingua. Siamo internazionalisti. I nostri problemi sono comuni. La nostra lotta è comune. Il nostro nemico è lo stesso. Molto presto sentirete ancora più forte il rumore dei nostri passi”.

SIAMO NEL GIUSTO, VINCEREMO !          

SCUOTEREMO ANCORA UNA VOLTA IL MONDO DALLA TURCHIA E DAL KURDISTAN!   

VIVA IL SOCIALISMO!    VIVA IL DHKP-C !     TIOCFAIDH AR LA !  (VERRA’ IL NOSTRO GIORNO !)

(traduzione di una prigioniera politica

 

 

Turchia

Lettera da un Carcere Turco di una Militante DHKP-C (inizio di novembre 1998)

(traduzione dall’inglese)

(…) Un mese fa il nemico ha scoperto un tunnel nel carcere di Ceyhan ad Adana. In seguito a questo fatto, l’amministrazione penitenziaria ha compiuto un attacco contro i nostri compagni, che sono stati gravemente feriti. E’ molto probabile che i nostri compagni siano stati aggrediti nelle celle. Dico “molto probabile” per il fatto che non abbiamo potuto ricevere sufficienti informazioni.

Per protestare contro questa aggressione, la scorsa settimana abbiamo dato il via ad azioni in tutte le carceri del paese.

All’interno del carcere c’è una sezione che chiamiamo “malta”: è un corridoio dove le celle-dormitorio sono aperte. Normalmente vi sono le guardie. I prigionieri hanno occupato queste sezioni, sottoponendole al proprio controllo. In molte carceri guardie e funzionari sono stati presi in ostaggio. (Soltanto in un carcere ci sono stati 30 ostaggi …). L’occupazione è proseguita durante la notte. Il mattino successivo è giunta nel carcere una delegazione, inviata dal Ministero, ovviamente … I prigionieri hanno avuto un colloquio con questa delegazione, la quale ha dovuto accettare tutte le richieste. Al termine di questo incontro la protesta è rientrata. Il nemico però non ha fatto nulla per rispettare l’accordo. A causa di tale posizione, abbiamo impedito la conta nelle celle … e proseguiremo le azioni fino a quando la situazione nel carcere di Ceyhan non migliorerà.

Non so se avete sentito o meno di queste notizie. Nel nostro paese gli attacchi ai prigionieri all’interno delle carceri sono frequenti, perché ad ogni occasione il nemico cerca di riuscire a sottometterli e, così facendo, pensa di portarci a una pubblica resa.

Nel nostro paese i prigionieri rivoluzionari e la lotta nelle carceri sono un fenomeno assai importante, e ad ogni modo gli occhi dell’opinione pubblica sono puntati sui prigionieri. Lo stato ne è cosciente ed è per questa ragione che vorrebbe portarci alla resa, ma non c’è mai riuscito …

Il nemico sa che pagherà molto caro l’attacco a uno qualsiasi dei nostri compagni, anche se questo compagno dovesse trovarsi nel posto più remoto del paese …, perché tutti i prigionieri del Partito-Fronte insorgerebbero contro un attacco del genere.

(…) Mentre accadevano questi fatti, è stato scoperto un altro tunnel nel carcere di Sagmalcilar (Istanbul). Certo, ce ne dispiace, ma non ci arrendiamo nel voler riconquistare la libertà con le nostre mani. Questa è la nostra passione … un’importantissima passione … E’ una nostra tradizione, tramandata dai nostri compagni dirigenti: il primo fu Mahir Cayan, poi il nostro dirigente, Dursun Karatas,e molti altri compagni sono evasi dal carcere con le loro mani … per ritornare a combattere nella guerra rivoluzionaria. Anche noi riconquisteremo la libertà in questo modo …

(…) Voglio parlarvi della cassetta dello sciopero della fame fino alla morte. La cassetta racconta dello sciopero della fame in forma di poema epico (ballata). Spiega il significato di questa lotta e gli avvenimenti accaduti nel suo svolgersi…, le ragioni della nostra azione, i pensieri dei nostri compagni caduti, le loro parole, ecc…. Inoltre vi sono inclusi un dialogo, avvenuto durante gli ultimi giorni della protesta, tra una madre e una compagna che partecipava allo sciopero della fame … e anche le azioni armate compiute dai nostri compagni in concomitanza con lo sciopero della fame: durante la ritirata, in seguito a un’offensiva armata, i nostri compagni si sono scontrati col nemico; anche in questa occasione hanno gridato i nostri slogan: “Non avrete la nostra resa, in nessun modo !”. Nella cassetta vi è appunto una parte dedicata a questa opposizione attiva avvenuta a Gültepe.

Esiste un’identità tra i prigionieri e un uccello, il Boran. Il Boran è un uccello che non si può catturare e che non si adegua in nessun luogo. E’ selvatico e violento. Nessuno può prenderlo. Se viene catturato si uccide rifiutandosi di mangiare …

(traduzione di una prigioniera politica)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Turchia

 

DHKP-C - Partito-Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo

Rapporto di Dursum Karatas (Segretario Generale)

al Congresso di Fondazione del DHKP tenutosi nel 1994

 

(traduzione dell’opuscolo in lingua inglese distribuito dal DHKP-C)

 

 

 

Introduzione

 

 

Saluto tutti i delegati che hanno l'onore di partecipare al congresso di fondazione del partito !

Compagni,

C'è voluto molto tempo per preparare il congresso. Questo lungo tempo è il tempo della storia della genesi di questo congresso. Questa storia è fatta di tristezze, gioie, martiri, tradimenti ed eroismi. Senza aver dato vita ad un'organizzazione rivoluzionaria, senza aver resistito anche nelle più diverse circostanze, senza esserci rialzati in seguito alle cadute, senza un'ideologia che, qualunque fossero le circostanze, non si fa trascinare a destra e a manca, questo congresso non avrebbe potuto realizzarsi.

Quando abbiamo indirizzato i nostri lavoratori verso la missione del partito, abbiamo dovuto scrivere una storia che non ci avrebbe fatto tornare indietro, giorno per giorno abbiamo dovuto compiere nuovi passi in cui le nostre azioni fossero conseguenti alle parole, abbiamo dovuto mantenere le promesse e sostenere dure prove.

La fase precongressuale è quella della storia che abbiamo scritto.

Questa storia è di fatto la storia dei nostri compagni caduti, i nostri martiri, scritta col sangue. Essi possono anche non essere fra noi fisicamente, ma sono presenti con i loro pensieri, la loro lotta, il loro stile di vita ed il loro sogno di lotta organizzata dal partito. Sono insieme a noi e noi siamo più forti insieme ai loro  pensieri ed alla loro lotta. Coloro che non hanno abbassato la testa di fronte  al nemico nelle situazioni più difficili, che sono morti ma non si sono arresi, ci guardano continuandometterci alla prova. Per dar seguito alla loro eredità dobbiamo superare queste prove.

Ora, dopo anni, il nostro compito più impellente è quello di coronare questo congresso con la fondazione di un partito che sia in grado di farci superare gli ostacoli.

Scrivendo la nostra storia, abbiamo imparato a combattere e ad organizzarci. Abbiamo imparato a conoscere meglio i nemici interni ed esterni. Abbiamo imparato che l'impegno, il sacrificio e la forza sono necessari per avere la meglio sul nemico. Questo congresso non sarebbe stato possibile senza aver scritto questa storia, senza aver attraversato questa fase di apprendimento, senza aver superato le prove nei molteplici campi della lotta. La nostra storia è ricca di fatti da osservare e studiare con attenzione. Forse questa storia non è stata scritta prima nel corso di una rivoluzione, ma possiede un'unicità che non può essere rinchiusa in ambiti teorici. Nostro compito è lo studio di questa unicità nello sviluppo della nostra storia al fine di trarre insegnamento da essa. La genesi del nostro movimento risale al 1974. Allora abbiamo imparato dal THKP-C ed abbiamo scelto questa linea.

Nel 1977-1978 abbiamo cominciato a preparare la rifondazione del THKP-C ed a mostrare alle masse popolari l'ideologia e la prassi del Partito-Fronte imparando a guidarle.

Il periodo attorno al 12 settembre 1980 è stato il periodo del tradimento, dei sacrifici, della resistenza, durante il quale abbiamo imparato a cadere ed a risollevarci, a conoscere meglio amici e nemici, a sviluppare la consapevolezza della forza.

Dal 1985 al 1990 abbiamo imparato la ritirata ed il rafforzamento.

Il 1990 ha segnato la riuscita della crescita, è stato l'anno dell'accelerazione della marcia verso la rivoluzione.

Il 12 luglio 1991 ha smascherato il vero volto della guerra: una guerra senza regole, di cui sapevamo il prezzo che avremmo dovuto pagare.

Il 16-17 aprile 1992 abbiamo aggiunto alla lotta, la resistenza attiva, abbiamo imparato ed insegnato che coloro che non perdono la fede nel socialismo -anche di fronte alla morte- e che amano il proprio paese ed il popolo non si arrendono mai, qualunque siano le circostanze. Questi sono stati gli anni in cui Devrimci Sol è diventato immortale agli occhi del popolo. Dal 13 settembre 1992 abbiamo visto realmente in che modo il nemico interno diventava un nemico esterno che attaccava il nostro movimento con lo scopo di distruggerlo e che, mascherato da amico, si univa agli imperialisti ed ai loro collaboratori nazionali cercando di distruggerci.

Durante questo periodo non siamo stati sufficientemente attenti ai danni che il nemico interno avrebbe potuto causare.

Durante questo periodo abbiamo dovuto prestare maggiore attenzione al nemico interno e da questa lotta ne siamo usciti più forti e con una migliore conoscenza dell'arte della politica.

Questo congresso è la dimostrazione che siamo usciti vincitori da questa 1otta, che abbiamo sfidato il nemico. I nemici interni ed esterni ci hanno attaccato fisicamente, ideologicamente, psicologicamente con ogni metodo immaginabile per impedirci di svilupparci come Partito-Fronte ed avanguardia delle masse popolari. Seguire il partito significa avere un'enorme forza di volontà e condurre una lotta ancor più grande e complessa. Abbiamo quindi voluto che il partito fosse un'arma. La funzione di quest'arma era quella di farci superare gli ostacoli e di far accelerare il cammino rivoluzionario. Anche i nostri nemici interni ed esterni hanno visto questa realtà e, dal momento in cui abbiamo cominciato i preparativi per la fondazione del Partito-Fronte, hanno aumentato anche gli attacchi, distruggendo parecchie nostre organizzazioni e valori. Abbiamo perso un sacco di tempo a causa loro, ma oggi, riuniti in questo congresso, abbiamo sottratto loro tutte le armi ed i loro attacchi sono stati vani.

Alla presenza di tutti coloro che lavorano duramente, della classe lavoratrice, dei contadini poveri, dei patrioti, degli intellettuali e davanti ai popoli del mondo ribadiamo che non ammaineremo la bandiera della liberazione, anche se non dovessero esserci più né una sola organizzazione, né un solo paese nel mondo in difesa della liberazione. I nemici, sia quelli interni che quelli esterni, non riusciranno a gettare a terra questa bandiera. Il nostro congresso è il momento in cui innalziamo ancora più in alto questa bandiera, la bandiera del marxismo-leninismo.

Questo congresso è un duro colpo a tutti i nostri nemici interni ed esterni e a tutti coloro che si apprestavano a celebrare il nostro funerale.

Questo è un congresso speciale, dato lo sviluppo della nostra storia, la linea intransigente contro il nemico, la accanita resistenza in una situazione di dura oppressione e date le caratteristiche del nostro tempo, considerate sia nel contesto passato che in previsione del futuro. Dobbiamo comprendere la storia, la storia del nostro movimento, e dobbiamo pensare alla vittoria. Questo congresso apre la strada alla vittoria. I nemici tenteranno di tutto per impedire la lotta del popolo del Partito-Fronte: aumenteranno gli attacchi in un modo mai visto ed useranno metodi inimmaginabili per fermare le decisioni di questo congresso. Non abbiamo mai ottenuto facilmente vittoria e valori, non ci è mai stato dato niente per niente. Abbiamo conquistato quasi tutto per mezzo della forza, di molto impegno e sangue. Per difendere i nostri valori e le conquiste e per vincere, dovremo lavorare sodo e provare con ancora più decisione; scorrerà altro sangue.

Il Partito-Fronte sarà l'incubo dei nostri nemici e diventerà simbolo di fiducia, futuro e speranza del nostro popolo e dei nostri amici.

Gli occhi del popolo delle nazioni turca e kurda, del popolo arabo, circasso, georgiano e di tutte le altre nazioni presenti nel nostro paese sono puntati su questo congresso.

I nostri combattenti, quadri e simpatizzanti attendono da questo congresso, con grande speranza ed entusiasmo, novità/le decisioni del Partito-Fronte. Non lasceremo i nemici senza immagini terrificanti e non lasceremo gli amici senza notizie di speranza.

Per una migliore conoscenza delle caratteristiche storiche di questo congresso e per dare un quadro del nostro futuro, presento a voi, compagni delegati, a tutti i quadri ed al popolo, un rapporto generale sulla storia del nostro movimento ed un mio rapporto sull'attuale situazione ed i miei pensieri riguardanti il futuro. Siamo giunti qui, in quanto dirigenti, responsabili e combattenti, dai diversi ambiti di questa orgogliosa e fiera storia.

La nostra storia è piena di caratteristiche raramente viste nella storia rivoluzionaria. E' una storia scritta da coloro che, qualunque fossero le circostanze, hanno gridato la verità, hanno affrontato e resistito a tutti gli attacchi, hanno seguito con costanza la via della rivoluzione, a dispetto di sofferenze e tradimenti, e non hanno esitato a dare se stessi e a morire combattendo. I martiri caduti raccontano di una storia fatta di eroismo e tradimento.

Noi, con i nostri errori e valori, con la nostra forza e debolezza, noi, in quanto soldati di questa ricca storia, non dobbiamo permettere la distruzione dei suoi veri protagonisti, coloro ai quali essa appartiene realmente, i nostri martiri, i torturati, i feriti, i prigionieri, coloro che ci hanno dato fiducia e che hanno accelerato il processo rivoluzionario, che sono le torce del nostro cammino. Essi saranno sempre gli elementi più valorosi della nostra lotta.

Gli imperialisti, l'oligarchia collaborazionista, l'ideologia borghese, gli opportunisti che la seguono, e i revisionisti possono distruggere, possono distorcere ed oscurare la verità, comunque ben nota al mondo intero, ma non hanno la forza di cancellare la storia, radicata nella memoria del popolo, scritta col sangue da centinala di martiri e da migliaia di prigionieri. Questo è importante non solo per la storia della rivoluzione, ma lo è anche per la storia della società. Noi siamo stati in grado di rompere l'assedio dei nemici grazie alla storia, scritta dai nostri martiri, contro gli attacchi interni od esterni e qualunque fosse la maschera indossata e le false parole dell'imperialismo e dell'oligarchia. I nostri compagni hanno resistito senza arrendersi, creando in questo modo una fiducia e una consapevolezza tali da rendere possibile la penetrazione nelle fila nemiche e tali da dar vita al nostro illimitato credo nel marxismo-leninismo e alla fiducia nel nostro popolo ed in noi stessi.

Lo sviluppo di questa fiducia nel corso degli anni

Siamo un movimento che non è stato indebolito o distrutto, nonostante le insidie, le difficoltà e le molte calamità. Malgrado gli attacchi e le diverse battute d’arresto, la nostra forza ed influenza crescono sempre più velocemente. Questo è uno sviluppo positivo.

Per analizzare tale sviluppo, seppur brevemente, è giusto osservare le difficoltà e le dimensioni ideologiche del nostro movimento, gli amici ed i nemici.

Nel momento in cui il nostro movimento è entrato nel teatro della storia, si è aperto un nuovo capitolo della storia rivoluzionaria della Turchia. Esso non è separato dal THKP-C, dai suoi leader e combattenti, specialmente da Mahir Çayan, poiché essi hanno distrutto le barriere innalzate dagli opportunisti e dai revisionisti e, con la loro vita di volontà e sacrificio, hanno mostrato ai rivoluzionari ed alle forze di sinistra la realtà rivoluzionaria, il cammino ideologico e politico verso il potere e la liberazione del popolo.

Il legame tra Devrimci Sol ed il THKP-C non è dovuto soltanto al fatto di avere la stessa ideologia o prospettive simili. Questa unità si è espressa nell'ideologia, nella politica e nella pratica, essenzialmente nella responsabilità verso il popolo, nostro e del mondo intero, nella determinazione, nello spirito e nella consapevolezza della forza, nella disponibilità al sacrificio e nel saper dare anche la propria vita.

Al giorno d'oggi i diversi gruppi - che si definivano organizzazioni o partiti - che si erano assunti il compito di "difendere" ogni singola parola del THKP-C, trasformandolo così in una caricatura, e che si erano separati dalle masse, non esistono più. Non esistono fisicamente e non hanno mantenuto nemmeno la propria ideologia o filosofia. La ragione principale per cui sono scomparsi è dovuta al fatto che non sono riusciti a capire come il THKP-C c'entrasse con loro. Il Partito-Fronte ha sempre applicato il marxismo-leninismo in base alle situazioni concrete e preso una posizione chiara contro l'imperialismo, l'ideologia borghese e i suoi tentacoli: l'opportunismo ed il revisionismo.

THKP-C significa difesa, a qualunque prezzo, della lotta armata in quanto modo per sconfiggere lo stato dell'oligarchia e per stabilire il potere rivoluzionario del popolo. E ' questo che non hanno capito.

Il THKP-C ha compreso e fatto proprio il fatto che l'imperialismo avrebbe potuto mutare il proprio aspetto, politico od economico, ma che non avrebbe mai cambiato i metodi di sfruttamento e di oppressione. E' questo che gli altri non hanno capito. Esso non considerava il marxismo-leninismo soltanto in base ad una rivoluzione nel nostro paese: ha sviluppato ed applicato teoria e pratica a partire da una prospettiva internazionalista.

Il THKP-C ha definito la tesi che è impossibile fare la rivoluzione senza considerare la storia nelle sue catteristiche psicologiche, sociali e culturali (dando vita ad una lotta a partire da una autentica dimensione internazionale, senza tener conto della realtà del proprio paese per organizzare il popolo).

Secondo il THKP-C, un movimento popolare non può svilupparsi senza conoscere la storia, senza far propri i momenti storici progressisti e rivoluzionari. Per questo motivo si è schierato contro l'imperialismo e la borghesia ed ha "fatto crescere tutte le istituzioni che avessero un carattere popolare e a volte anche di singoli individui.

Il THKP-C ha agito concretamente contro tutte quelle forme burocratiche e revisioniste, contro tutte quelle misure che cercavano di dar ordini dall'alto al popolo, contro tutti coloro che non mettevano in pratica le loro belle parole, che amavano le chiacchiere e che non davano speranze al popolo. Esso non ha accettato niente di tutto questo: ha combattuto contro l’inganno dell'opportunismo ed è diventato un movimento che ha saputo dare al popolo speranze e sicurezze.

Tutte queste caratteristiche, ed altre che non stiamo qui a menzionare, hanno reso il THKP-C un movimento immortale agli occhi del popolo, un movimento presente con la sua forza anche in quelle situazioni che non permettevano un contatto diretto col popolo. Ne è emerso uno stretto legame con il popolo, che si è sviluppato in quella forza che ci avrebbe condotto verso il futuro. Ne è emerso un movimento di resistenza senza secondi fini, che sapeva innalzare barricate contro gli attacchi.

Coloro che non sono riusciti a capire i princìpi universali del THKP-C, non hanno nemmeno capito come, a dispetto di tutte le accuse e di tutti gli attacchi dell'oligarchia, esso abbia potuto lasciare dietro di sé un tale potenziale, anche quando non esisteva più fisicamente, e non hanno proprio capito come abbia potuto riorganizzarsi così in fretta anche dopo quelle denunce e quegli attacchi fatti da coloro che erano alla mercé dell'oligarchia.

Quando, durante il periodo buio del 12 marzo 1971, il THKP-C ha innalzato con la lotta armata la bandiera della libertà e della liberazione del popolo, l'imperialismo, l'oligarchia, l'opportunismo ed il revisionismo hanno unito le loro forze contro di esso.

I leader ed i combattenti hanno fatto i conti con questa situazione ed hanno visto che, qualunque fossero le circostanze, dovevano gridare la verità rivoluzionaria. Contemporaneamente allo sviluppo della lotta, elementi piccolo-borghesi all'interno del THKP-C hanno innescato un processo controrivoluzionario, non avendo capito il difficile cammino rivoluzionario, la forza del proletariato e la brutalità della borghesia, e producendo traditori.

Questi traditori hanno progettato la rottura col popolo, indebolendone l’unità, e sono andati anche oltre a questo, propagandando l'abbandono della lotta armata contro l'imperialismo e l'oligarchia. Hanno ribadito le loro teorie sull'imperialismo - dichiarandolo pacifico e definendo democratici progressisti i suoi collaboratori turchi - nelle carceri, nelle camere di tortura e nei tribunali della giunta militare.

Il THKP-C ha mostrato il significato dell'imperialismo e del revisionismo quando essi volevano imporre ai popoli del mondo il "nuovo ordine mondiale" e quando parlavano di "capitalismo pacifico".

Uno dei più preziosi valori del nostro retaggio è quello di non essere scesi a compromessi in caso di attacchi e tradimenti e di non aver mai esitato nella prosecuzione della lotta armata.

Il 30 marzo 1972 ovunque si è udita la voce del THKP-C. Esso era stato distrutto fisicamente, ma la lotta armata, intrapresa per un breve periodo, aveva creato un enorme potenziale tra i giovani, i lavoratori, i contadini ed i diversi settori della popolazione: era diventato la forza più importante, indistruttibile e forte di questo potenziale.

Se questo potenziale capiva la prospettiva del THKP-C e si preparava a seguirne il cammino, altri l'hanno rifiutata. I vecchi sostenitori e combattenti del Partito-Fronte, imprigionati nelle carceri dell'oligarchia, una volta scarcerati hanno cominciato a tradire, sviluppando teorie che legittimavano tale tradimento, conseguenza della loro personale debolezza e mancanza di fiducia. Questi traditori, pur differendo tra loro in sfumature minime, non avevano capito né il potenziale creato dal THKP-C con la lotta armata, né il suo messaggio al popolo.

Hanno tradito la loro stessa storia, il proprio passato e tutte le cose positive costruite in passato.

È stato un successo dell'oligarchia: mentre la lotta ci ha fatto compiere passi in avanti ed ha creato un grosso potenziale, abbiamo anche imparato a conoscere il tradimento che in futuro avrebbe così spesso ostacolato il nostro cammino, metodo che sarebbe stato tentato e ritentato molte volte ancora.

Abbiamo imparato dai traditori, così come abbiamo imparato che è importante schiacciare il tradimento e proseguire il cammino senza dubbi.

I traditori hanno cercato di cambiare la linea del THKP-C per far sì che fosse tollerata dall'oligarchia, cercando di formare un'opposizione a sinistra del Partito-Fronte. Gli ex quadri leader del THKP-C, una volta scarcerati, si sono mossi nell'arena politica con un nuovo nome criticando diversi punti della linea del Partito-Fronte. Questo fatto si può considerare pari al tradimento di Yusuf Küpeli e di Münir Ramazan Aktolga avvenuto nel 1971 quando il THKP-C si trovava sotto il fuoco nemico da ogni lato.

Infatti, anche se le dichiarazioni erano diverse, la loro condotta non differiva da quella di Yüsuf Küpeli e di Münir Ramazan Aktolga che avevano elogiato l'imperialismo, si erano offerti all'oligarchia e avevano fatto appello alla resa dei rivoluzionari.

Mentre i prigionieri elaboravano teorie per meglio liquidare il Partito-Fronte, i giovani e la gente di diversi settori della popolazione, negli anni 1972-'74, aspettavano speranzosi - non sapendo nulla del tradimento - che, coloro che nel frattempo erano diventati strumento della borghesia ed avevano perduto coscienza e consapevolezza, indicassero loro la via. In generale, in questo periodo, il potenziale del THKP-C ed in parte quello del THKO hanno portato avanti lo spirito e l'entusiasmo della lotta armata. La volontà era quella dell'attacco offensivo ed hanno creduto nella loro lotta, anche se allo stesso tempo erano giovani e privi d'esperienza: non conoscevano sufficientemente bene il tradimento, l'opportunismo e l'egoismo. I fatti di quel periodo si possono considerare il nucleo del nostro movimento, perché, nonostante tutte le lacune, queste persone -consapevolmente od inconsapevolmente- hanno cominciato a costruire la resistenza contro gli attacchi dei revisionisti, degli opportunisti e dell'oligarchia al Partito-Fronte. Fra i giovani ed i numerosi settori della popolazione sono sorti dei gruppi che difendevano la linea della lotta armata, la linea del THKP-C e che diffondevano i propri scritti. Essi hanno cominciato ad organizzare la lotta economico-democratica dei giovani sviluppandola in lotta antimperialista ed antifascista.

L'oligarchia non considerava più un pericolo i vecchi quadri prigionieri -che lavoravano per legittimare il proprio tradimento- e, considerandoli invece utili, li ha scarcerati con un'amnistia generale nel 1974. Ai giovani, che avevano riposto le proprie speranze in coloro che ritenevano rappresentassero il Partito-Fronte, era crollato il mondo. Quasi tutti, dopo la scarcerazione,  hanno cercato di portare il THKP-C a destra. Qualche frangia, ben lontana dalle masse, è degenerata nel terrorismo individuale.

Alcuni non hanno osato attaccare apertamente il Partito-Fronte, affermando di difenderlo e dichiarando che la lotta armata era iniziata in un periodo in cui non vi erano presenti le condizioni soggettive per farlo e che questa era la ragione per cui erano stati sconfitti.

Altri, dopo la scarcerazione, riconoscendo l'enorme potenziale presente fuori dal carcere, hanno deciso di tenere nascoste le loro reali opinioni ed hanno perseguito una tattica che mirava a portare dalla loro parte l'enorme potenziale di direzione presente tra i giovani, al fine di diffondere e far accettare in futuro il proprio opportunismo. Questi rinnegati, che in carcere avevano scelto il tradimento, che avevano tradito i compagni e che essenzialmente avevano chiuso con la lotta armata, sono stati improvvisamente accecati dalla forza di questo enorme e giovane potenziale ed hanno deciso di rientrare nell'arena politica.

Non avevano la fiducia né il sentimento per portare avanti una causa così importante quale è la rivoluzione, nonostante dicessero di condividerne il medesimo credo e, nel tentativo di organizzare l'enorme potenziale, si sono frammentati in tanti gruppuscoli con un'incredibile velocità.

Come se in carcere non si fossero separati dal Partito-Fronte, hanno cercato - in un modo o nell'altro - di assumersi il compito di "difenderlo".

I giovani quadri, che avevano creato il potenziale del THKP-C, si sono trovati di fronte ad una responsabilità storica: difendere la linea del Partito-Fronte, la linea della lotta armata, la linea dei martiri rivoluzionari e dei nostri dirigenti, mentre masse di elementi vecchi, corrotti e bugiardi tentavano di fare quanto era prevedibile e cioè di prendere in mano questo potenziale rivoluzionario.

Alcuni l'hanno fatto direttamente con le parole della borghesia, altri si sono nascosti dietro la maschera della scienza e delle teorie, ma tutti hanno lanciato un attacco ideologico che, aggiunto a tutte le chiacchiere, le speculazioni e le accuse, ha mostrato in modo palese il fatto che essi non solo proseguivano su questa strada, ma che allo stesso tempo insultavano i nostri martiri.

Intanto stavano emergendo i gruppi fascisti, organizzati dall'oligarchia per combattere questo potenziale rivoluzionario per mezzo di attacchi terroristici. Il compito dei giovani allora è stato sia quello di intraprendere la lotta contro i traditori della rivoluzione, sia quello di combattere le aggressioni fasciste, ed allo stesso tempo di guidare ed organizzare la lotta democratica nelle università.

I rinnegati non avevano certamente di questi problemi: erano occupati a legalizzare i loro ordini pii, rafforzandoli e trascinando la gente dalla loro parte. Per questa ragione non hanno voluto accettare i compiti pratici ed hanno ignorato gli attacchi fascisti. Hanno definito provocazione la lotta, basata sulla violenza rivoluzionaria, contro le aggressioni fasciste ed hanno cercato di ostacolare i giovani e di portarli dalla loro parte. Nonostante ciò e nonostante i loro discorsi demagogici, le teorie di questi rinnegati non sono nemmeno state prese in considerazione di fronte all'evidenza dei problemi del popolo e del numero crescente degli attacchi fascisti.

Possiamo dire che i giovani hanno saputo riconoscere "difensori" e rinnegati del THKP-C nella pratica della lotta e quindi riunirsi attorno alla fondazione del Partito-Fronte. In questo periodo è venuta alla luce ogni sorta di opportunismo ed accusa che questi rinnegati hanno impiegato per la costruzione dei loro ordini pii.

Questi giovani si sono resi conto del fatto che non era rimasto più nessuno che potesse mostrare loro il cammino, nessuno in cui credere e da seguire. Questi pensieri e sentimenti si sono ben presto sviluppati e trasformati in fiducia in se stessi, e tale fiducia si basava, nonostante tutto, sulla linea del THKP-C, sfidando il nemico per mezzo della lotta armata e dando voce al popolo. I nostri leader sono i leader caduti, sono i combattenti morti per la rivoluzione e, per poter proseguire il cammino da loro tracciato, abbiamo dovuto imparare ad essere dei buoni allievi ed a comprendere le loro parole.

Se la storia rivoluzionaria dovesse giudicarci, questo giudizio si baserebbe esclusivamente sul fatto se eravamo in grado o meno di portare la bandiera della rivoluzione consegnataci dai martiri e dai leader che per questa hanno rischiato la propria vita. Eravamo giovani, inesperti, circondati da coloro che cercavano soltanto il profitto, e la mancanza d'esperienza ci ha indebolito.

Abbiamo accettato l'eredità dei compagni martiri facendoci forti del nostro passato, intraprendendo nuovamente la lotta contro l'opportunismo, il riformismo ed il nemico al nostro interno ed imparando a combattere dentro la lotta stessa. Né l'oligarchia né l'opportunismo potevano sconfiggere questa forza. Ciò ci ha permesso di compiere ogni giorno dei passi in avanti: siamo diventati dei combattenti migliori ed abbiamo imparato a riconoscere il tradimento.

Man mano che imparavamo riguardo la lotta, la realtà rivoluzionaria ed il nostro passato, abbiamo sempre più fatto nostro il THKP-C, la sua direzione, la sua grandezza nelle situazioni del suo tempo e la sua dedizione per la rivoluzione.

Un po' alla volta abbiamo cominciato a constatare come imperialismo ed oligarchia cercassero di infiltrare traditori e rinnegati nelle fila rivoluzionarie e in che modo cercassero di soffocare la rivoluzione fin dal suo nascere. Diciamo che in questi anni abbiamo cominciato a capire che dovevamo tracciare una linea di demarcazione tra il marxismo-leninismo e l'opportunismo ed il riformismo.

Gli opportunisti ed i riformisti hanno tentato di infiltrarsi nelle nostre fila utilizzando migliaia di travestimenti.

Coloro che non avevano niente a che fare col Partito-Fronte hanno cercato di imporci le loro opinioni opportuniste e revisioniste utilizzando il nome del THKP-C.

Fin dal 1974 abbiamo cominciato apertamente a sollevare la bandiera della battaglia ideologica contro questi elementi vaganti e senza carattere.

Abbiamo svelato il loro vero volto e, all'interno delle organizzazione democratiche giovanili e popolari, non abbiamo permesso loro di nascondersi dietro la maschera del THKP-C.

A questo punto vorrei ricordare tutti i compagni, innanzitutto Niyazi ed ibrahim che in questa lotta hanno avuto un ruolo importante, dimostrando sempre il loro legame con il THKP-C e mantenendo viva la loro posizione radicale.

In questi anni ci siamo resi conto che dovevamo organizzarci con urgenza. Dovevamo affrontare i rinnegati, gli opportunisti e l'oligarchia ed abbiamo cominciato a capire che dovevamo immediatamente riprendere la lotta armata.

Certamente il nostro atteggiamento di allora non poteva essere soltanto di natura ideologica. La nuova generazione ha difeso il THKP-C su tutti i fronti, conducendo ogni genere di lotta: armata, non armata, ideologica e politica.

Questi rinnegati, nascosti od aperti, nel constatare la nostra offensiva e la nostra capacità organizzativa, hanno cercato di indebolirci utilizzando qualsiasi mezzo, dai giochetti alle accuse. Questi elementi, che si sono infiltrati in parecchie strutture utilizzando il nome del THKP-C e che hanno cercato di prenderne la direzione, erano degli imbroglioni talmente fifoni ed opportunisti che non hanno nemmeno rischiato un'aperta battaglia ideologica. Abbiamo bloccato tutti i loro tentativi di liquidarci prendendo la direzione della lotta nella pratica ed abbiamo strappato la maschera dal loro volto. Alcuni si sono uniti ai revisionisti del TKP [Türkiye Komünist Partisi, Partito comunista turco, da non confondersi con il TKP/ML, ndT], altri hanno trovato il loro posto tra le fila dei nazionalisti borghesi del PDA [Proleter Devrimci Aydinlik [Chiarezza rivoluzionaria proletaria].

Nelle nostre fila molti si sono fatti influenzare da questi opportunisti, dalla loro maschera e dalle loro frasi fatte.

La teoria del socialimperialismo -nascosta dietro la maschera di una finta linea del THKP-C sostenuta da Ömer Güven, che in seguito sarebbe entrato nell'Aydinlik (PDA), e dai suoi complici- è stata la ragione per cui un consistente numero di persone, che difendevano la linea del THKP-C, è entrato nell'Aydinlik. Questi opportunisti hanno in tal modo permesso al PDA di conoscerne e di trovarne altri come loro all'interno delle nostre,. strutture. Ciò si era infatti dimostrato quando, tolti dalle loro attività, essi hanno di fatto trovato il posto che a loro più confaceva, nell'Aydinlik o con i revisionisti del TKP.

Il gruppo che allora operava come Devrimci Genclik [Gioventù rivoluzionaria] e più tardi come Devrimci Yol [Sentiero rivoluzionario], che affermava di difendere la linea del THKP-C, si limitava ad osservare gli attacchi compiuti apertamente dagli opportunisti al Partito-Fronte. Invece di unirsi e prendere una posizione comune contro tali attacchi, hanno cominciato a "flirtare" con gli opportunisti. La nuova generazione ha quindi dovuto assumersi il compito di difendere la linea del THKP-C, raccogliendone il potenziale.

Gli opportunisti ed i rinnegati si sono così trovati di fronte alla barricata innalzata dai giovani. Questa nuova generazione, con tutta la forza e la debolezza che aveva a disposizione, ha difeso lo spirito del THKP-C.

Durante questo periodo, ogni sorta di deviazione dalla linea del Partito-Fronte ha avuto modo di prosperare ed i suoi rappresentanti hanno tentato così di prendere posto nell'arena politica. In breve tempo i giovani hanno imparato -dimostrando una maturità straordinaria per la loro età- a prendere le misure necessarie per far fronte agli attacchi nemici, diventando in questo modo i nostri maestri.

 

I Primi Nuclei del Nostro Movimento: il Kurtulus Grubu [Gruppo di Liberazione]

Nel 1975 i giovani, soprattutto quelli di Istanbul, che rappresentavano una forza piuttosto consistente, hanno difeso l'ideologia del THKP-C. Mobilitando migliaia di persone, combattendo, opponendo alle aggressioni fasciste la violenza rivoluzionaria e sentendo la necessità di organizzare in maniera vasta le masse popolari, hanno sviluppato la consapevolezza dell'organizzazione clandestina, facendola progredire.

Giorno per giorno le necessità della lotta sono cresciute a diversi livelli.

Noi, in quanto organizzatori, dirigenti ed esecutori di quasi tutte le azioni armate e gli scontri di massa, abbiamo mantenuto la nostra posizione come leader legittimi dei giovani.

Gli sviluppi politici e la pratica di quel periodo ci hanno insegnato che, accanto alle esistenti forme democratiche di organizzazione, si dovevano compiere ulteriori passi e sviluppare altre forme di organizzazione. Con questa convinzione abbiamo peso posto nell'arena politica come Kurtulus Grubu. Il gruppo Kurtulus ha dimostrato in modo convincente la propria legittimità e forza in parecchie elezioni, nella lotta contro l'opportunismo ed il revisionismo e in diverse dichiarazioni politiche. D'altro canto, la vera missione del gruppo Kurtulus è stata quella di compiere dei seri passi in avanti nella costruzione di un gruppo marxista-leninista che difendesse i valori e le opinioni del THKP-C contro gli aperti attacchi provenienti sia da destra che da sinistra alla sua ideologia, un gruppo che guidasse la lotta, armato dei valori del THKP-C, di forza di volontà, di rivendicazioni, di fiducia in se stesso e che non deviasse mai, in nessuna circostanza, dalla linea rivoluzionaria.

Con la formazione di questo gruppo, per un periodo, a partire da Kizildere, un movimento, al fine di diffondere l'ideologia del THKP-C, ha raccolto centralmente e distribuito in tutto il paese le parole di Mahir Çayan, stampando anche moltissime copie delle parti I, II e III della sua opera La rivoluzione ininterrotta. In questo modo i valori e le opinioni del THKP hanno potuto diffondersi e radicarsi tra le nuove generazioni di rivoluzionari. Visto da oggi questo lavoro potrebbe forse sembrare inutile, tuttavia nella situazione di allora ha giocato un ruolo molto importante. Questi scritti sono stati una guida nella lotta contro opportunisti e rinnegati e quasi dappertutto una garanzia della diffusione. del radicamento e della difesa dei valori e delle opinioni del THKP. Hanno accelerato lo smascheramento dell'opportunismo e, in un certo senso, hanno dato la giusta risposta al tentativo di cancellare la storia. Le loro copie hanno continuato a moltiplicarsi ed a diffondersi automaticamente.

La frattura fra opportunismo e marxismo-leninismo era aumentata. Opportunisti e rinnegati, che non avevano fiducia in se stessi e che temevano la separazione tra teoria e pratica, hanno formato i loro "monopoli" insieme a coloro che si erano allontanati dalle organizzazioni di massa. Essi non credevano nella lotta unitaria delle organizzazioni di massa contro l'imperialismo ed il fascismo ed è per questa ragione che si sono precipitosamente ritirati da quel campo dove non potevano ottenere la maggioranza e dove stavano perdendo sostegno.

Questa è stata anche la fase in cui parecchi opportunisti, allo scopo di legittimare i propri monopoli e di rafforzarsi, hanno organizzato provocazioni nei confronti del popolo e delle organizzazioni di massa, cercando di creare confusione con volgari slogan del tipo: «Né America né Russia».

Possiamo affermare che questo è stato anche il periodo delle più grandi manifestazioni e scontri di massa della storia rivoluzionaria della Turchia. Al funerale dei rivoluzionari assassinati dai fascisti nel 1975 hanno partecipato decine di migliaia di persone e questa forza è addirittura cresciuta quando, a Kocamustafapasa/Istanbul, nel corso di questo funerale, le masse hanno opposto resistenza alle aggressioni nemiche: la gente non è fuggita, anzi, uomini e donne hanno combattuto strada per strada, casa per casa, utilizzando mattoni, armi da fuoco e qualsiasi cosa capitasse loro tra le mani. Questo episodio è stato scritto a caratteri d'oro nella storia quando il popolo ha sconfitto le armi ed i carri armati nemici. Questa enorme protesta di massa è stata proprio una grande lezione, anche per il fatto che, in quell'occasione, le masse hanno aperto un varco nel muro, eretto appunto per dividerle, del blocco opportunista e revisionista, conquistando così, a dispetto di tutte le provocazioni, il loro posto nella resistenza.

Questi sviluppi dimostrano che l'ostilità dell'opportunismo nei confronti del nostro movimento non è per nulla nuova e che esisteva da molto tempo prima che entrassimo nell'arena politica: era iniziata insieme all'eredità lasciataci dal THKP-C ed è proseguita fino ad oggi, crescendo di pari passo alla crescita della nostra forza.

In questo periodo il gruppo Kurtulus è diventato una guida nella lotta economico-democratica dei giovani nelle scuole e nelle università ed ha cominciato ad organizzare la lotta contro il terrorismo dei gruppi fascisti in alcuni gecekondular [bidonville,ndT], compiendo diverse azioni armate, di massa, di esproprio delle proprietà statali e diverse azioni antimperialiste ed antifasciste contro gli attacchi nei confronti dei popoli del mondo.

Tutti hanno potuto constatare che il THKP-C non si poteva estirpare. Nostro dovere di allora era quello di riorganizzare ex novo, nella pratica e nella teoria, il Partito-Fronte, assumendoci anche il compito di avanguardie. Il più grande desiderio ed ideale della nuova generazione era quello di riportare nell'arena politica il THKP-C in quanto forza organizzata che mostrasse alle masse popolari la via rivoluzionaria. Dunque, per riorganizzare rapidamente il Partito-Fronte, pur se non vi erano grosse speranze di riuscita a breve termine, i giovani hanno cominciato a ricercare le forze: essi erano aperti a tutto, ma non verso gli opportunisti ed i rinnegati.

In questo periodo sono entrati in scena l'Acil [Türkiye Devrimin Acil Sorunalari, Questioni urgenti della rivoluzione in Turchia] ed il MLSPB [Marksist Leninist Silahli Propaganda Birligi, Unità di propaganda armata marxista-leninista], rimasugli di una linea della sinistra radicale. Questi due gruppi hanno accusato tutti gli altri di aver denunciato il THKP-C ed hanno interpretato il Partito-Fronte dal punto di vista della sinistra radicale focalizzandone la prospettiva.

Osservandoli attentamente, si può dire che questi due gruppi hanno caricaturizzato la linea del THKP­C, senza capire il contesto storico e politico in cui il Partito-Fronte ha agito, senza riuscire a trasformare le condizioni oggettive in Turchia ed avendo una rozza visione dogmatica. Ed è per questi motivi che se ne sono andati così facilmente a destra. Non sono stati presi in considerazione né in un contesto di massa né a livello di azioni. La demoralizzazione sviluppatasi al loro interno, li ha portati allo scioglimento.

In questo periodo abbiamo incontrato il gruppo Dev-Genç.

I Rinnegati di Devrimci Yol e lo Sviluppo del Nostro Movimento

L'impegno di alcuni elementi, gli ex simpatizzanti in carcere del THKP-C, era sfociato nella fondazione del KDS [Kurtulus Sosyalist Dergisi, Rivista socialista di liberazione]. In un primo momento essi si erano mostrati critici nei confronti del THKP-C, ma poi ne hanno difeso la teoria del socialimperialismo, hanno sempre più criticato il loro passato ed hanno aumentato il loro impegno nell'Aydinlik. In seguito, anche i gruppi dell'Acil del MLSPB si sono fossilizzati sulle proprie deviazioni di sinistra. Inoltre, in quel periodo, è nato anche un gruppo attorno alla rivista di Devrimci Genclik [Gioventù rivoluzionaria], radicato ad Ankara e guidato dagli ex responsabili del THKP-C.

Questo gruppo si era posto contro le deviazioni di sinistra e di destra, sosteneva la necessità di stabilire ancora una volta l'unità ideologica tra coloro che in passato avevano partecipato alla lotta unificata del THKP-C e proprio per questo non era insensibile - a differenza di altri gruppi, sia di sinistra che di destra - ai problemi dei giovani e di altri settori della popolazione. Per noi, le nuove generazioni, questo punto, e cioè il raggiungimento nel tempo dell'unità ideologica, e l'idea della rifondazione del Partito-Fronte hanno costituito una forte attrattiva, poiché il nostro più grande desiderio era quello di organizzare la vita, di discutere attorno al concetto di organizzazione e di lotta organizzata, di confrontarci reciprocamente e di analizzare correttamente il passato ed il presente. Per tutti questi motivi abbiamo instaurato dei rapporti basati su tali sentimenti sinceri, cercando di colmare le distanze ed avendo come obiettivo l'unificazione.

Fin dai primi numeri della rivista di Dev-Genc si poteva notare l'esistenza di un'altra posizione, i segni di una posizione piuttosto di destra, ma nonostante le numerose critiche non siamo riusciti a raggiungere risultati positivi.

Al contrario, i loro pregiudizi e l'atteggiamento di voler mantenere le distanze erano assai frequenti, essi non hanno compiuto progressi nell'organizzazione della pratica ed hanno cercato di imporci una linea spontaneista di destra. Non eravamo nemmeno un gruppo, e cioè il livello più basso di organizzazione. Tutto il loro impegno nel fare tanti discorsi sull'unità ideologica non ha condotto praticamente a nulla. Nonostante tutte le nostre pressioni ed i tentativi di dar forma alla lotta militante e nonostante il nostro primo impegno di dar vita ad una pratica militante che potesse avere un'influenza positiva nelle masse, la leadership di questo gruppo ha reagito in maniera negativa, cercando appunto di imporci, in diversi modi, una linea spontaneista di destra. Inoltre non avevano una visione chiara dei propri compiti, ad esempio che fare per diventare un partito, come affrontare i problemi nella teoria e nella pratica, ecc.

Giorno dopo giorno gli sviluppi erano sempre più ovvi e gli attacchi sempre più numerosi.

In questo arduo cammino siamo diventati maggiormente consapevoli della situazione, poiché abbiamo dovuto affrontare in maniera organizzata questi sviluppi e far fronte agli attacchi, crescendo passo dopo passo nella lotta organizzata, mentre il gruppo di Ankara non mostrava alcuna fretta, anzi, queste persone mostravano indifferenza per tutti quei giovani -un numero che non va sottovalutato- che avevano riposto in loro le proprie speranze, occupandosi, una volta scarcerati, dei loro problemi personali e in continua competizione per ottenere legittimità, invece di dedicarsi ai problemi della lotta.

Formalmente eravamo col gruppo DG di Ankara, ma in sostanza continuavano ad esserci differenze sia nella pratica dei due gruppi, quello di Istanbul e quello di Ankara, sia nei modi di risolvere i problemi che man mano si presentavano. Inoltre il gruppo di Ankara non faceva nessuno sforzo per creare un'unità ideologica e per porre fine alle differenze tra i due gruppi. Il suo unico obiettivo era quello della legalità, che voleva imporci.

Finalmente nel 1977, anche se dopo varie pressioni, il gruppo di Ankara ha presentato la bozza di un programma che avrebbe dovuto porre le basi dell'unità ideologica, nel quale però vi risaltavano ancora le differenze su parecchie questioni come la valutazione del THKP-C, la riorganizzazione in quel periodo, la PASS [Strategia politico-militare della guerra, ndT], l'organizzazione, ecc. A tale proposito ci hanno detto che era soltanto una bozza, che molte cose andavano ancora discusse e che i punti da noi criticati sarebbero stati corretti, affermando di essere sostanzialmente d'accordo con noi sulle questioni.

Eravamo felici di poter giungere, pur se in ritardo, ad un'unità ideologica.

Abbiamo così deciso insieme di pubblicare un organo di stampa periodico e di spiegare ai lettori il programma e gli sviluppi dell'unità ideologica. Siamo anche giunti all'accordo di trasferire l'organizzazione ad un livello centrale e di intensificare la lotta.

Tuttavia, dal giorno in cui abbiamo avviato i rapporti col gruppo DG, esso ha cercato di imporci il suo volere, ci guardava con disprezzo, non prendeva in considerazione le giovani generazioni, era burocratico, legalista ed affrontava quasi tutte le questioni seguendo una linea spontaneista di destra, ma, nonostante tutto ciò, abbiamo pensato all'unità ideologica in quanto processo a lungo termine ed abbiamo deciso di proseguire la lotta senza perdere buon senso e maturità.

Purtroppo il nostro buon senso, il nostro desiderio di unità del THKP-C e la nostra disponibilità al sacrificio hanno incontrato solo orecchie da mercante, poiché l'oligarchia aveva ucciso in costoro dinamica rivoluzionaria, facendo perdere loro i princìpi ed i valori rivoluzionari, e la politica borghese aveva rimpiazzato quella rivoluzionaria: erano diventati dei vecchi burocrati che desideravano l'ordine; tutto e tutti erano soltanto degli strumenti per ottenere tale scopo.

Quando la bozza del programma è stata pubblicata col titolo Il programma di Devrimci Yol, abbiamo constatato che nemmeno un punto che avevamo obiettato era stato corretto. La maggior parte delle masse che facevano riferimento a noi, così come i nostri simpatizzanti erano furiosi: quelli del gruppo di Ankara presentavano il THKP-C, l'unità ideologica ed i progetti per il futuro sotto una luce di destra. Le teorie concordavano con la loro pratica di destra.

A quel punto, o portavamo a termine il processo di unificazione, correggendo, senza arrenderci, i punti sui quali eravamo d'accordo, oppure lasciavamo così com'erano le pubblicazioni e questo atteggiamento, ponendo fine al processo di unità ideologica.

Senza chiarire i punti sui quali eravamo o non eravamo d'accordo, senza dimostrare che si affrontavano due sistemi differenti e che vi erano due opinioni diverse riguardo le questioni strategiche di vitale importanza, la rottura sarebbe stata la soluzione più a buon mercato, la quale avrebbe avuto però un'influenza negativa sull'unità del partito. Non potevamo scegliere questa strada.

Nonostante i giochi di diplomazia borghese e le contorsioni, abbiamo dovuto rafforzare il nostro impegno - sebbene ciò fosse alquanto difficile e doloroso - e prepararci al tradimento. Avevamo già constatato in che modo la vecchia guardia avesse imboccato la strada del tradimento, ma non avevamo pregiudizi. Abbiamo chiesto agli autori [della pubblicazione, ndT] perché nella bozza finale i punti da noi criticati, che avrebbero dovuto essere corretti, non erano cambiati. La risposta è stata abbastanza curiosa, persino infantile, e cioè che c'era stato un errore di stampa e che tutti i punti sarebbero stati discussi e corretti nei numeri successivi della rivista. Un altro presunto responsabile [della pubblicazione, ndT] ha affermato di non sapere la ragione per cui la bozza fosse stata scritta in quel modo, dato che lui condivideva le nostre opinioni. In queste risposte c'era il ghigno tipico della diplomazia borghese. Tuttavia dovevamo aspettare che i punti del programma venissero pubblicati: non c’erano altri modi per far avanzare la discussione.

Sebbene l'unità ideologica in programma avesse fatto un passo in avanti, la rivista di Devrimci Yol non adempiva il compito di finalizzare tale unità ideologica, e sebbene fosse trascorso del tempo, essi continuavano a riempire le pagine della rivista con dei problemi quotidiani cercando di tenerci a bada. Alle nostre proteste hanno risposto dicendo. «Aspettate ancora un po'». Devrimci Yol cercava il momento giusto per imporci le sue opinioni ideologiche soggettivistiche e, a causa di questo atteggiamento, la decisione di far progredire la centralizzazione dell'organizzazione unita, allo scopo di estendere la lotta, non è stata realizzata. Non hanno risposto ai nostri perché e invece hanno cominciato a piazzare le loro persone come quadri di Devrimci Yol, a stabilire contatti personali ed a diffondere la loro linea personale di destra per metterci contro le persone in caso di rottura. Il loro scopo era diventato palese. Facendo sfoggio della diplomazia borghese, i punti che «sarebbero stati pubblicati» non sono stati affatto pubblicati poiché farlo prima di aver stabilito il proprio partito/organizzazione avrebbe significato la loro fine. Fino ad allora il loro slogan era: «Difendiamo il THKP-C», poiché era l'unico modo che avevano a disposizione, o che comunque a loro sembrava tale, per poter raccogliere il potenziale del THKP-C. Nonostante tutti i loro tentativi di fare una politica di partito e tutti i loro evidenti giochetti nei nostri confronti -che ci erano ben chiari e di cui eravamo consapevoli- abbiamo rnantenuto la nostra posizione e cercato insistentemente di portare alla luce del sole le opinioni differenti. Le reazioni dei nostri simpatizzanti diventavano sempre più forti: la situazione non poteva più continuare così e un nostro intervento diventava necessario.

Man mano che aumentavano gli attacchi dei fascisti, sia dei gruppi “civili” che dei militari, già si poteva vedere che dallo stato d'emergenza sarebbero passati ad una nuovo giunta militare. Gli attacchi diventavano sempre più frequenti e pesanti, ma Devrimci Yol non era un'organizzazione in grado di far fronte alle aggressioni nemiche: non sapeva nemmeno cosa fare in questi casi e non aveva alcuna prospettiva di quali tattiche impiegare nella lotta. Inoltre evitava testardamente il confronto su come intraprendere la lotta, sul modo di rendere inefficaci il terrorismo di stato e dei fascisti e le tattiche nemiche di provocazione al fine di terrorizzare e pacificare le masse. Indubbiamente noi volevamo compiere il nostro dovere verso la rivoluzione ed il popolo secondo la prospettiva e la responsabilità del THKP-C: lo volevamo con tutte le nostre forze, così come non volevamo lottare impreparati, ma purtroppo le nostre condizioni erano ben diverse da quelle di un'organizzazione già sviluppata a livello centrale che sapesse ciò che bisognava fare.

Il 1° maggio 1977 è un chiaro esempio dello sviluppo del movimento rivoluzionario in Turchia e di come l'oligarchia ha agito contro di esso. Questo stesso esempio mostra che l'oligarchia ha utilizzato la negligenza, l'ignoranza nei confronti del nemico, l'ingenuità e l'atteggiamento distorto della sinistra. In quella fase la sinistra opportunista e revisionista si era suddivisa nelle linee filosovietica, filocinese e filoalbanese. Per loro il nemico era diventato il fratello e si accusavano reciprocamente dandosi l'un l'altro dei «Lupi grigi maoisti» e dei «socialfascisti». I revisionisti ripetevano ogni singola parola del PCUS [Partito Comunista dell'Unione Sovietica], mentre coloro che stavano dalla parte dell'Albania e della Cina agivano come degli adepti del PLA [Partito dei lavoratori d'Albania] e del PCC [Partito Comunista Cinese]. La battaglia ideologica tra i paesi socialisti ed il loro atteggiamento nella pratica erano stati caricaturizzati e proiettati nel nostro paese durante la fase iniziale della lotta e questo aveva causato lo spargimento di sangue dei rivoluzionari e la ridefinizione degli obiettivi della lotta. «Scorrerà sangue», «Ci saranno scontri tra le sinistre»: con questa propaganda, diffusa la settimana precedente al 1° maggio, l'oligarchia aveva indicato la strada che avrebbe seguito per compiere i suoi scontri ed i suoi massacri pianificati, utilizzando, nel fare ciò, proprio il comportamento di quelle sinistre che avevano dimostrato di essere pronte a battaglie e scontri reciproci e, se necessario, anche allo spargimento di sangue.

La sinistra ha così partecipato al gioco delle provocazioni dell'oligarchia: da una parte i riformisti dichiaravano che «non avrebbero lasciato la piazza del 1° maggio ai lupi grigi maoisti» e dall'altra il blocco opportunista di sinistra faceva minacce del tipo: «raggiungeremo il luogo del concentramento a qualunque costo». Ignorando il nostro avvertimento di fare attenzione alle provocazioni, hanno continuato a fare queste dichiarazioni, spianando così la strada alle provocazioni dell'oligarchia.

Utilizzando le affermazioni demagogiche che alla manifestazione del 1° maggio gli opportunisti volessero aprirsi la strada con la forza, la contro-guerriglia ha potuto compiere il suo massacro pianificato, sparando su centinaia di migliaia di persone che si erano radunate in piazza ed uccidendo 36 rivoluzionari e patrioti. Gli opportunisti si sentivano forti quando gridavano le loro minacce, ma lì, in piazza, durante il massacro, non sono stati nemmeno in grado di proteggere le masse. Tutti, compreso «il gruppo di Ankara», presi dal panico, hanno pensato unicamente a salvarsi la pelle. Soltanto Dev-Genç  « ha dato dimostrazione di una condotta organizzata, rimanendo in piazza ed intraprendendo una resistenza armata contro la contro-guerriglia. Questo gruppo ha dimostrato coraggio marciando compatto verso i carri armati, sparando a sua volta per impedire che il massacro degenerasse in uno ancora più grave e cercando di ridurre il panico e di evitare che le persone rimanessero pigiate nella calca e calpestate. Dev-Genç non ha chiuso gli striscioni e le sue bandiere e, quando ha constatato di non poter fare di più, si è ritirato in maniera organizzata e disciplinata. Ben distanti dalle responsabilità e consapevolezza rivoluzionarie, molti opportunisti e revisionisti hanno così aggiunto, a quelle che già avevano, un'ulteriore colpa: il massacro del popolo. Mentre l'oligarchia pubblicava titoli come: «Non ve l'avevamo detto ?», nei giorni successivi alla manifestazione gli opportunisti ed i revisionisti, ancora sotto shock e temendo la reazione del popolo, non hanno avuto il coraggio di farsi vivi presso le organizzazioni democratiche e nemmeno di girare tra le masse. Tuttavia questa è stata solo una fase momentanea, poiché queste organizzazioni, non avendo il progetto di condurre la rivoluzione nel nostro paese, non avendo fiducia in se stesse e operando come se fossero state delle sezioni di altre organizzazioni, non potevano cambiare in breve tempo. Infatti, dopo qualche giorno, quando l'opinione pubblica era venuta a conoscenza del fatto che era stata la contro-guerriglia la responsabile del massacro, questi sono rientrati nuovamente nell'arena politica continuando ad azzuffarsi  reciprocamente.

Il 1° maggio 1977 ed il massacro avvenuto sono la chiara dimostrazione che la sinistra opportunista e revisionista, con la sua condotta presta il fianco alle provocazioni della contro-guerriglia, che possiede una lingua tagliente ed è abile nell'incitare alla lotta, ma che, di fronte agli attacchi nemici, non ha fiducia in sé e nemmeno nel popolo.

Un'organizzazione rivoluzionaria, un movimento rivoluzionario, un'identità indipendente si possono formare solamente dopo aver analizzato la rivoluzione nel proprio paese e tenendo conto delle sue caratteristiche e delle specificità generali e locali. Le organizzazioni che continuano ostinatamente a considerare le organizzazioni di altri paesi come modelli da seguire si comporteranno come delle bandiere che cambiano a seconda del vento e per questa ragione non troveranno mai la linea giusta e non potranno evitare di essere strumentalizzate. Tuttavia, quando abbiamo fatto presente questa cosa, nessuno ci ha dato retta e tutti hanno fatto quel che gli pareva, definendoci ironicamente «i difensori della via di mezzo» per il fatto che non seguivamo i partiti comunisti sovietico, cinese o albanese e che criticavamo i loro errori e deviazioni. Di sicuro non esiste nessuna via di mezzo nel marxismo-leninismo: la principale differenza tra noi e loro è che noi mantenevamo la rotta sulla base del marxismo-leninismo e loro seguivano l'opportunismo ed il revisionismo. Questa differenza era talmente impressionante da risultare quasi sempre evidente; inoltre essa ha portato le persone alla rovina, alla delusione ed al disgusto, quando queste si sono rese conto di venire accusate proprio da quei partiti che seguivano. Ed è proprio per questa ragione che nei momenti difficili questi movimenti avrebbero facilmente deviato a destra e col tempo sarebbero giunte ad un accordo col governo. Allora queste verità non avevano alcun senso per questi gruppi, ma i rivoluzionari, che combattevano fin dal 1974, le avevano ben constatate.

Anche se gli opportunisti ed i revisionisti avevano guadagnato una certa forza, copiando e seguendo rigorosamente la propria linea preferita, dato che non se l'erano conquistata con la lotta l'avrebbero anche potuta perdere con facilità. Alle loro spalle non c'era nessuna forza reale: di fronte ai duri colpi dell'oligarchia se ne sono ritornati fra le braccia del sistema o sono stati emarginati. Il loro progetto non era né creativo né originale: emulazione, estraneità al processo rivoluzionario, opposizione alla crescita della lotta rivoluzionaria constatata oggettivamente, assunzione delle medesime posizioni delle forze del sistema. Manifestavano una dura opposizione a qualsiasi lotta che non fosse la loro e in modo particolare alla lotta armata contro il sistema: facevano quel che gli pareva e per oscuri motivi si opponevano a tutte le attività di un'organizzazione se questa intraprendeva la lotta armata, cercando di indebolirla e persino di distruggerla. Tutto ciò che della loro condotta risultava incomprensibile si poteva essenzialmente interpretare come la difesa del sistema: non c'era nessuna muraglia cinese fra i loro statuti e quelli del sistema stesso.

Il 1° maggio 1977 è stato anche la dimostrazione di quale sarebbe stata la politica che l'oligarchia avrebbe intrapreso in futuro contro i rivoluzionari ed il popolo. La situazione della sinistra, visto lo sviluppo della necessità della guerra di classe, ci ha impartito un prezioso insegnamento: si doveva andare incontro a questi bisogni senza riserve; tale compito si doveva realizzare in unità e fin dal primo numero della rivista di Devrimci Yol. Tuttavia, sebbene fosse già trascorso un anno, non si intravedeva uno sforzo reale in questo senso, né verso l'organizzazione del movimento, né verso l'unità ideologica.

Abbiamo Così deciso di compiere un ultimo passo per superare questa situazione bloccata, in cui ormai nessuna affermazione produceva degli effetti e dove non riuscivamo più a vedere una qualche prospettiva, avviando la discussione con tutti i quadri più importanti che avevano guidato le masse e che avevano avuto la responsabilità della direzione fin dal 1973-74. Questi quadri, al fine di esercitare una certa pressione, hanno accantonato i propri compiti per un periodo indeterminato ed hanno detto: «Tutte queste questioni vanno discusse immediatamente: o le discussioni daranno dei risultati o le nostre attività come Devrimci Yol cesseranno per la mancanza di chiarezza e di coscienza».

I redattori di Devrimci Yol erano molto contenti della nostra decisione. Hanno cominciato a sostituire i nostri compagni con persone del loro giro provenienti da Ankara, intenzionate a porre ogni cosa sotto il proprio controllo ed a gestirla secondo un punto di vista di destra. Queste persone erano totalmente estranee alla realtà della nostra lotta ed alla nostra linea militante: con un'impostazione burocratica si sono messi a discutere di tutti gli argomenti, che li conoscessero o meno; impartivano ordini e trattavano tutti con disprezzo, ricevendone le ovvie reazioni conseguenti. I nostri quadri, formati in base alla prospettiva del THKP-C, in questa situazione non vedevano differenze sostanziali tra il KSD e gli altri opportunisti, poiché la pratica di denuncia della linea del THKP-C da parte di questi ultimi smascherava le loro reali opinioni. I redattori di Devrimci Yol hanno tentato di utilizzare il fatto che avessimo accantonato i nostri compiti per accelerare le loro intenzioni di liquidare il THKP-C. Il nostro ultimo tentativo di avvicinamento non ha portato ad un risultato positivo, però la distruzione della maschera, dietro cui si nascondevano i tentativi liquidazionisti di Devrimci Yol, ha avuto un'accelerazione: finché dovevano fare i conti con la nostra critica alla linea di destra di Devrimci Yol, non hanno avuto il coraggio di mostrare apertamente né il loro punto di vista, ispirato alla società civile, né le loro teorie, prese dalla rivista della società civile Birikim [Esperienza]. Era necessario discutere dei problemi, restando all'interno del gruppo, in una struttura che avrebbe dato vita all'unità ideologica, allo scopo di raggiungere l'unità del THKP-C e la centralizzazione del suo potenziale, anche se il movimento di Devrimci Yol non aveva strutture organizzate, così come era necessaria una piattaforma che Devrimci Yol temeva, tanto da aver fatto di tutto per evitarla. La difesa del THKP-C e l'organizzazione dell'unità non erano problemi che li riguardassero: il redattore capo si preoccupava soltanto di costruire gradualmente un movimento chiuso che col tempo si sarebbe aperto, un movimento di rinnegati, legalista, burocratico, di destra, e che si basava sulle opinioni della società civile, e in questa direzione si dovevano sviluppare una struttura di quadri, un'organizzazione conforme e tattiche di rifiuto. Questi sono i motivi per cui non hanno affrontato le questioni importanti, non hanno dato risposte ed hanno portato il movimento ad uno stato tale che non era più possibile non farsi trascinare in qualsiasi direzione e dallo spontaneismo. Per il redattore capo l'unico ostacolo era costituito dall'opposizione dei quadri marxisti-leninisti che portavano avanti l'eredità del THKP-C: senza la loro destituzione non avrebbero potuto dar seguito alla propria ideologia, organizzazione e pratica. Ecco perché tutto il loro impegno convergeva nel togliere di mezzo, ideologicamente e fisicamente, tale ostacolo.

In seguito alla valutazione di questi nuovi sviluppi, ha avuto luogo un ultimo incontro con i redattori di Devrimci Yol, poiché bisognava risolvere la situazione, ma questi, pensando di aver eliminato l'ostacolo, insistevano sul fatto che dovevamo accettare le loro opinioni. A questo punto la rottura, o meglio la liquidazione di Devrimci Yol,  era diventata inevitabile. I redattori di Devrimci Yol avevano deciso di utilizzare il 1° maggio 1978 per dimostrare la loro forza e per far credere all'opinione pubblica di sinistra ed al popolo che non vi erano conflitti all'interno di Devrimci Yol e che essi avevano il potere in tutte le regioni e in tutte le zone. Qualsiasi impegno e sforzo per raggiungere l'unità era andato in fumo e la rottura era diventata l'unica soluzione possibile. E così in tutto il paese i nostri quadri hanno deciso di fermare il gioco liquidazionista di Devrimci Yol: abbiamo deciso di mostrare la nostra forza e non avremmo permesso loro di mentire al popolo ed ai rivoluzionari.

I rinnegati di Devrimci Yol erano indaffarati nei preparativi del 1° maggio 1978, ma il popolo della Turchia e la sinistra stavano per vedere chiaramente che Istanbul e molte città dell'Anatolia non erano d'accordo e non stavano con Devrimci Yol: decine di migliaia di lavoratori, giovani, dipendenti statali e persone provenienti dai diversi settori della popolazione hanno rifiutato gli slogan e gli striscioni di Devrimci Yol e in maniera disciplinata si sono riuniti dietro un enorme striscione rosso e giallo sul quale c'era scritto: «La nostra strada è la strada di Cayan». I rinnegati di Devrimci Yol erano giunti da Ankara con decine di migliaia di persone, ma ora si ritrovavano in 40-50, che -furiosi per il fatto che la politica borghese che avevano portato avanti per anni e le loro menzogne non avevano dato i frutti che speravano- hanno cominciato a fare provocazioni. Il loro atteggiamento provocatorio si è spinto fino al punto di cercare lo scontro, estraendo addirittura le armi, ed è solo grazie al buon senso, alla maturità, alla coscienza ed alla condotta da parte nostra, appropriati alla fase storica, che si è evitato che le provocazioni dessero i risultati sperati.

La manifestazione del 1° maggio 1978 ha dato questo risultato: che noi -che non operavamo ancora come Devrimci Sol - abbiamo dimostrato chiaramente al nostro popolo il fatto che ci eravamo sbarazzati dei rinnegati, che eravamo i difensori dell'eredità del THKP-C e che non eravamo più all'interno di Devrimci Yol. In questo modo tutti i tentativi di Devrimci Yol di nascondere e mistificare i fatti secondo il motto: «Non vi sono problemi all'interno del movimento; se un piccolo gruppo se ne va allora la responsabilità è la sua» si sono mostrati per quello che erano: menzogne ed inganni.

La distanza fra il popolo e la sinistra era diventata concreta. A quel punto dovevamo affrontare il compito di spiegare al popolo le ragioni di tale rottura ed offrirgli le nostre prospettive e teorie, completandole con l'aiuto di una prassi adeguata e prendendo in mano l'organizzazione, l'ideologia e la politica, dandone una ripulita dalle influenze di Devrimci Yol.

L'oppressione ed il terrorismo erano aumentati e lo "stato civile d'emergenza" di fatto si stava sempre più trasformando in uno stato d'emergenza ed era ovvio che questo sviluppo sarebbe sfociato nell'insediamento di una giunta militare. Dovevamo superare la nostra mancanza di organizzazione interna, sviluppare una nuova prospettiva basata sulla lotta armata, abbandonare la linea legalista e spontaneista di Devrimci Yol e sbarazzarci dei suoi rimasugli. Ci stavamo sempre più lasciando alle spalle quell'atteggiamento legalista che si era sviluppato in condizioni di minor oppressione e terrorismo. I tentativi liquidazionisti e la politica borghese di Devrimci Yol ci erano costati anni. Ora, in condizioni di oppressione, soggetti ancora alle influenze dei rinnegati di Devrimci Yol e comunque lottando ancora contro di essi, organizzando ed intraprendendo la guerra, dovevamo compiere un ulteriore passo in avanti per affrontare tutte le questioni della rivoluzione e per costruire un'organizzazione che non avrebbe dovuto subire deviazioni, né a destra né a sinistra, qualunque fossero le circostanze.

Potevamo realizzare con successo la costruzione di una nuova organizzazione e di una nuova coscienza rivoluzionaria soltanto sviluppando, sulla base della democrazia interna, l'esercizio ed il lavoro di tale coscienza. Nel nostro movimento, soprattutto nella fase della costruzione del partito, dovevamo prestare particolare attenzione alla democrazia interna e ad una partecipazione che fosse la più ampia possibile. Infatti la partecipazione, l'unità ideologica, lo spirito di una nuova crescita e la stabilizzazione dei passi compiuti vanno avanti insieme.

Non era assolutamente possibile far progredire un movimento che non desse fiducia ai propri quadri e che non ricercasse soluzioni comuni. Al fine di sviluppare il nostro futuro e di persuadere diversi settori della popolazione in fasi differenti, dovevamo perseguire una politica basata sulla crescita dei quadri e sul miglioramento dei legami con le masse popolari.

In base a questa prospettiva, il movimento aveva avviato un dibattito sulla nostra rottura con Devrimci Yol, sulle nostre critiche, sull'atteggiamento di rifiuto da parte dei rinnegati e su ciò che si doveva ftare. Per questo motivo avevamo organizzato una riunione di tutti i quadri della Turchia - circa una cinquantina -, la quale si era conclusa con l'unanime decisione che si doveva impedire la liquidazione del THKP-C e che bisognava difenderne l'eredità e che, proprio su questa prospettiva, ci saremmo al più presto riorganizzati a tutti i livelli come un'organizzazione autonoma ed indipendente: saremmo entrati nell'arena politica ed avremmo preparato una bozza su questi temi, che avremmo poi diffuso tra i quadri.

In breve tempo l'opuscolo I rinnegati di Devrimcì Yol e la linea rivoluzionaria era stato preparato, discusso, votato e pubblicato.

Nel frattempo ci eravamo riorganizzati nelle regioni, avevamo dato vita ad un organo centrale costituito da giovani, il Dev-Genç, ed avevamo cominciato anche a far fronte agli altri compiti.

I circoli di Devrimci Yol, spaventati, avevano deciso di attaccare i nostri quadri e simpatizzanti, cercando di ostacolare il nostro cammino e di fermare il dibattito con pestaggi, ferimenti, tranelli, censure delle discussioni, campagne menzognere, calunnie e tutti gli altri metodi immaginabili, non riuscendo tuttavia ad impedire il dibattito e a far cessare la propria «perdita di sangue». Aggrappandosi a ciò che gli era rimasto, si erano precipitati ad uscire apertamente con le loro teorie di destra basate sulla «società civile»: tanto non c'era più nessuno in Devrimci Yol che si opponesse veramente a tali teorie. Avevano così potuto formare i loro quadri, stabilire i capisaldi ideologici fondati sulle loro teorie e stamparli sulle loro pubblicazioni principali. Avevano tentato di sopprimere con la violenza il dibattito fin dalla sua fase iniziale, ma nonostante tutti questi attacchi e le campagne di calunnia, la teoria e la pratica di Devrimci Sol si era diffusa in tutto il paese con l'impeto di un'onda. Devrimci Sol, che così si presentava nell'arena politica, aveva promesso di difendere l'eredità del THKP-C ed avrebbe mantenuto alta la bandiera della lotta.

Ora, sul suolo di Turchia e Kurdistan, c'era una sinistra rivoluzionaria.

I nemici e gli opportunisti puntavano le loro frecce contro il nostro movimento, ma noi eravamo presenti quasi dappertutto  e lavoravamo per dimostrare che eravamo un'organizzazione in grado di rendere inefficace il terrorismo fascista attraverso lo sviluppo della lotta contro il terrorismo di stato  ufficiale e dei gruppi  fascisti.

Lo Stato d'Emergenza ed i Massacri Fascisti Contro il Popolo

 

L'oligarchia, come fase di transizione prima dell'insediamento della giunta militare, aveva introdotto lo stato d'emergenza. In questo contesto dovevamo far fronte al compito di organizzare le masse ed aumentare la resistenza. Il blocco opportunista e revisionista si era mostrato disorientato di fronte alla proclamazione dello stato d'emergenza e per dei mesi se n'era rimasto ritirato in silenzio ad osservare lo sviluppo degli eventi, mentre il nostro movimento aveva valutato la situazione ed annunciato l'imminente colpo di stato militare. La situazione richiedeva prontezza e da parte nostra avevamo fatto appello a tutte le forze antifasciste ed antimperialiste per l'unità e per l'unione della resistenza.

Col massacro di Maras l'oligarchia aveva aperto un nuovo capitolo: le sue intenzioni erano quelle di intimidire le forze rivoluzionario-democratiche e di spingerle alla passività.

Dovevamo prevenire le conseguenze, i massacri fascisti, le tattiche di intimidazione e di provocazione tra Sunniti ed Aleviti, ecc. e le provocazioni a livello religioso ed etnico. L'obiettivo dell'oligarchia era quello di causare scontri e provocazioni nelle zone in cui gli Aleviti ed i Sunniti vivevano insieme. La sinistra opportunista era rimasta indifferente di fronte a questi sviluppi che mostravano chiaramente il passaggio da una situazione di terrorismo fascista a quella di un aperto fascismo. Il risultato degli interminabili colloqui, durati mesi, sull'unità di queste organizzazioni era stato unicamente quello degli insulti, dei conflitti e degli inutili appelli ad un fronte che forse avrebbe potuto esistere nel nome ma non nella realtà. Coloro che non erano in grado di affrontare il nemico nell'arena politica e le cui difficoltà erano quelle di  garantirsi la sopravvivenza, giocavano con le masse, approfittando del loro desiderio di unità per mantenersi a galla. Ecco perché gli appelli quali: «L'unità non può esistere solamente nella lotta, ma si raggiunge sviluppando la lotta in tutti i campi» rimanevano senza risposte.

Se la sinistra era rimasta disorientata ed in silenzio di fronte al massacro di Kahramanmaras ed alla dichiarazione dello stato d'emergenza, Devrimci Sol aveva compiuto occupazioni di università, scuole, fabbriche ed altri luoghi di lavoro, sulla base della violenza "di massa" e rivoluzionaria e realizzate da decine di migliaia di persone. In tutta la nazione erano state compiute molteplici azioni illegali ed erano state distrutte diverse sedi fasciste.

Se da un lato proseguivamo nel nostro impegno di rendere vane le tattiche fasciste di intimidazione delle masse e di realizzare un ordine rivoluzionario su una base solida, dall'altro dovevamo far fronte a nuovi e più pesanti attacchi dell'oligarchia.

Il massacro fascista del 16 marzo 1978 all'università di Istanbul era il primo segnale che il fascismo aveva l'intenzione di compiere grossi massacri anche in questa città. La sinistra, ancora una volta impassibile di fronte a questo fatto, non riusciva a capire che cosa stessero progettando i fascisti, che cosa fosse il fascismo ed il modo in cui stesse delineando le proprie tattiche che avrebbero portato al massacro di Maras.

In seguito al massacro di Kahramanmaras compiuto dall'oligarchia, il popolo - già intimidito dalle quotidiane esecuzioni di rivoluzionari e di democratici eseguite da gruppi fascisti - aveva subito ulteriori spaccature e divisioni, oltre agli scontri per questioni etniche e religiose - gli odierni conflitti artificiali - creati per dividere il paese, per istigare alla guerra civile e per distruggere le forze rivoluzionarie del popolo.

Erano soprattutto gli Aleviti ad essere duramente attaccati e presentati come comunisti, questo per facilitare il passaggio dei Sunniti alla linea controrivoluzionaria. La pratica e la politica fallimentari della sinistra, esclusivamente dedite al credo religioso alevita, avevano agevolato il lavoro dell'oligarchia che mirava appunto a portare i Sunniti ad una linea fedele allo stato. Da quel momento in poi non era più un segreto che ci sarebbero stati altri massacri come quello di Maras, soprattutto in città come Elazig, Malatya, Sivak, Tokat, Çorum ed Amasya, che presentavano quelle caratteristiche per le quali risultavano i luoghi più indicati alle stragi ed alle divisioni del popolo.

Fin dal 1974 l'oligarchia aveva istigato i gruppi fascisti ad agire contro il potenziale rivoluzionario ed il popolo e, quando questi erano diventati insufficienti a tale scopo, allora lo stato stesso era entrato in gioco. L'obiettivo principale dei fascisti, civili e militari, era quello di sconfiggere la lotta di classe, al di là di tutti gli effetti che da ogni parte ne sarebbero conseguiti.

L'oligarchia da un lato continuava ad alimentare gli attacchi dei gruppi  fascisti, coperti e protetti appunto dallo stato, e dall'altro a propagandare, nonostante i fatti, la propria neutralità, cercando di inquinare la coscienza del popolo per mezzo del cosiddetto "conflitto tra la destra e la sinistra". Possiamo affermare che questa propaganda demagogica aveva dato i suoi frutti. Una ragione di tale successo era dovuta al fatto che le sinistre opportunista e revisionista consideravamo gli attacchi dei gruppi fascisti come azioni indipendenti dallo stato e compiute esclusivamente dai fascisti del MHP [Partito d'azione nazionalista] e dalle sue organizzazioni. Molti gruppi di sinistra vedevano il MHP sotto questa luce e non invece il fatto che fosse un partito creato e controllato soprattutto dalla CIA e dalla contro-guerriglia, di conseguenza presentavano le loro lamentele direttamente allo stato credendo in questo modo -pii desideri !- di porre fine agli attacchi fascisti. I gruppi di sinistra più apparentemente attivi sostenevano di poter perseguire soltanto una linea difensiva al servizio della sicurezza delle masse e consideravano la guerra dichiarata alle sedi fasciste, la resistenza attiva e la mobilitazione delle masse contro i fascisti come «l’accettazione delle provocazioni e del terrorismo». Sebbene la strategia dell'organizzazione “Sentiero rivoluzionario” (Devrimci Yol) - secondo le sue dichiarazioni - si basava sulla guerra popolare, in realtà essa era apertamente revisionista. Qualunque cosa si dicesse, essa veniva condivisa da tutti, sia dai gruppi riformisti che da quelli opportunisti. Inoltre questi si opponevano alla violenza rivoluzionaria indirizzata contro il fascismo e criticavano coloro che resistevano attivamente. I rappresentanti di questo genere di pensiero si erano così allontanati dalla lotta armata popolare organizzata contro il fascismo e un grande numero di persone di sinistra, con l'aumento della repressione e della violenza, aveva abbandonato le proprie teorie e si era arreso al fascismo.

Era prevedibile che coloro che non analizzavano la situazione in base all'ideologia marxista-leninista si sarebbero piegati ed arresi al fascismo organizzato, ai suoi metodi e tattiche. Tuttavia allora e in quel contesto, quando tutti predicavano le loro tesi sulla "Insurrezione della lotta armata popolare", era impossibile far capire queste cose al popolo: la verità sarebbe venuta completamente a galla dieci anni dopo. Questi gruppi di sinistra, che non avevano fiducia nella loro forza e che non sapevano analizzare correttamente la realtà del paese, attingevano ed alimentavano le loro teorie soprattutto dal revisionismo e dall'ideologia della società civile. Queste tendenze deviazioniste non sarebbero sfuggite all'integrazione del sistema, nel momento in cui i loro ex sostenitori, dai quali attingevano la forza e nei quali credevano, sarebbero diventati sempre di meno.

 

La crescita del terrorismo fascista e lo sviluppo della lotta nelle città e nelle zone rurali

L'attacco massiccio da parte dei gruppi fascisti aveva confutato la demagogia dello stato sui "conflitti tra la destra e la sinistra", sviluppandosi fino a giungere ad una situazione di costante aumento degli attacchi compiuti direttamente dallo stato fascista. Infatti lo stato non poteva impedire alle masse popolari di sviluppare la propria coscienza politica e di stare dalla parte dei rivoluzionari, così che, nel momento in cui i massacri si erano dimostrati inefficaci, l'ultima risorsa era stata quella di instaurare un regime apertamente fascista.

Da parte nostra dovevamo prevenire gli attacchi fascisti, distruggere i loro piani, fermare i giochi del dividi et impera e dovevamo estendere la nostra organizzazione, prepararci alla fase apertamente fascista ed incrementare la lotta in una situazione in cui tutte le libertà, che già prima erano comunque limitate, erano state completamente abolite e in cui le aggressioni e le operazioni nemiche erano in costante aumento.

Devrimci Yol era diventato sempre più spontaneista e non aveva voluto contribuire ai programmi strategici e tattici: a causa sua avevamo perso degli anni durante i quali sarebbe stato possibile compiere un avanzamento. Nel periodo di transizione alla fase apertamente fascista, noi eravamo ancora ben lontani dall'essere organizzati seriamente, in modo da garantirci almeno la sopravvivenza e la prosecuzione della lotta. Eravamo prima di tutto un'organizzazione giovane e priva di esperienza e professionalità necessarie. Diciamo che ciò che avevamo raggiunto fino a quel momento, ciò che si doveva ancora fare e ciò che bisognava assolutamente capire erano tutte cose che avevamo appreso scontrandoci con l'arroganza di opportunisti e traditori.

A causa del tradimento degli ex rivoluzionari, il movimento rivoluzionario aveva corso il rischio di lottare in una situazione apertamente fascista senza l'adeguata preparazione. Nonostante gli anni di lotta, eravamo ancora ben lontani dal realizzare nella pratica la linea della lotta popolare, dall'organizzare le masse nelle città e nelle zone rurali e da convincere il popolo alla lotta. In seguito ai risultati positivi delle "Unità di lotta armata contro il terrorismo fascista" dovevamo introdurre unità armate anche nelle zone rurali ed era per questa ragione che le avevamo inviate in zone strategicamente importanti come il Kurdistan e la regione del Mar Nero. Le unità armate non erano ancora in grado, né tecnicamente né dal punto di vista dell'equipaggiamento, di cominciare la guerriglia urbana: la storia rivoluzionaria della Turchia non aveva nessuna esperienza in questo campo, che avevamo accettato in eredità e sulla quale avevamo costruito. Le unità armate dovevano vivere nelle zone rurali ed acquistare esperienza scontrandosi direttamente con le tattiche fasciste. Fino a quando fosse stato possibile, avrebbero dovuto prendere precauzioni, fare esperienza, evitare di attaccare le forze nemiche e, solo in caso di attacco, avrebbero dovuto difendersi. Nel campo della guerriglia urbana - anche se non la consideravamo ancora tale - le nostre unità armate avevano acquistato notevole esperienza, rendendo perciò possibile l'organizzazione della guerriglia urbana sulla base dell'esperienza delle unità armate, che si potevano considerare di professione. Però in questa fase di transizione al fascismo, nel corso della quale le forze nemiche si stavano sviluppando nelle città, dovevamo a tutti i costi rafforzarci nelle zone rurali per poter fornire sostegno ai nostri quadri delle città. Se non approfondivamo questa linea strategica, la sconfitta e la repressione della lotta sarebbe stata inevitabile.

 

La giustizia rivoluzionaria contro il terrorismo fascista

Le masse avevano potuto constatare in quei giorni il significato della nostra giustizia rivoluzionaria. I massacri fascisti contro donne, bambini ed anziani e le bombe nelle zone residenziali avevano dato origine al caos. In quanto ultimi costruttori del potere rivoluzionario, i rivoluzionari, in qualsiasi circostanza, dovevano reagire con molta attenzione riguardo alla giustizia rivoluzionaria. Seguendo questa linea di condotta, che ci distingueva dal resto della sinistra, le nostre azioni contro i commissariati venivano compiute tenendo conto persino della differenza tra colpevoli e non colpevoli: non si colpiva qualcuno soltanto per il fatto che appartenesse alle forze dello stato, bensì si cercavano i colpevoli, cioè coloro che avevano colpito i nostri compagni, e li si punivano.

Ad esempio, Erdal Görücü, comandante capo della gendarmeria fascista, aveva arrestato un gruppo di compagni che distribuivano volantini. Sebbene il compagno Hüseyin Aksoy si fosse arreso, Erdal Görücü gli aveva ugualmente sparato.

A questo proposito, nel corso di una campagna condotta in quella zona, avevamo annunciato che in tutti i casi avremmo punito il fascista Erdal Görücü , che appunto è stato poi trovato e punito.

Sempre ad esempio, durante un'azione contro gli speculatori, condotta nell’ambito della Campagna contro l’imperialismo, il fascismo, l'aumento dei prezzi e la disoccupazione, avevamo confiscato e consegnato al popolo un'autocisterna di petrolio. I poliziotti del commissariato di Sisli ci avevano attaccato: mentre tre si erano opposti all'uccisione del compagno Hüseyin Tas, il quarto, Ismail Top, voleva assassinarlo. Siccome il compagno si trovava davanti ad una barricata, non aveva potuto fuggire ed era stato colpito mortalmente dai proiettili sparati da Ismail Top. I poliziotti, conoscendo già la nostra giustizia rivoluzionaria, ci avevano dato il nome del poliziotto colpevole. Così, senza che questi interferissero, avevamo fatto conoscere al popolo la colpa di lsmail Top e poi lo abbiamo trovato e punito.

Si potrebbero citare molti altri esempi. Forse queste azioni, compiute nei giorni in cui la lotta si stava trasformando e sviluppando, potrebbero sembrare un lusso, una mera soddisfazione. Le cose però non stavano in questo modo, poiché nel corso della nascita di un movimento rivoluzionario che cominciava ad essere accettato dal popolo, nel quale i quadri avevano fatto propria la giustizia rivoluzionaria e la giustizia del potere rivoluzionario si rifletteva nei pensieri, queste azioni avevano giocato un ruolo fondamentale.

Gli sviluppi di tale pensiero avevano dato luogo a quanto segue: ad una più attenta scelta di amici e nemici, ad una maggiore valutazione degli amici, ad una migliore organizzazione delle masse, ad una maggiore attenzione nei confronti del popolo e ad una crescita della fiducia nelle nostre forze e capacità. Coloro che avevano un'opinione diversa, se in possesso del potere e dell'apparato statale, non riuscendo a distinguere correttamente tra colpevoli e non colpevoli, avrebbero applicato sempre di più metodi controrivoluzionari e non avrebbero rispettato le altre forze rivoluzionarie: la loro politica veniva determinata dalle armi, la loro linea non-rivoluzionaria era camuffata da rivoluzionaria ed esercitavano il terrore contro il popolo. Anche se in questo modo potevano avere qualche successo temporaneo, alimentavano la crescita del sospetto e della diffidenza al loro interno. Tutti questi sviluppi sarebbero sfociati in un atteggiamento sempre più controrivoluzionario.

Molti gruppi di sinistra, ben lontani dal pensiero marxista-leninista e dalla giustizia rivoluzionaria, si contrapponevano a noi come gli opportunisti, i riformisti, i nazionalisti kurdi: invece di impiegare le loro forze ed energie contro il nemico, le indirizzavano contro i rivoluzionari ed i patrioti, distruggendoli.

Questa situazione esistente fra i gruppi di sinistra e fra quelli nazionalisti aveva facilitato il lavoro dell'oligarchia ed i preparativi ad un regime apertamente fascista. I gruppi che non credevano nella propria organizzazione, nella lotta ideologica e nella lotta armata continuavano a distruggersi reciprocamente, poiché non volevano che dietro di loro rimanesse qualche forza in grado di criticare la loro politica... Si era giunti ad un livello tale che addirittura, proprio per questi motivi, in alcune zone gli strati politicizzati della popolazione si erano demoralizzati, la loro fiducia si era frantumata ed avevano abbandonato i rivoluzionari, poiché non li consideravano più il loro futuro e dubitavano che potessero prendere il potere. Il nostro movimento credeva fondamentalmente nelle proprie forze e capacità di organizzare il popolo e di incrementare la lotta. La teoria che sosteneva che prima bisognava eliminare la sinistra dall'arena politica per poi avviare la lotta contro l'oligarchia dimostrava una mancanza di fiducia ideologica. Da parte nostra non abbiamo mai giurato vendetta nemmeno nei confronti di quei gruppi che avevano assassinato i nostri sostenitori e quadri, cercando invece di smascherarli di fronte al popolo. Il Kurtulus Sosyalist Dergisi aveva ucciso Kemal Karaca, il MLSPB Mehmet Bückün e suo figlio di 10 anni, il TKP-ML Mustafa Albayrak e l'Aydinlik Turgut Ipcioglu. Molti compagni e sostenitori erano stati aggrediti e picchiati, altri, pur rimanendo feriti, erano riusciti a sfuggire ad attentati, a volte riuscendo a salvarsi solo per caso. Nonostante i compagni assassinati, il nostro movimento aveva mostrato una grande maturità insistendo sul fatto che non ci doveva essere spargimento di sangue tra i rivoluzionari e facendo appello a tutti i gruppi di sinistra di opporsi a questi scontri, di impedirli, di cercare una soluzione e di formare una commissione, approvata da tutti i gruppi, al fine di superare e risolvere i problemi. La sinistra aveva però rifiutato le nostre proposte rendendosi così responsabile dello spargimento di sangue dei rivoluzionari, che sarebbe proseguito fino al golpe del 12 settembre 1980.

 

I Traditori dell’Aydinlik

L'atteggiamento ostile degli opportunisti nei confronti del nostro movimento aveva raggiunto il culmine con gli attacchi controrivoluzionari dell'Aydink (PDA). Gli opportunisti dell'Aydinlik, con lo slogan «Né America né Russia» e con la teoria del “socialimperialismo”, si erano guadagnati la paternità dell'ideologia della sinistra opportunista. I loro pensieri revisionisti non puntavano all'analisi dell'imperialismo da una prospettiva marxista-leninista, ma invece ponevano la borghesia nazionale alla base della loro propaganda ed innalzavano muri sempre più spessi tra loro e i rivoluzionari. Muovendosi tra le quinte di questa  tendenza, dirigevano le masse popolari verso falsi obiettivi, assumevano un ruolo sempre più provocatorio e collaborazionista con l'oligarchia ed i suoi attacchi sistematici, compiuti insieme all'oligarchia, erano indirizzati contro le forze rivoluzionarie. Consideravano la resistenza contro il fascismo come un conflitto tra la destra e la sinistra, trasformavano l'URSS nel bersaglio delle masse popolari e camuffavano il vero imperialismo dichiarando: «Il principale pericolo è il socialimperialismo».

Questa teoria aveva dunque appoggiato l'installazione del IV Corpo d'armata al confine con l'Unione Sovietica in difesa da eventuali attacchi da parte dell'URSS. I sostenitori di questa teoria avevano definito “sinistra deviata”  tutte le forze della sinistra (tranne Devrimci Yol) ed adottato una linea controrivoluzionaria. Ad ogni manifestazione ed azione di resistenza contro il fascismo l'Aydinlik era presente come forza d'opposizione: era arrivato al punto di difendere i fascisti, opponendosi alle forze rivoluzionarie, in università, strade, fabbriche e villaggi, cercando di giustificare tale posizione con affermazioni quali: «l’anarchismo sta spingendo nel caos l'unità nazionale» e parlando di «provocazioni da parte del socialimperialismo». Ovunque ci fossero manifestazioni contro l'inno nazionale e di protesta contro lo sciovinismo, c'era anche l'Aydinlik pronto ad innalzare la bandiera nazionale insieme alle forze oligarchiche.

Questa era la loro opinione riguardo all’imperialismo americano: «La forza imperialista più pericolosa, e cioè la Russia, si sta nascondendo» ed era in questo modo che intendevano ancora indirizzare la lotta antimperialista.

Per anni questo gruppo, la cui condotta era di provocazione, si era nascosto dietro la maschera di “gruppo di sinistra”: non era nient'altro che la lunga mano dell'oligarchia, tuttavia godeva dell'approvazione delle forze della sinistra. Parallelamente all'aumento degli attacchi da parte dell'oligarchia, l'Aydinlik attaccava la crescente resistenza rivoluzionaria al fine di ostacolare lo sviluppo della lotta ed è per questa ragione che aveva dato il via alle provocazioni ed alle aggressioni nei confronti dei rivoluzionari.

Turgut Ipcioglu, liceale e quadro di Dev-Genç, era stato assassinato nel novembre 1978 proprio perché cercava di fermare queste provocazioni. L'Aydinlik, con la protezione della polizia, aveva aperto il fuoco sui nostri compagni ad Elazig ed in altre città, oltre ad averli indicati e denunciati alla polizia. Questa condotta non era diretta soltanto contro il nostro movimento. Infatti, tutte le organizzazioni che intraprendevano la lotta armata diventavano bersagli di questi attacchi. Uno di questi era il PKK, che l'Aydinlik definiva «il MHP del Kurdistan» e tutto era perciò giustificato. L'insistenza su questo punto e l'atteggiamento controrivoluzionario avevano svelato il vero volto dell'Aydinlik e non potevano più essere tollerati dalla sinistra. A questo proposito il nostro movimento aveva chiesto a tutte le forze rivoluzionarie e patriottiche di esprimere insieme tali opinioni senza però ricevere risposta. Basandoci sulle nostre forze, eravamo comunque riusciti ad esporti al popolo nelle università ed in altri luoghi, riuscendo così ad evitare le provocazioni. Anche se la maggior parte della sinistra non si era espressa sul nostro atteggiamento nei confronti dell'Aydinlik, tuttavia aveva preso le distanze da quest'ultimo, evitando di instaurare rapporti con esso. L'unica eccezione era Devrimci Yol: non aveva preso posizioni ed aveva continuato a portare avanti attività con questo gruppo. L'Aydinlik era ben consapevole dell'affinità riformista di Devrimci Yol a proposito dell'URSS, ma soprattutto riguardo alla sua pratica, molto vicina al sistema, ed alla mancanza di una prospettiva di potere e così aveva cercato di portarlo dalla propria parte. Le radici dell'amicizia tra Devrmci Yol e l'Aydinlik si fondavano proprio su questa affinità tra le loro linee.

L'Aydinlik aveva fatto propria l'ideologia borghese ed intrapreso lo scontro con i rivoluzionari. Avendo constatato lo sviluppo sia della lotta rivoluzionaria che degli attacchi dell'oligarchia ed essendosi reso conto dell'esistenza di un progetto che avrebbe portato all'insediamento di una giunta militare, l'Aydinlik aveva incautamente aumentato l'attacco ai rivoluzionari. In articoli quali La sinistra sconosciuta e I 49 gnippi della sinistra, pubblicati sul proprio quotidiano, vi erano riportati soprattutto i nomi e gli indirizzi coloro che difendevano la lotta armata contro l'oligarchia.

L'Aydinlik aveva ripetutamente evidenziato il fatto che non avrebbe attaccato il sistema e di non avere problemi con il governo. Inoltre aveva assunto il carattere nazionale dei governi che in quel periodo si erano susseguiti. Presentando tesi come quella che la vera minaccia proveniva dalla Russia e quella che i paesi del terzo mondo avrebbero dovuto creare un fronte unito contro il socialimperialismo, aveva proposto ai partiti borghesi la formazione di una coalizione nazionale. Tutta la sinistra che aveva rifiutato tale condotta era stata bollata come “sinistra deviata e provocatrice”, con tanto di richieste da parte dell'Aydinlik al fascismo di prendere provvedimenti a riguardo. L'Aydinlik, insieme alla polizia, aveva provocato disordini ed aveva dimostrato di difendere una linea ben più sciovinista di quella dei fascisti del MHP. L'Aydinlik voleva mettersi in bella mostra di fronte all'oligarchia, ma nonostante tutti i suoi preziosi servizi, c'era qualche aspetto che non era stato affatto gradito, come qualche pubblicazione (ad esempio sulla controguerriglia). E così, quando l'Aydinlik si era stabilito a Mamak, per ripagare il disturbo causato da quelle pubblicazioni, aveva cercato in tutti i modi di provare all'oligarchia quali servizi potesse renderle e come potesse condurre la lotta contro l'opposizione della sinistra al sistema.

In seguito alla pubblicazione dell'articolo La falsa sinistra, quasi tutti i gruppi di sinistra avevano interrotto i rapporti con l'Aydinlik e ne avevano preso le distanze. In generale, questo gruppo si era orientato verso la "borghesia nazionale". Da parte nostra non avevamo cambiato posizione nei confronti della politica provocatoria dell'Aydinlik: riguardo ai punti più importanti, l'assunzione di tale posizione e dei nostri princìpi si era verificata corretta. Infatti, negli anni successivi, gli opportunisti avrebbero ricominciato a flirtare di nuovo con i controrivoluzionari, dimenticandosi del fatto che l'Aydinlik, pur presentandosi di volta in volta con aspetti differenti, aveva tradito i rivoluzionari e che il suo vero ruolo era finalizzato al danneggiamento ed alla deviazione della lotta.

Questa nostra posizione non riguardava soltanto la linea provocatoria dell'Aydinlik, ma era diretta anche agli opportunisti ed ai revisionisti che cercavano di sbilanciare la lotta e di diffondere la loro linea politica. Questo era il momento in cui si stavano ponendo le basi per la fondazione di un'indipendenza ideologica ed organizzativa e coloro che non avrebbero superato tali verifiche sarebbero stati giudicati: in balia del vento che li spingeva a destra e a manca sarebbero rimasti soffocati dalla loro stessa politica di rivendicazione delle conquiste a breve termine.

 

Il Primo Complotto, le Lacune del Nostro Movimento e la Vittoria del Nostro Concetto di Democrazia

Nel momento in cui era stato proclamato lo stato d'emergenza, quando i massacri contro la popolazione, il terrorismo fascista e le operazioni di polizia e militari erano diventati più pesanti e quando l'oligarchia aveva cominciato a prendere provvedimenti per instaurare un regime apertamente fascista, noi eravamo entrati nello scontro politico. Avevamp superato i problemi organizzativi e ci eravamo assunti il compito di guidare il popolo e di sviluppare la lotta mentre coloro che non avevano compreso la portata di tale missione e la nostra rottura storico-politica con Devrimci Yol avevano svelato un po' per volta il loro vero volto dirigendosi ostinatamente verso destra.

Nonostante la sua posizione di destra e la mancanza di chiarezza ideologico-organizzativa, Devrimci Yol aveva un'ampia base che gli permetteva di impressionare e rendere servili gli opportunisti e di sviluppare i tentativi di isolamento del nostro movimento, senza mai esonerarsi dal compiere aggressioni fisiche. Contemporaneamente, già si poteva udire il rumore degli anfibi del 12 settembre...

Coloro che non erano nient'altro che dei fuochi fatui, che sognavano la rivoluzione dietro l'angolo, si erano allarmati nel constatare che stavamo portando avanti l'eredità del THKP-C con determinazione, senza subire deviazioni né di destra né di sinistra, e che essa non era, come invece la sinistra opportunista e revisionista aveva cercato di dipingere il THKP-C, l'eredità di un movimento esiguo che faceva solo qualche azione armata. Anzi ! Eravamo un movimento di massa che univa la violenza di massa a quella rivoluzionaria e che proseguiva con determinazione la strada delle proprie convinzioni. Questi soggetti, al fine di allontanare il nostro movimento dal proprio cammino, se ne erano venuti fuori con delle opinioni completamente diverse e distorte e avevano progettato un complotto. C'erano tre individui che erano stati assegnati in nuove aree del nostro movimento, che fin dall'inizio avevano preso parte con noi alla rottura con Devrimci Yol, ma che evidentemente non ne avevano compreso fino in fondo le ragioni e che consideravano la rivoluzione e l'essere rivoluzionari come una sorta di hobby.  Sebbene operassero in regioni differenti e non avessero contatti reciproci, si erano incontrati senza informare il movimento ed avevano architettato un complotto. Ci  si potrebbe chiedere se questi soggetti avessero o meno fatto  propria la causa rivoluzionaria, ma allora non avevamo nemmeno discusso il fatto se fossero in grado o meno di guidare un gruppo o un'organizzazione, poiché ciò richiedeva coraggio politico, cosa che loro non possedevano. Era stato Ertugrul Kürkcü ad aver infuso in loro questo coraggio, elogiando l'imperialismo durante i processi del THKP-C, strisciando lentamente verso il fascismo ed affermando che questi tre individui venivano usati come delle marionette.

In seguito Ertugrul Kürkcü, al quale per anni non era importato nulla della rivoluzione, avendo constatato che il THKP-C e la lotta armata erano ben più grandi del suo piccolo mondo, aveva compiuto un'inversione di marcia, dimenticandosi delle teorie provocatrici dell'imperialismo, iniziando a rilasciare alla stampa borghese interviste del tipo: «ll THKP-C era un movimento rivoluzionario» e cercando così di rientrare nell'arena politica. All'inizio aveva flirtato con il Kurtulus Sosyalist Dergisi e poi con Devrimci Yol, senza impegnarsi con nessuno dei due. Sebbene fosse segnato, voleva riabilitare il suo nome utilizzando il THKP-C: aveva cercato di giustificarsi e di presentarsi come una forza portando dalla sua parte il THKP-C, ed i cospiratori presenti all'interno del nostro movimento gli avevano offerto l'occasione per farlo. Le loro teorie erano alquanto interessanti: sottolineavano che Devrimci Yol, Devrimci Sol ed il Kurtulus Sosyalist Dergisi avrebbero dovuto unirsi per il  fatto che alle loro origini non vi erano differenze sostanziali. Ovviamente Devrimci Sol non condivideva affatto quella valutazione. Lo scopo dei cospiratori era quello di unire ecletticamente Devrimci Yol ed il Kurtulus Socyalist Dergisi e di distruggere in questo processo Devrimci Sol. Comunque, al di là della dichiarazione di E. Kürkcü che «Il THKP-C era un movimento rivoluzionario», le sue opinioni di destra nell'ambito del Kurtulus Sosyalist Dergisi ed i suoi giudizi sul THKP-C erano ben noti. Nel momento in cui c'era la consapevolezza di quale fosse il livello raggiunto dalla lotta rivoluzionaria e di quali fossero le chiare dimensioni del fronte che si doveva costruire, diventava ovvio il fatto che queste teorie artificiose non avrebbero guadagnato terreno.

Siccome i rappresentanti di tali teorie provenivano dal nostro movimento, questo attacco era diretto soprattutto a noi, pur se, visto da un'angolazione differente, era anche diretto al Kurtulus Sosyalist Dergisi e a Devrimci Yol e indipendente dal volere di Ertugrul, per il fatto che non erano questi due gruppi ad essere messi in discussione bensì noi ad essere al centro del dibattito. Se questi individui avessero realmente voluto unire queste tre strutture politiche, avrebbero continuato a portare avanti i loro compiti all'interno dell'organizzazione, non avrebbero tramato contro di essa e non se ne sarebbero andati, ma sarebbero  invece rimasti come sostenitori ideologici di questo pensiero. Fatto sta che si erano incontrati segretamente, avevano rivelato i rapporti messi in piedi dalla nostra organizzazione ed avevano scelto la strada della rottura, senza nemmeno pensare che fosse necessario informarne gli organi  responsabili.

In quanto movimento giovane, appena fondato, ma che portava ancora i segni ed i residui del passato, avevamo compreso che dovevamo lasciarceli subito alle spalle e proseguire il nostro cammino.

Avevamo dovuto affrontare in diversi modi ben più di questi insulti ed offese causati dalla cultura di Devrimci Yol. Inoltre in quel periodo la sinistra era completamente frantumata. Devrimci Sol aveva dovuto prendere posto nell'arena politica e superare tutte le questioni menzionate. Dovevamo dimostrare di essere degni del nome di Devrimci Sol e che avevamo una missione da compiere al di fuori della sinistra tradizionale, chiarendo queste differenze nel nostro modo di vivere, operare, agire, insomma, in ogni cosa.

Noi non abbiamo scoperto l'”apertura” per merito di Gorbaciov. Eravamo un movimento che dava fiducia ai propri quadri, specialmente quelli giovani, e che considerava la partecipazione collettiva come metodo d'educazione. Grazie a questa base di fiducia, avevamo potuto presentare, con un opuscolo, i retroscena del complotto ai nostri quadri e simpatizzanti. Un paio di mesi dopo, la banda complottarda si era data il nome di "piattaforma", restando però incapace di trascinare il popolo dalla sua parte. Aveva inoltre subito una totale sconfitta dal confronto con i nostri quadri e simpatizzanti indignati. E così questi tre individui del nostro movimento, che avevano creduto nel proprio carisma, avevano immediatamente cercato un'ancora di salvezza a cui aggrapparsi: uno aveva cercato riparo da Devrimci Yol e l'altro dal Kurtulus Sosyallst Dergisi; il terzo, pensando al proprio tornaconto personale, aveva cercato di organizzare una banda per fare velocemente soldi con rapine ed altro. Ad ogni modo, la banda del complotto si era sciolta in breve tempo a causa di conflitti interni. In seguito, uno dei tre sarebbe ritornato alla società civile dopo un breve periodo di carcere, mentre gli altri due avrebbero scelto l'esilio in Europa. La costruzione rivoluzionaria del nostro movimento, il nostro concetto di democrazia e la nostra politica di fiducia nei confronti dei quadri erano stati tutti messi alla prova nella pratica ed i quadri erano riusciti, con successo, ad adempiere il compito di far proprio il movimento. Questo sentimento d'unità, che ci avrebbe accompagnato nel corso della storia, doveva creare un nuovo spirito ed una nuova consapevolezza che ci avrebbero permesso di affrontare nemici interni ed esterni e qualsiasi complotto. I quadri ed i simpatizzanti che avevano superato questa prova avevano dimostrato con chiarezza che all'interno del nostro movimento non c'era spazio per le cricche ed i complotti, poiché, in qualsiasi circostanza, li avremmo sconfitti e avremmo conservato la nostra purezza ideologica. Questo risultato era diventato anche un criterio importante che chiariva a chiunque, quale che fosse la sua posizione, che all'interno del nostro movimento le deviazioni a destra o a sinistra e la formazione di cricche e di complotti non avrebbero avuto nessuna possibilità d'esistere.

Il vecchio E. Kürkcü, dopo la totale sconfitta del complotto, se n'era tornato al silenzio. Non essendo riuscito a comprendere la realtà del nostro movimento, aveva dovuto incassare il colpo che non gli avrebbe consentito una seconda occasione, facendogli invece scegliere di concludere la propria esistenza come un intellettuale piccolo-borghese.

D'ora in poi, Devrimci Sol avrebbe avuto la forza di proseguire il suo cammino, di scavalcare tutti i pacifisti, i burocrati ed i vecchi soggetti privi di dinamismo rivoluzionario e guidati dai loro problemi personali, quando volevano imporre ai giovani quadri le loro idee radicate e costringere il movimento rivoluzionario alla staticità.

Dovevamo sviluppare la lotta antifascista

In seguito agli attacchi dell'oligarchia nei confronti del popolo, ai massacri ed al tentativo di costringere le masse alla passività, avevamo deciso di accantonare la propaganda demagogica dell'oligarchia della “lotta reciproca fra destra e sinistra”, decidendo invece di innalzare il livello della lotta. Per impedire che le masse si demoralizzassero a causa degli attacchi fascisti, per spezzare tali attacchi e per unire le masse nella lotta, avevamo cominciato ad indirizzare colpi sempre più duri all'oligarchia.

I nostri obiettivi erano le forze ufficiali ed i torturatori dell'oligarchia, molti dei quali sono stati puniti, così come molti commissariati sono stati disarmati e diverse basi fasciste completamente distrutte.

Tutto ciò era talmente efficace ed allettante che lo status della sinistra in Turchia aveva cominciato a sgretolarsi fin dall'inizio. Era la prima volta nella storia rivoluzionaria della Turchia che la lotta si sviluppava chiaramente su basi rivoluzionarie, apertamente contro tutte le istituzioni dell'oligarchia e contro le forze fasciste ufficiali. Dopo un periodo di rassegnazione e stanchezza per i numerosissimi rivoluzionari assassinati dal terrorismo fascista, il popolo aveva riacquistato coraggio e le sue speranze si erano ravvivate.

La sinistra opportunista era spaventatissima ed aveva reagito dedicando pagine intere delle proprie riviste -scritte in angusti stanzini bui e ben lontani dalla vita reale - per attaccare il nostro movimento. Quasi tutti, dall'oligarchia agli opportunisti, ai revisionisti, agli intellettuali borghesi, ci avevano attaccato con demagogici articoli sul terrorismo, ma a quel tempo potevano vedere soltanto dei piccoli fuochi poiché eravamo appena agli inizi del nostro cammino.

È stato Devrimci Sol con la propria lotta rivoluzionaria a scrivere l'ordine del giorno della lotta, a mantenere realmente le promesse, a far appello alle masse invitandole ad unirsi ed è in questo modo che, lentamente ma con fermezza, ha potuto conquistare la leadership.

La crescita della lotta armata nelle città doveva andare di pari passo a quella nelle zone rurali, dove dovevamo rafforzare le nostre unità armate. Dovevamo rendere visibile la debolezza dell'oligarchia, dimostrando che nulla era impossibile se fatto con determinazione. A Dersim un'unità di guerriglia - non proprio ben equipaggiata - aveva compiuto un attacco al posto di guardia Deri Nahiye di Pertek, disarmandone i soldati e distribuendo collettivamente le armi. I nostri combattenti, comportandosi in base all'addestramento ricevuto, avevano punito un soldato che si era rifiutato di arrendersi. Si erano poi ritirati senza uccidere nessun altro.

Ai giorni nostri un tale attacco verrebbe considerato un'azione minore, ma allora aveva avuto un enorme effetto sull'oligarchia e sul popolo ed era stato un'importante lezione per il nostro movimento, poiché dalla rivolta kurda del 1938(1) era stato il primo attacco ad un posto di guardia a Dersim e poiché l'azione aveva dato il messaggio al popolo kurdo di innalzare ancora una volta la bandiera della ribellione e della liberazione.

Appresa la notizia della nostra azione, per diversi giorni l'oligarchia non aveva avuto il coraggio di diffonderla all'opinione pubblica: se non riusciva a punire coloro che l'avevano compiuta, il suo effetto si sarebbe propagato con la velocità del fuoco in tutto il Kurdistan ed avrebbe messo il potere in serie difficoltà. Era iniziata un'imponente caccia all'uomo con l'impiego di migliaia di soldati equipaggiati con armi pesanti. Da un lato l'oligarchia cercava di intimorire le masse popolari dicendo che la nostra azione aveva dato inizio ad un nuovo '38, mentre dall'altro la sinistra opportunista affermava: «È una provocazione e farete massacrare il popolo. Perché non ci avete avvertito?», cercando così di confondere il popolo con queste inutili proclamazioni.

La repressione e le minacce dell'oligarchia non avevano comunque avuto nessun genere di effetto: la nostra unità armata se n'era ritornata alla base senza subire perdite. Anche se inizialmente il popolo era stato condizionato dagli opportunisti, nel momento in cui aveva constatato la paura e l'impotenza dell’oligarchia, aveva cominciato a dimostrare una grossa simpatia per noi. Il popolo di Dersim, stanco degli scontri e degli omicidi all'interno della sinistra, aveva presentato l'esempio della nostra azione alla sinistra opportunista.

L'oligarchia stava facendo i preparativi per i massacri di massa da parte dei gruppi fascisti nelle zone a forte presenza rivoluzionaria. In modo particolare Çorum, Tokat, Amsaya e le zone circostanti, dove Aleviti e Sunniti convivevano pacificamente, furono teatro di massacri. Dovevamo opporci a tali progetti fascisti. Una linea che sì pone unicamente sulla difensiva risulta essere passiva ed incapace di contrastare i progetti fascisti. Quindi per distruggere e svelare tali progetti, per sensibilizzare il popolo riguardo agli attacchi fascisti e per accrescere la volontà di combattere, avevamo dovuto sviluppare le tattiche rivoluzionarie. Ecco perché avevamo punito un leader delle bande fasciste: per annientarli, o almeno per demoralizzarli nel punto in cui potevano essere direttamente colpiti.

Avevamo punito il fascista Gün Sazak,(2) capo del MHP ed ex ministro delle dogane e dei monopoli statali del secondo governo del Fronte nazionale (MC) in carica nel l977. Gün Sazak, latifondista e leader del movimento fascista, era il diretto responsabile di quasi tutti i massacri ed attacchi fascisti. Siccome i gruppi fascisti ed il governo non si aspettavano un attacco del genere, si erano ritrovati in uno stato di grande confusione. L'azione era stata la risposta alla tattica dello stato di costringere il popolo al silenzio ed all'immobilismo con l'impiego di metodi terroristici. Essa aveva messo in chiaro al movimento fascista ed al mondo intero che i massacri fascisti avrebbero ricevuto in risposta delle punizioni ad un livello ancora più alto.

Non perseguivamo la tattica degli altri movimenti e cioè quella di ritirarci dalla scena politica subito dopo l'azione e di aspettare che passasse il pericolo, ma anzi, nella maggior parte delle aree in cui eravamo organizzati, impedivamo ai fascisti di riorganizzarsi, proseguendo con gli attacchi e le azioni punitive. Il movimento fascista non era preparato ad affrontare tali attacchi e non era nemmeno in grado di contrattaccare. Ancora una volta la sinistra era spaventata ed aveva denunciato come "provocazione" le nostre azioni. Taluni ignoravano talmente le questioni ed erano privi della benché minima conoscenza della lotta armata al punto da asserire che uno come Gün Sazak non poteva essere stato ucciso dal movimento e che invece l'azione doveva essere stata messa in atto dal MIT e dalla CIA. Non avevano assolutamente capito che cosa fosse lo stato fascista e nemmeno la lotta contro di esso: come contrastare i progetti fascisti e come organizzare il popolo. Nonostante tutte le chiacchiere sulla rivoluzione, non erano mai stati in grado di andare oltre lo stadio del movimento di protesta a causa della loro mancanza di consapevolezza e di volontà di conquista del potere.

Quasi tutte le istituzioni e gli organi statali - dal parlamento, al governo, alle istituzioni burocratiche, ai partiti politici - attraversavano una grave crisi. In seguito al duro colpo subito, il MHP, partner della coalizione al potere, aveva proposto al parlamento di indire nuove elezioni, senza però riuscire a farle approvare. I fascisti erano gli spettatori di tale crisi: nonostante la decisione di attaccare gli Aleviti, i rivoluzionari ed i democratici di Çorum, presa al fine di neutralizzare gli effetti della nostra azione, essi non erano riusciti a raggiungere i risultati voluti, poiché i rivoluzionari ed il popolo erano già pronti a far fronte a tali attacchi. Infatti le masse popolari di Çorum avevano risposto con le barricate, conducendo energicamente e con entusiasmo la resistenza antifascista ed impedendo così ai fascisti di fare di Çorum una seconda Maras.(3) Il popolo aveva resistito ed i fascisti, avendo subito una sconfitta inaspettata, erano stati costretti a ritirarsi. Dopo la nostra azione di punizione contro Gün Sazak, il movimento fascista era moralmente distrutto ed aveva cominciato ad attraversare un evidente periodo di declino, nonostante il sostegno da parte dello stato.

Era proprio nella pratica che verificavamo la nostra linea tattica ed i nostri obiettivi concreti. Si poteva far fronte al terrorismo fascista soltanto applicando ad un livello più alto la violenza rivoluzionaria. Ed era unicamente su questa base che in quel contesto le masse popolari potevano avanzare nella direzione della guerra popolare.

Era stato in seguito all'innalzamento della nostra offensiva armata e alla ritrovata presenza del potenziale rivoluzionario che, a partire dal 12 marzo 1971, la CIA e la controguerriglia avevano preso nelle loro mani l'organizzazione del governo fascista, scatenandolo senza limitazioni contro i rivoluzionari, in modo da respingere il nuovo potenziale rivoluzionario, ma, dopo il fallimento di questo piano, l'unica soluzione rimasta loro era l'instaurazione di un regime apertamente fascista. Per poter continuare a lottare ancora con più forza in un tale contesto, per diffondere la lotta nel nostro paese e per combattere in un fronte ampio il fascismo e l'imperialismo, avevamo dovuto accelerare lo sviluppo della nostra organizzazione ed i preparativi per costruire un partito. Per questa ragione avevamo cercato di raggiungere, con maggiore determinazione, l'unità ideologica e velocizzare i ritmi di pubblicazione sia del nostro organo di stampa centrale, Devrimci Sol(4), che di diversi opuscoli di presentazione delle nostre opinioni. Avevamo altresì verificato e rafforzato i nostri comitati locali e regionali e le nostre unità armate. Tuttavia, conservavamo ancora molte caratteristiche negative del nostro movimento originario che si barcamenava in un contesto spontaneista e legalitario. Centinaia di nostri militanti erano stati esposti. A partire dalla rottura con DY, i suoi sostenitori avevano dato il via a speculazioni e ad inutili chiacchiere e a causa di ciò parecchi nostri quadri erano stati esposti. Inoltre, a causa della natura della lotta spontaneista, risultava impossibile sviluppare un'organizzazione dalle fondamenta solide. Da un lato il cammino verso l'illegalità da parte delle persone esposte aveva creato diversi paradossi, dall'altro l'illegalità stessa non riusciva a svilupparsi e realizzarsi secondo le regole proprie. Tale situazione era un chiaro segnale che avremmo dovuto far fronte ad enormi difficoltà in un regime apertamente fascista.

Un movimento rivoluzionario armato, per mantenere vivo lo scontro, per essere pronto, se necessario, alla ritirata, per rafforzarsi e passare all'offensiva e per sostenere finanziariamente e tecnicamente l'organizzazione, necessita di una retroguardia. Noi avevamo perso un sacco di tempo ed il regime fascista era un pericolo imminente. Avevamo quindi inviato in Medio Oriente i nostri quadri più importanti, al fine di stabilire rapporti di amicizia e di cooperazione con l'OLP [Organizzazione per la liberazione della Palestina] e con tutte le organizzazioni rivoluzionarie/patriottiche su di un livello più alto, di imparare dalle esperienze, di sviluppare la forza combattente di tale cooperazione e di raccogliere armi e munizioni. Eravamo un'organizzazione il cui cuore batteva per un puro ed autentico amore per la rivoluzione, ed alla fin fine non sapevamo che cosa fosse il pragmatismo. Per noi l'internazionalismo era senza pregiudizi e senza la ricerca di un tornaconto, ma solo come solidarietà fra nazioni e non avevamo mai considerato che la rivoluzione nel nostro paese fosse separata dalle rivoluzioni di tutti gli altri popoli del mondo. Così, senza aspettare qualsiasi ricompensa o qualche vantaggio, avevamo punito il sionista Efraim Elrom, portando la solidarietà internazionalista al suo livello più alto ed affermando che non si poteva fare la rivoluzione restando impantanati nei propri nazionalismi a carattere regionale. Eravamo i compagni di Mahir Çayan che aveva applicato tutto ciò nella pratica, eravamo gli eredi del THKP-C.

Si potrebbe dire che i rivoluzionari in Turchia hanno sfidato il fascismo e l'imperialismo fin dal 1971 ed hanno conservato la purezza del marxismo-leninismo. Essendo usciti dal pantano del revisionismo e combattendolo, la politica della ricerca del profitto, specialmente quella che si poteva constatare nel PCUS, ci influenzava appena, poiché possedevamo le caratteristiche positive di un  movimento rivoluzionario.

Il nostro principale ostacolo consisteva nel fatto che eravamo un movimento molto giovane e che quindi non conoscevamo abbastanza il revisionismo, il quale aveva abbandonato sempre più il socialismo, cancellandone i princìpi. I revisionisti del PCUS, gli opportunisti del PCC e del Partito dei lavoratori d'Albania, contrari ai princìpi della solidarietà internazionalista, nel decidere se dare o meno sostegno ad un movimento di liberazione, mettevano sempre avanti a tutto il proprio tornaconto. Questo atteggiamento, estraneo al marxismo-leninismo ed all'internazionalismo, aveva portato allo sviluppo del nazionalismo a quasi tutti i livelli.

Anche se dopo un po’ di tempo avevamo imparato a riconoscere tale atteggiamento, non riuscivamo a rovesciarlo poiché le organizzazioni erano diventate egotiste e corrotte nel loro interno: la loro forza era nelle mani degli opportunisti e dei revisionisti, a discapito del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo. Non avevamo l'esperienza necessaria per far avanzare la rivoluzione in quel pantano della ricerca del profitto e non sapevamo come far fruttare le possibilità per guadagnare nuova forza aprendo la strada verso il futuro. Comunque, dovevamo totalmente pensare a trarre vantaggio per la rivoluzione proprio in quella situazione oggettiva, dato che non potevamo cambiarla. Dovevamo trovare i modi e le possibilità di agire.

Poiché l'esistenza di una retroguardia costituiva un importante apporto alle nostre attività e poiché in un regime apertamente fascista avremmo dovuto far fronte a notevoli problemi che avrebbero potuto addirittura portare alla dissoluzione ed alla sconfttta del nostro movimento, avevamo inviato in Europa un membro del Comitato Centrale, al fine di ricostruire l'organizzazione e di rafforzare la retroguardia. Tuttavia, in questo campo non avevamo potuto raggiungere i risultati sperati, perché questo membro del CC, sempre più coinvolto nel tradimento, non aveva adempiuto la missione. Ma affronteremo l'argomento più avanti.

Non avevamo altra strada che quella di continuare la lotta antifascista, sebbene nella nostra organizzazione, nel nostro stile di lavoro, nel nostro sapere ideologico vi fossero non poche pecche e difetti e sebbene fossimo deboli anche per quanto riguarda l'aspetto finanziario. Non avevamo altra scelta: l'organizzazione doveva maturare nella lotta e noi dovevamo apprendere ed insegnare nella lotta. Coloro, persone e gruppi, che non hanno imparato nella lotta stessa ma al di fuori di essa e che poi hanno fatto ritorno sul campo di battaglia con quel sapere astratto e distorto, hanno dovuto dolorosamente ricominciare da capo. Per questa ragione noi abbiamo sempre rifiutato di imparare al di fuori della lotta stessa. Dovevamo apprendere la realtà della lotta tra la gente, insieme con i nostri quadri, anche a costo di spaccarci la testa.

Soprattutto dopo l'azione di punizione del fascista Gün Sazak e dopo l'aver impedito il massacro a Çorum,(5) progettato dai fascisti, la politica di terrorismo, compiuta dai gruppi fascisti ed orchestrata dall'oligarchia come alternativa, era fallita. Ora il regime fascista era imminente, ma, siccome la sinistra opportunista e revisionista non riusciva a comprendere questo fatto, continuava a parlare di provocazioni e ad occuparsi di tutte le varie teorie a riguardo, denunciando le nostre azioni rivoluzionarie, con l'unico risultato di aiutare i fascisti a pacificare la popolazione. Gli opportunisti ed i revisionisti ci accusavano e ci maledicevano dicendo che saremmo stati noi i responsabili se ci sarebbe stata la giunta militare.

Come se non vivessero in Turchia, essi non vedevano la crisi politica ed economica dei governi oligarchici, né che l'imperialismo non aveva alcuna intenzione di perdere un  alleato come la Turchia in Medio Oriente, né che la crescita della lotta rivoluzionaria costituiva una minaccia per l'oligarchia e l'imperialismo, e non vedevano nemmeno la propria paura per la rivoluzione.

Quasi tutti, da DY al TKP, avevano proposto di distanziarsi da azioni che ritenevano fossero un invito al fascismo nascosto di uscire allo scoperto, sostenendo che i movimenti di massa dovessero organizzarsi per ostacolare questo fascismo nascosto. Ma, strano a dirsi, nonostante i vari proclami, non erano riusciti a realizzare nulla di tutto ciò. DY aveva persino messo in dubbio che ci sarebbe stata una giunta militare fascista e dichiarazioni come: «Il regime fascista non è l'unica alternativa dell'oligarchia» erano la dimostrazione che essi non avevano abbandonato le loro segrete speranze in queste forze “alternative”. Quelli di Kurtulus sostenevano una tesi completamente diversa: a sentir loro pareva che nella storia politica il fascismo non fosse neanche mai esistito e alla fine tutte le loro energie venivano impiegate in queste discussioni. Il TKP e simili probabilmente facevano affidamento alla forza del PCUS ed il loro slogan era: «Non ci sarà nessuna transizione al fascismo». Tragicamente erano stati proprio questi paesi revisionisti i primi a dar sostegno su quasi tutti i punti al regime fascista. In seguito il TKP e simili hanno cominciato a ricercare e ad avvicinarsi a tendenze nazionaliste e progressiste all’interno della giunta militare per poter sfruttare a loro vantaggio i conflitti interni invece di combattere il regime fascista. Consideravano la giunta militare neutrale ed antifascista e chiedevano la punizione dei fascisti noti.

Precedentemente all'insediamento delle giunta militare i fascisti avevano compiuto diversi attacchi nel tentativo di rendere le masse passive e demoralizzate. Il loro obiettivo era quello di creare un'atmosfera tale per cui la giunta militare potesse agire senza ostacoli. Il numero delle torture, degli arresti e delle aggressioni nei confronti di noti personaggi carismatici era dunque aumentato rapidamente. I villaggi che avevano un grosso potenziale rivoluzionario venivano circondati per giorni e giorni dai fascisti, allo scopo di renderli inoffensivi. La sinistra turca si era comportata malissimo in quella situazione. Demirel era stato apertamente aiutato nell’“operazione Nokta”(6) -episodio che ha fatto storia- a Fatsa, che serviva a intimidire il popolo e a costringerlo alla rassegnazione. Fatsa aveva un grossissimo potenziale rivoluzionario e molti uffici pubblici, persino quello del sindaco, erano in mano ai rivoluzionari. L’“operazione Fatsa” aveva costretto il popolo a sventolare bandiera bianca...

Ovviamente un movimento rivoluzionario deve saper applicare in certe occasioni la tattica della ritirata per potersi preparare ad una nuova offensiva, valutando con attenzione i reporti di forza, ma questa non era certo l'intenzione di Dev Yol. Con la parola d'ordine «i confini legali della rivoluzione» si erano arresi alla legalità borghese e avevano cercato di organizzare le masse in quest’ottica. Tutto questo però porta il popolo, che non sa che la legalità borghese è qualcosa di transitorio ed inventato, alla resa anziché alla lotta nel momento in cui si trova improvvisamente di fronte alla verità, allo scontro col fascismo ed alla sua cruda violenza.

Coloro che acquisivano la logica della “società civile”, che non capivano che cosa fosse il fascismo a dispetto di tutti i loro discorsi radicali, che non credevano nelle lotta popolare, per tutta la loro vita hanno cercato di usare stratagemmi all'interno della legalità borghese ed hanno progressivamente messo in primo piano i propri problemi personali facendoli diventare priorità. Sono loro i responsabili del fatto che decine di migliaia di rivoluzionari e di patrioti si siano uniformati alle regole dell'ordine costituito terminando così il loro lavoro all'interno di organizzazioni rivoluzionarie.

La crisi economica era molto grave ed il governo Demirel voleva che fosse il popolo a pagarne il prezzo, introducendo i “Provvedimenti del 24 gennaio”(7) ed accrescendo in questo modo la dipendenza del paese nei confronti dell'imperialismo. Sempre più persone perdevano il lavoro, la povertà era in aumento ed il morale della gente degenerava. Il nostro movimento, dopo aver analizzato le reazioni del popolo, il 14 febbraio 1980 aveva diffuso un appello affinché i piccoli commercianti chiudessero i propri negozi per dar forza e sostegno alle masse. Ad Istanbul la vita si era fermata. Le forze fasciste, civili e militari, nonostante tutti i tentativi, compreso l'uso della violenza, non erano riusciti a far riaprire i negozi. Questa azione è stata una lezione sia per l'oligarchia che per il popolo stesso: se le rivendicazioni popolari si interpretano in maniera corretta, se c'è una buona avanguardia e se si dà speranza alle masse, allora queste ultime saranno pronte ad agire attivamente sotto la guida rivoluzionaria. L'oligarchia e la sinistra erano nuovamente perplesse. L’oligarchia aveva utilizzato la televisione, la stampa e tutti i media a sua disposizione per dire al popolo che non doveva temere Devrimci Sol e che poteva a far affidamento sullo stato. La sinistra, Dev Yol in testa, nel momento in cui aveva constatato di non avere più nessun legame con il popolo e di non essere quindi in grado di organizzarlo e di guidarlo, dopo un primo istante di stupore, aveva cominciato a lanciare appelli proprio come quelli dell'oligarchia: «I commercianti sono stati costretti a chiudere i negozi. Riaprite le saracinesche !». Dev Yol, nel tentativo di fermare questa azione, aveva fatto di tutto per diffondere i suoi slogan, scrivendoli sui muri di tutta Istanbul e pubblicando articoli, sempre sullo stesso tono, sul proprio organo di stampa Demokrat Gazetesi. Impotenti di fronte a questa iniziativa rivoluzionaria, come un bimbo a cui era stato portato via il giocattolo, i gruppi revisionisti ed opportunisti non avevano esitato a lanciare attacchi contro di noi insieme all'oligarchia.

Eravamo obbligati a dare una forte risposta all'oligarchia contro la povertà che attanagliava il popolo, contro le torture, le pressioni e le operazioni finalizzate a rendere le masse passive. Per questa ragione avevamo dato il via alla campagna "Lotta contro la tortura ed il terrorismo": oltre ad azioni di punizione degli aguzzini e di distruzione del focolai fascisti, avevamo punito anche Nihat Erim, primo ministro del regime fascista del 12 marzo, aguzzino, fascista incallito e nemico del popolo, proseguendo, dopo questa azione, l'offensiva contro le forze dello stato ed i focolai fascisti, frantumando ancora una volta il tradizionale status quo della sinistra e dando continuità alle nostre azioni di massa. Allora il nostro obiettivo dichiarato era quello di insegnare alle masse la tattica della battaglia di strada e per questo motivo avevamo organizzato numerose azioni armate. Questa azione di punizione era stata la svolta decisiva che aveva frantumato lo status quo della sinistra ed aveva fatto accelerare la lotta antifascista. Dovevamo dare una risposta ad altissimo livello alla controrivoluzione per tutti i massacri e il terrorismo compiuti contro il popolo. Di sicuro, a causa della realtà di lotta di classe, l'oligarchia avrebbe fatto ancora più pressioni ed operazioni terroristiche e queste, a loro volta, avrebbero influenzato lo sviluppo della violenza rivoluzionaria, rendendo il popolo unito sulla linea della lotta rivoluzionaria e facendo sì che combattesse. Questa lotta ha anche avuto arretramenti e sconfitte momentanee, ma, in qualsiasi situazione, dovevamo stabilire il nostro obiettivo, che era quello di scrivere la storia, rafforzando la resistenza popolare. Non fa assolutamente parte del metodo rivoluzionario dire: «Saremo sconfitti. Subiremo duri colpi», o non organizzare la lotta popolare, o non avvicinarsi progressivamente alla rivoluzione. Coloro che non sono d’accordo su questo punto cercheranno sempre di tenere il popolo separato dalla lotta, di proteggere se stessi, di distanziarsi sempre più dalla realtà di guerra e dalla rivoluzione e sceglieranno la via del compromesso con la borghesia, condannando se stessi alla resa. Nessuna forza può cancellare dalla memoria del popolo la storia del nostro movimento, scritta con il sangue e con la resistenza. La storia della società è ricca di esempi che noi non abbiamo dimenticato, nonostante i secoli trascorsi, ed alcuni di questi esempi illuminano ancora il nostro cammino verso la rivoluzione. Nel corso della storia e dello sviluppo sociale del nostro popolo vi emergono tantissimi esempi di resistenza, nonostante il dispotismo e la barbarie. Questa resistenza si fonda sul fatto che il popolo affrontava con coraggio le forze dispotiche che spesso assomigliavano a dei giganti, conduceva una vita di sacrificio per il proprio credo, era determinato a gridare la verità, nonostante la brutalità e la repressione, e a sacrificare la propria vita senza mai abbandonare il cammino rivoluzionario. La storia, le radici della storia del nostro movimento risiedono in questo. Ciò significa che combatteremo in qualsiasi circostanza, che non ci fermeremo, che resisteremo e che non ci arrenderemo. Solo Così potremo organizzare il popolo e continuare la lotta per lungo tempo.

 

Il 12 settembre: la sconfitta e la fuga della sinistra e la resistenza del nostro movimento contro la giunta militare

Alla data del 12 settembre 1980 la prospettiva della sinistra riguardo al fascismo ed alla lotta, sia a livello ideologico che pratico, era ben distante dalla realtà di guerra. Un'organizzazione che non guarda alla realtà di lotta, che non crea le tradizioni, i princìpi e le regole appropriate, che non possiede uno spirito combattente, non riuscirà mai a guidare la lotta. E infatti, molti di coloro che puntualmente gridavano: «Lotta popolare! Lotta antifascista !» non hanno mai lavorato per creare le condizioni necessarie per far ciò effettivamente, ma anzi perseguivano una linea opportunista, scegliendo di lottare entro i limiti del sistema. Questa condotta ha dato origine ad un processo di decadimento interno, di invidie sempre più frequenti, di paura e di ostentazione.

Dopo il 12 settembre 1980 la sinistra se n'era rimasta in silenzio. In seguito si era venuto a sapere che molti se n'erano scappati all'estero e che, nel momento in cui avevano cominciato a sentire da lontano l'imminente rumore dei passi del 12 settembre, si erano preparati a lasciare il campo di battaglia con la scusa della “tattica della ritirata”.

Altri, che probabilmente non avevano mai creduto al fatto che ci sarebbe stato un colpo di stato militare, subito dopo il 12 settembre avevano cominciato a progettare la fuga. All’apparenza sembrava molto convinta e determinata, ma in realtà la sinistra ipocrita aveva abbandonato il campo di battaglia e se n'era andata, lasciando il paese, il popolo e moltissimi quadri e simpatizzanti ad affrontare da soli il regime fascista. Soprattutto gruppi come DY e Kurtulus, che possedevano un certo potenziale, erano di fatto svaniti. Migliaia di persone, che si erano ritrovate improvvisamente senza un'organizzazione e senza sapere come e cosa fare, avevano dovuto cominciare a badare a se stesse. Fra loro quelli che volevano lottare non erano certo pochi. Tuttavia queste persone, lasciate senza organizzazione, conoscenze e possibilità, quando, da sole e in piccoli gruppi, avevano tentato di continuare la lotta nelle città e sulle montagne, non avevano potuto evitare di essere subito arrestate.

Il colpo di stato del 12 settembre 1980 aveva sferzato un duro colpo psicologico e ne era seguita una situazione caotica.  Come agire in tale situazione? Riguardo all'organizzazione e all'equipaggiamento eravamo in svantaggio sotto molti aspetti, ma in qualsiasi circostanza dovevamo sviluppare la lotta combattendo, dovevamo imparare, non potevamo permettere al regime fascista di portare il popolo alla resa per mezzo di pressioni ed operazioni terroristiche, ed infine dovevamo scrivere noi la storia della resistenza.

Pochi giorni dopo il colpo di stato avevamo subito annunciato pubblicamente al popolo in Turchia ed al resto del mondo che avremmo combattuto il regime fascista del 12 settembre e che non avremmo abbandonato il nostro paese ed il nostro popolo.

Avevamo fatto appello alla lotta e proposto azioni unitarie e cooperazione con tutti coloro che si proclamavano rivoluzionari, di sinistra, patrioti e democratici. L'obiettivo in quella fase convergeva in un punto: il regime fascista, ossia la giunta militare. Avevamo cercato di contattare tutti, dai revisionisti del TKP a DY senza escludere nessuna linea, me non avevamo ricevuto né una risposta né un rifiuto.

Il regime fascista continuava a compiere numerosissimi arresti, dapprima dì militanti di organizzazioni armate, poi di quelli di organizzazioni non armate, in seguito di riformisti ed alla fine persino di intellettuali e di democratici. Eliminando tutte le forze d'opposizione, i fascisti miravano a istituzionalizzare il regime fascista. Dovevamo contrastare quel progetto. Il fatto più importante era che le operazioni contro il potenziale rivoluzionario, già avviate prima del 12 settembre, sarebbero diventate ancora più brutali, poiché lo scopo era quello di distruggere tale potenziale rivoluzionario. Certamente l'oligarchia avrebbe dovuto fare i conti con il popolo che, pur possedendo tattiche di lotta errate o insufficienti, aveva sempre sostenuto i rivoluzionari, aveva sempre dimostrato fiducia in loro nelle lotte antifasciste, era stato al loro fianco ed aveva sempre resistito. Il nostro dovere di allora era quello di dimostrare al popolo che in qualsiasi circostanza avremmo continuato a lottare e quello di convincerlo a combattere esso stesso contro la giunta militare, poiché era prevedibile che, diversamente, il popolo alla fine si sarebbe fatto intimidire, si sarebbe arreso ed avrebbe maledetto i rivoluzionari. I rivoluzionari dovevano mantenere le promesse. La fuga, l'abbandono del paese, la rinuncia alla lotta sarebbero stati al pari di un tradimento. La nostra organizzazione, dalle avanguardie ai simpatizzanti, doveva spronare alla lotta antifascista. La rinuncia alla lotta e persino la più leggera esitazione in questa lotta avrebbero trasformato tale esitazione in panico e il panico in fuga dal paese.

La nostra organizzazione aveva dichiarato guerra alla giunta militare col seguente appello:  “La Giunta militare non può mettere in ginocchio 45 milioni di persone !”. Le nostre azioni armate, sviluppatesi con azioni di punizione dei nemici del popolo e di attacco, con bombe, dei commissariati, si erano diffuse in tutto il paese ed erano state sostenute da numerose agitazioni, attività di propaganda e proteste di massa.

Eravamo riusciti a dare un sorprendente benvenuto alla giunta militare con la distribuzione di centinaia di migliaia di volantini in quasi tutte le regioni e le località, fatta contemporaneamente all'esposizione di striscioni in tutto il paese e a dozzine dì azioni con bombe contro obiettivi nemici. Noi e le forze nemiche eravamo i soli presenti sulla scena politica: il resto della sinistra se ne stava paralizzata ed in silenzio.

La nostra decisione di combattere la giunta militare fascista era stata anche una verifica per il popolo, in quanto essa era la dimostrazione del nostro legame con il popolo e con la rivoluzione e del fatto che ci saremmo sacrificati senza esitazione per raggiungere tale obiettivo.

Dovevamo lottare in condizioni ancora più dure ed eravamo consapevoli dei nostri difetti e limiti. Durante la prima settimana della giunta militare un membro del Comitato Centrale e diversi quadri importanti erano stati arrestati perché qualcuno aveva parlato sotto tortura, ma erano stati subito rimpiazzati e la lotta era continuata. Il nostro compagno Sinan aveva proposto cinque persone - delle quali già si era discusso precedentemente senza però giungere ad una decisione in merito - che avrebbero dovuto succedere nella direzione del movimento nel caso in cui le operazioni nemiche contro i nostri quadri più importanti avessero richiesto ciò. Infatti, poiché sia la nostra lotta che le operazioni compiute dall'oligarchia continuavano, eravamo perennemente esposti ad ogni sorta di pericolo e da parte nostra dovevamo mantenere vivo il nostro movimento in qualsiasi circostanza. Sebbene fosse impossibile intraprendere una lotta ad alto livello nel paese, il popolo avrebbe comunque visto e sentito la costante presenza di una forza organizzata che agiva ed operava tra la gente. Per questa ragione avevamo ritenuto necessario restare nel paese invece di andare in esilio ed avevamo deciso di continuare a lottare in base a tutto ciò che era possibile fare. Dopo pochissimo tempo anche il leader dell'organizzazione era stato arrestato(8) e per noi questo era stato un duro colpo, sferzato in concomitanza con il colpo di stato del 12 settembre, ma la nostra organizzazione aveva continuato a lottare sotto la guida di un nuovo Comitato Centrale il cui responsabile era il compagno Niyazi. Oltre ai duri colpi subiti fisicamente dal nostro movimento nel corso di quell'operazione di polizia, l'oligarchia aveva influenzato il nostro quadro M.K. anche ideologicamente, rendendolo un elemento che all'interno del movimento ne negava il passato e la storia in una maniera opportunistico-menscevica e che presentava teorie incomprensibili e poco chiare. L'oligarchia e gli opportunisti gli avevano dato molta importanza e gli avevano fatto un'enorme ed incredibile propaganda per portarlo a creare divisioni all'interno del nostro movimento. Prima del 12 settembre questo traditore aveva militato nelle nostre Unità Armate Rivoluzionarie ed era sempre stato di sinistra. Era uno di quei tipi che, dopo aver partecipato a qualche azione armata, cominciano a credersi più importanti e quindi pretendono un'attenzione speciale. Nel momento in cui le sue teorie e questo suo difetto caratteriale di vantarsi per aver fatto alcune azioni non venivano più presi in considerazione, aveva cominciato ad agitarsi, a cavillare su problemi di minore entità e a tormentare in merito a questi ultimi. Non capiva la politica, la prospettiva, la rete di relazioni del movimento e lo isolava dal programma, dalle tattiche e dai criteri organizzativi propri della sinistra. Riusciva ad udire soltanto il rumore delle sue azioni e cominciava a nuocere cronicamente al movimento, mostrando un atteggiamento che si poteva definire fazioso. Questo suo modo errato di pensare e di agire derivava da un atteggiamento piccolo-borghese dell'esaltazione della forza: quando queste persone possiedono questa forza si credono i padroni del mondo e si esaltano; quando poi la perdono scoprono la propria inadeguatezza, diventano vulnerabili ideologicamente e psicologicamente - e cioè completamente - e si fanno influenzare da chi è più forte di loro. Il traditore M.K. era una di queste persone. L'influenza della borghesia, iniziata nelle celle di tortura e proseguita in carcere, lo avrebbe portato a perdere completamente le caratteristiche rivoluzionarie.

Nonostante l'arresto di centinaia di quadri e di simpatizzanti e nonostante avessimo attraversato delle esperienze piuttosto negative, la giunta militare non poteva comunque realizzare il suo sogno di spezzare il nostro movimento e di garantirsene la distruzione. Gli aguzzini della giunta militare, i pubblici ministeri dello stato d'emergenza ed i direttori delle carceri avevano tentato di spezzare il nostro movimento attraverso una campagna coordinata ed attentamente pianificata, di cui la parte più importante era costituita dalla presentazione di un finto eroe da esaltare, ed avevano dato il via ad un'intensa campagna propagandistica.

L’elemento principale di questa propaganda era stata la menzogna che D.K. fosse un pessimo dirigente, mentre M.K. veniva descritto come la persona forse più indicata e capace di dirigere il movimento.

Alcuni opportunisti non avevano perso tempo ed avevano preso parte a questo attacco. Molte riviste avevano immediatamente pubblicato articoli sulla cosiddetta rottura all'interno di Devrimci Sol e, non soddisfatte, avevano addirittura organizzato per un anno intero la distribuzione di notizie su M.K. nel circuito carcerario.

La sinistra era distrutta e non vedeva alcuna via d'uscita. Aveva riposto le sue speranze su quel poveraccio poiché non credeva veramente nel processo rivoluzionario e non capiva le questioni rivoluzionarie. Siccome non rappresentava una forza antioligarchica, aveva cominciato a considerare la rottura all'intemo di Devrimci Sol come qualcosa di vantaggioso. In tutta la loro storia gli opportunisti avevano fatto circolare menzogne e speculazioni su di noi, tanto che la loro diffusione e le discussioni in merito erano diventate la loro attività vitale. Questo atteggiamento dura fino ai giorni nostri. Capiamo la paura del fascismo. Il fascismo è diventato un esperto nel trovare e catturare i rivoluzionari che attaccano le fondamenta del suo ordine. Uno dei motivi di tutta l'ostilità che gli opportunisti hanno da sempre avuto nei nostri confronti risiede anche in questo. Essa è profondamente radicata. Gli opportunisti si sentivano sotto pressione a causa della nostra esistenza perché loro erano ben lontani dalla guerra rivoluzionaria e perché noi avevamo reso pubblico il loro opportunismo, non avevamo condiviso il loro status quo, avevamo rifiutato i loro compromessi conciliatori e non avevamo voluto operare come degli affiliati di qualche altra organizzazione. Nel momento in cui eravamo entrati in scena come movimento politico, gli opportunisti avevano preso posizione con i rinnegati di Devrimci Yol.  Ora, per spezzare il nostro movimento, sostenevano un traditore come M.K., insieme agli aguzzini della giunta militare, ai direttori delle carceri ed ai pubblici ministeri, ma M.K. era finito e non aveva più alcuna utilità né per gli opportunisti né per nessun altro. Gli opportunisti non erano mai riusciti a capire le tradizioni create dal nostro movimento ed era per questo che si aspettavano molto da M.K., tanto da farlo diventare, da uno che era, «centinaia» nelle loro parole e menzogne. In quella situazione gli opportunisti potevano essere facilmente distrutti, ma coloro che credevano che anche Devrimci Sol sarebbe finita in disparte non avevano tenuto conto del fatto concreto che la nostra non era un'organizzazione opportunista. Malgrado tutto lo sforzo e la fatica, M.K. non era capace di avere neanche una sola persona dalla sua parte ed i suoi tentativi di spezzare il movimento erano completamente falliti. Questo traditore, con il quale l'oligarchia e gli opportunisti si complimentavano, in un primo momento, come indipendente, aveva assunto il ruolo di collaboratore della direzione del carcere, aiutandola a distruggere la volontà di resistenza dei prigionieri; in seguito aveva appoggiato l’ideologia del TKP; infine, diventato completamente completamente inutile, si era integrato nel sistema. Ed è ancora vivo …

Contemporaneamente agli arresti di molti di noi, anche la carenza organizzativa, la scarsa preparazione alla lotta e l'atteggiamento dilettantistico erano diventati evidenti. Per supplire a quei collegamenti che erano stati scoperti ed alla carenza di quadri, dovevamo fare delle valutazioni, in pochissimo tempo e in base alla nuova situazione, riguardo alle stutture dell'organizzazione. Dovevamo occuparci di tutte le insufficienze e degli errori. Le reti ed i collegamenti, che in precedenza erano consueti e piuttosto aperti, dovevano essere il più possibile ridotti al minimo. In quella fase dovevamo compartimentarci, ma prima di tutto, per intraprendere la lotta armata contro la giunta militare, dovevamo rafforzare le unità armate, incrementando la loro compartimentazione e le loro capacità d'azione. Sebbene avessimo continuato a lottare, dopo il primo duro colpo che avevamo subito si erano diffusi un certo panico e una certa demoralizzazione. Avevamo dunque bisogno di tempo per poterci ristrutturare e per far ciò dovevamo sviluppare una tattica provvisoria che frenasse il ritmo incalzante delle operazione di polizia contro di noi. Fino a che non avessimo rafforzato la nuova struttura, le azioni armate sarebbero state rivendicate dai Türkiye Halk Kurtulus Savascilari [Combattenti per la liberazione popolare della Turchia], senza nessun riferimento a Devrimci Sol. Con questo nome, scegliendo importanti obiettivi nemici per le nostre azioni compiute da due o tre unità armate attentamente selezionate, avremmo potuto evitare un'ulteriore demoralizzazione delle masse. Allo stesso tempo dovevamo valutare i criteri organizzativi ed adattarli alla situazione. Tuttavia questa proposta, che proveniva dall'interno delle carceri, fuori era stata fraintesa. Quasi tutte le azioni e le campagne, specialmente quelle più importanti, erano state rivendicate con questa sigla. Anche l'azione di punizione del vicecapo della polizia di Istanbul, Mahmut Dikler, e delle sue guardie del corpo era stata rivendicata dal THKS. Però, siccome anche altre iniziative, durante le quali alcune persone erano state arrestate, erano state rivendicate sempre dal THKS, la polizia aveva scoperto chi c'era dietro a questa sigla. Malgrado tutto, avevamo comunque continuato a lottare contro la giunta militare.

Molti informatori e spie della polizia, che prima del 12 settembre avevamo neutralizzato ed allontanato da diverse località e regioni, erano riusciti a farvi ritorno traendo forza dal colpo di stato militare. Al fine di fermare queste loro attività, avevamo compiuto azioni di punizione e di violenza rivoluzionaria contro tali individui. Dopo le azioni di punizione di grandi e piccoli nemici del popolo e di distruzione di parecchie holding monopolistiche, la punizione di Mahmut Dikler e delle sue guardie del corpo veniva annoverata tra le azioni più importanti contro la giunta militare. Anche se in quel periodo la guerriglia rurale era attiva, purtroppo e deplorevolmente non era organizzata in modo tale da poter fungere da supporto e da riparo sicuro per la città: molti compagni, che rischiavano di essere arrestati, non avevano potuto rifugiarsi sulle montagne.

 

La riorganizzazione della guerra. Gli anni della determinazione e della resistenza

Le operazioni di polizia e gli arresti aumentavano giorno per giorno ed il movimento si stava indebolendo. Già nei primi sei mesi la giunta militare era riuscita a sterzare gravi colpi a tutte le organizzazioni, compresa la nostra. Il morale era perennemente a terra e regnava il panico. Sempre in quel periodo, il popolo turco e coloro che erano stati abbandonati da tutte quelle organizzazioni che nel frattempo avevano lasciato il paese con la scusa della “tattica della ritirata” si erano mostrati solidali con la resistenza e la lotta armata che portavamo avanti contro la giunta militare. Molte persone, provenienti da diversi gruppi politici e desiderose di combattere, si erano unite al nostro movimento. Tuttavia non avevamo le possibilità ed un'organizzazione tale da poterle organizzare alla lotta.

Ai primi di novembre 1981 tutti i membri del secondo Comitato Centrale, tranne il responsabile politico che in quel momento si trovava all'estero, erano stati arrestati.  Il responsabile politico del secondo CC era il compagno Niyazi e dopo il suo arresto, avvenuto sempre nel novembre 1981, il movimento aveva dovuto affrontare un nuovo periodo di crisi.  La forza combattente si era considerevolmente ridotta, la direzione del movimento si era venuta a trovare nelle mani di compagni della base e si era aperta una breccia all'interno del movimento, sebbene ciò non fosse evidente all'esterno.  Diverse persone, non più soggette ad alcun controllo diretto e che pensavano di aver assunto la direzione del movimento, avevano cominciato a collegare quei contatti che erano separati e, invece di continuare a lottare, si agitavano inutilmente a causa delle proprie paure personali. Così, allo stato di demoralizzazione generale - dovuto comunque alla situazione creata dalla giunta militare - nel quale i nostri quadri ed il potenziale rivoluzionario si erano venuti a trovare, si aggiungeva il fatto che queste persone, con la loro condotta indecisa e timorosa e con la loro sfiducia nei confronti delle avanguardie dell'organizzazione, stavano aiutando la giunta militare ad accrescere la propria superiorità psicologica e a diffondere la paura. Il costante sforzo di alcuni compagni non era sufficiente a superare questa situazione. D'altro canto, Pasa Güven, che era stato mandato all'estero per intervenire in alcune questioni, aveva completamente dimenticato la missione di cui era stato incaricato e si era smarrito nel pantano e nel tipico andazzo del rifugiato,  trascinandosi così sulla strada del tradimento.

Centinaia di nostri quadri e simpatizzanti si trovavano in carcere.

Era alquanto difficile, o addirittura impossibile, intervenire dal carcere, data la repressione esistente all'interno delle prigioni. Malgrado tutti gli sforzi da parte del compagno Haydar Basbag e di un altro gruppo di compagni per continuare ad esistere come organizzazione e per riuscire a mantenere il livello dello scontro armato dando il via ad azioni di minore entità, eravamo ben lontani dal raggiungere il nostro obiettivo. Eravamo però decisi a rimanere nel paese ed a continuare la resistenza, tanto che il 15 marzo 1982, nel corso del processo principale ai nostri quadri e simpatizzanti, la giunta militare aveva ricevuto una nostra risposta del tutto inaspettata. La campagna “La giunta militare non può condannare i rivoluzionari”, lanciata dall'esterno del carcere, si era udita persino dentro i tribunali dello stato d'emergenza. Era il periodo del maggior silenzio, in cui nessun movimento si esprimeva: la giunta militare si vantava di aver «intimidito i rivoluzionari e le masse» ed era riuscita a stabilire il proprio dominio in tutte le zone. Difendendo la nostra organizzazione e condannando apertamente la giunta militare proprio nel momento in cui i nostri quadri e simpatizzanti erano nelle mani del nemico, avevamo dimostrato al popolo della Turchia che avremmo continuato la lotta rivoluzionaria e che il fatto che fossimo prigionieri non avrebbe cambiato nulla, né ci avrebbe fatto rinunciare a ciò in cui credevamo. I nostri slogan, presentati ancora una volta all'opinione pubblica democratica, al popolo e a tutta la sinistra, avevano dato a questi ultimi un forte sostegno morale. Le avanguardie ed i quadri di quasi tutte le organizzazioni, eccetto quelli che erano fuggiti dal paese, si trovavano in carcere. La giunta militare aveva imparato diverse cose dagli avvenimenti susseguitisi nel resto del mondo: sapeva che con gli arresti e le condanne a morte avrebbe potuto fermare ed arginare la lotta solo momentaneamente. Infatti, poiché era al corrente che, alla fine, una lotta molto più pericolosa e ancora più rivoluzionaria sarebbe esplosa, aveva dato il via ad una vasta guerra di propaganda e di attacco ai rivoluzionari prigionieri, facendo circolare menzogne del tipo che soprattutto i quadri più importanti si erano arresi all’ordine costituito e si erano pentiti. Dato che la repressione ed il terrorismo si erano dimostrati inefficaci per intimidire e sottomettere il popolo, la giunta militare era passata alla guerra psicologica. Da parte nostra dovevamo contrastare questo gioco. Sebbene fossimo prigionieri, dovevamo resistere, e non solo per mantenere la nostra dignità personale: dovevamo trovare tutte le forme di resistenza ed i modi per informare il popolo della nostra lotta. Dovevamo rendere noto il fatto che, malgrado tutto, mantenevamo vive le nostre convinzioni rivoluzionarie e che il fascismo non ci avrebbe mai sconfitto. Dovevamo evitare atteggiamenti e condotte tali che permettessero alla giunta militare di presentare i rivoluzionari in cattiva luce e allo stremo delle forze. La resistenza doveva diventare qualcosa di molto più che una resistenza condotta soltanto da pochi rivoluzionari e le carceri, stracolme di migliaia e migliaia di rivoluzionari e patrioti che dimostravano al regime fascista che non si sarebbero mai sottomessi, dovevano trasformarsi nelle roccaforti di questa resistenza. Oltre ad informare le masse popolari della nostra resistenza, dovevamo creare un nuovo entusiasmo e risollevarne il morale, riattivizzando la nostra organizzazione. Se un movimento non è in grado di resistere, prima o poi si trascinerà a destra perché, perdendo tutte le sue idee e convinzioni etiche, farà ritorno all'ordine costituito. Questo è prevedibile. Noi, sebbene fossimo prigionieri e sebbene avessimo dimostrato parecchi difetti, dovevamo innanzitutto conservare le nostre convinzioni e ciò in cui credevamo, curarci le ferite e rialzarci per poter dirigere la lotta delle masse popolari. Per poter fare tutto questo dovevamo resistere con forza e determinazione. Per poter neutralizzare la superiorità psicologica della giunta militare, continuare ad esistere come organizzazione e impedire che il popolo, in questa situazione di sconfitta, venisse influenzato da oscure teorie di destra, riformiste ed imperialiste, dovevamo erigere un muro altissimo attorno a noi, spronare ed educare il popolo alla lotta. Ovviamente i risultati sarebbero stati evidenti su larga scala soltanto negli anni successivi. Il compito della nostra lotta era dunque quello di costruire un ponte fra noi ed il popolo, che ci avrebbe guidato verso il futuro. Coloro che erano incapaci di guardare al futuro e che non ci credevano, non avevano partecipato alla costruzione di questo ponte, non riuscendo così ad evitare la propria fine.

Un partito può avere tutte le sue avanguardie, i combattenti ed i quadri in carcere e può dimostrare di avere grossissimi difetti.

Tutto ciò rappresenta una verifica per i rivoluzionari: coloro che riescono a superare tali prove, non avranno poi difficoltà a costruire dei solidi legami con il popolo. Da parte nostra dovevamo trasformare il banco degli imputati dei tribunali fascisti in quello dei testimoni, dal quale esprimere con forza la nostra verità, la rivoluzione, e condannare il fascismo. Abbiamo dunque scritto le pagine più brillanti della storia dell'organizzazione con la nostra resistenza in carcere, diventando da imputati dei tribunali fascisti a testimoni della rivoluzione, con la nostra resistenza ed il modo di affrontare la dura situazione nei commissariati, dimostrando la nostra superiorità, organizzando una pratica capace di sostenere e di risollevare il popolo, e diventando un esempio per tutti i prigionieri. Abbiamo potuto scrivere queste pagine storiche soprattutto grazie al grandissimo impegno e lavoro di Abdullah Meral, Haydar Basbag e Hasan Telci, che non hanno esitato a sacrificare la loro vita per l'organizzazione. Li ricordo qui con grande fiducia, rispetto ed amore.

In seguito all'arresto del compagno Haydar Basbag, avvenuto nell'estate 1982, le condizioni generali del movimento e di chi ne avrebbe preso la direzione si trovavano ad un punto fermo. Però, sempre in quel periodo, un compagno era riuscito ad evadere dal carcere ed a prendere in mano la situazione, ripristinando nuovamente i contatti.

Era giunto il momento di tentare di occuparci della situazione del movimento dall'interno delle carceri, con l'aiuto dell'esterno. Tale decisione si basava sul fatto che il movimento possedeva ancora un notevole potenziale e che, con gli appropriati criteri organizzativi, avremmo potuto proseguire la linea di resistenza. In quel periodo i quadri avevano discusso delle condizioni del movimento ed analizzato, in generale, come superare la fase nel miglior modo possibile. Il movimento non era in grado di mettere in atto una valida e stabile tattica di ritirata, poiché essa può essere realizzata soltanto da una forza organizzata e noi non avevamo questo genere di organizzazione. A partire dal mese di dicembre 1982, la giunta fascista filoamericana era riuscita ad insediare i suoi organi e le sue istituzioni in tutto il paese, eliminando quasi tutte le organizzazioni rivoluzionarie e patriottiche - specialmente quelle armate - che costituivano una sorta di opposizione. I sindacati erano stati messi al bando, gli intellettuali e molte altre persone arrestati o costretti al silenzio. Inoltre, la giunta militare era intenzionata ad estendere la propria base di potere facendo sì che il popolo - costretto al silenzio con la violenza - votasse per una costituzione che avrebbe legalizzato il regime fascista. Dato che non c'era più nessun movimento in grado di ostacolare questo progetto fascista, esso avrebbe potuto essere realizzato ed il plebiscito sulla costituzione era un passo fondamentale in questa direzione. In generale le posizioni più diffuse nella sinistra erano quelle del no, del boicottaggio delle elezioni, o dell'annullamento del voto, ma essa non era sufficientemente forte da riuscire a portarle avanti concretamente. Il nostro movimento stava attraversando la fase della propria ricostruzione ed al contempo doveva anche prendere posizione riguardo alla seria questione della sensibilizzazione popolare sul problema del plebiscito. Per questa ragione avevamo dato il via, nel paese ed all'estero, alla campagna “No alla costituzione fascista” e, al fine di politicizzare le masse, a fare propaganda e a fare circolare il messaggio che un voto contro la costituzione era un voto contro il fascismo. Sebbene non fossimo in grado di compiere azioni ad alto livello nel paese, la nostra propaganda veniva condotta nei modi più diversi. L'azione che maggiormente aveva segnato questa campagna e destato l'attenzione delle masse popolari e dell'opinione pubblica mondiale era stata l'occupazione e la presa in ostaggio degli impiegati del consolato generale a Colonia. Per poter realizzare questa azione, prima di agire, avevamo dovuto fare costanti pressioni sul nostro popolo all'estero ed eliminare qualsiasi motivo ed ostacolo che avesse potuto farla fallire. Le armi necessarie erano state inviate dalla Turchia. Anche se questa azione era stata compiuta all'estero, essa aveva dimostrato al popolo che in qualsiasi circostanza potevamo mettere in atto la politica del nostro movimento e che, nel momento in cui la situazione lo richiedeva e prendendo le misure necessarie, era possibile smascherare il fascismo. Su questo terreno, la caratteristica di tale azione era stata quella di mettere in luce una diversa prospettiva di militanza e di determinazione. Per quanto forti fossero stati gli attacchi imperialisti nei nostri confronti, non erano tuttavia riusciti a ridurre gli effetti e l'importanza di questa azione.

Da parte nostra avevamo continuato la protesta contro la costituzione fascista e l'appello alle masse popolari di dire no a tale costituzione anche dal carcere e nelle aule dei tribunali dell'oligarchia, esprimendo appunto le nostre idee a riguardo e le nostre dichiarazioni al popolo durante i processi e facendole circolare all'esterno.

In quel periodo il carcere aveva un ruolo importante. Gli opportunisti, trascurando il fatto che fossimo prigionieri ed ignorando gli sviluppi avvenuti nel paese e la particolare situazione in cui si trovava il movimento, agivano unicamente sulla base dei loro problemi personali e cercavano di inserire nei loro programmi assurdità del tipo: «Il carcere non è un organo centrale. È impossibile che dal carcere possa uscire una politica in grado di influenzare l'esterno». Queste affermazioni, finalizzate all'abbandono della lotta, erano soltanto un atteggiamento conseguente al fascismo, il quale poneva i prigionieri rivoluzionari alla stregua di qualsiasi altro criminale detenuto.

I prigionieri appartenenti al nostro movimento avevano mantenuto una condotta dignitosa, in base alle proprie possibilità, nel corso degli sviluppi che man mano erano avvenuti nel paese. Avevano cercato di portare al popolo la politica dell'organizzazione ed allo stesso tempo di aprire e di guidare l'organizzazione verso l'esterno. Questo comportamento si era talmente radicato tanto da riuscire, in situazioni di estrema difficoltà, a prendere una chiara posizione su svariate questioni, persino su quelle inerenti alla politica internazionale. Possiamo affermare di essere stati i primi a dare una seria e complessiva valutazione dell'occupazione israeliana del Libano, i primi al mondo ad assumere una posizione determinata a riguardo, nonostante la pesante repressione cui eravamo sottoposti. Era stata la voce dei nostri prigionieri a condannare, di fronte ai giudici dei tribunali fascisti, l'imperialismo americano ed Israele, ad esprimere solidarietà al popolo palestinese e a denunciare la partecipazione della giunta militare fascista turca a questi massacri ed attacchi. La chiara posizione riguardo alla politica estera, la resistenza e la convinzione di poter mantenere vivo il legame con il popolo avevano mandato all'aria i piani del regime fascista. Lo scopo della giunta militare era quello dì rinchiudere i compagni in carcere, di costringerli al silenzio, di terrorizzarli al punto che non osassero più farsi vedere e di portarli ad accettare e ad integrarsi nel sistema. Un corpo prigioniero come quello dei militanti dì Devrimci Sol non si trova così facilmente in giro per il mondo: non sono prigionieri normali e non accettano nemmeno lo status di prigionieri di guerra. Non si fanno sottomettere e non restano in silenzio: sono una nuova forma di prigionieri. Si potrebbe dire che i prigionieri di Devrimci Sol sono “Prigionieri liberi". In breve tempo, la loro condotta e la loro resistenza avevano fortemente inciso ed influenzato buona parte della sinistra, compresi gli intellettuali democratici. Molti avevano cercato di emularli senza riuscirvi. Questo è un aspetto della nostra storia che merita una maggiore attenzione.

Nelle condizioni di prigionieri, avevamo trascorso anche un periodo in cui non avevamo nemmeno la possibilità di parlare e di discutere con i nostri compagni ed era per questa ragione che avevamo pensato di rinviare il lavoro di analisi e di valutazione della situazione del paese ad un momento migliore, in cui più quadri avessero potuto partecipare a tale discussione. Però i nostri compagni all'esterno, che dovevano far fronte a diverse questioni, per evitare di assumere posizioni errate, ci avevano imposto un'immediata discussione. Avevamo Così presentato ai compagni, discusso e terminato Le valutazioni del 1983, lavoro nel quale vi erano sicuramente parecchie lacune ed imperfezioni.

Le condizioni in cui versavano la sinistra ed i nazionalisti kurdi, a parte alcune stupidaggini dette e scritte, erano diventate estremamente evidenti nel 1982, durante il plebiscito sulla costituzione. La loro debolezza era palese ed essi non avevano nemmeno la più esigua forma di organizzazione. Dozzine di organizzazioni si erano rifugiate in Europa ed avevano assunto una condotta ed una forma che poi avevano imposto a questi ultimi: ingannando le masse popolari ed i propri sostenitori con lo slogan propagandistico della “lotta antifascista”, avevano cercato di fare delle collette per le armi e continuavano ad organizzare una manifestazione dietro l'altra. Erano Così trascorsi mesi ed anni, ed apparentemente tutta la sinistra e persino il nazionalista PKK potevano sembrare anche delle forze mature e ragionevoli, mentre invece erano pronti ad invertire immediatamente la rotta al primo colpo sferzato dai fascisti. Il PKK era arrogante, scontento di tutti,  considerava chiunque un ostacolo alla lotta e dunque un nemico da distruggere, definiva tutti gli altri «i tre quinti delle persone moralmente inferiori», o servi degli sfruttatori kemalisti, o addirittura elementi della controguerriglia, aveva persino teorizzato l’eliminazione di tutte le altre forze, d’accordo con  DY. Questa organizzazione, responsabile della morte di dozzine di rivoluzionari, senza aver mai fatto autocritica neanche  una volta, aveva dato inizio alle attività del fronte con le seguenti parole: «Nessuna forza della sinistra può organizzare le masse popolari della Turchia e del Kurdistan». I nazionalisti del PKK, separati dalla realtà del paese ed i cui quadri, presi dal panico, avevano abbandonato la Turchia dopo una totale sconfitta, non erano riusciti a costruire un fronte antifascista interno e nemmeno un'unità d'azione e delle forze all'estero, sulla base di princìpi e regole fondamentali. In breve, la situazione era la seguente: la sinistra non riusciva a comprendere il vero significato del fascismo e della lotta rivoluzionaria e non aveva superato la posizione dell'opposizione piccolo-borghese; le sue avanguardie non possedevano una coscienza rivoluzionaria e nessuna volontà di conquista del potere; la sinistra era confusa e scossa e le sue organizzazioni erano costituite unicamente da rifugiati politici, anche se i suoi membri insistevano a mantenere un atteggiamento da professori.

A causa della giunta militare fascista filoamericana, essi avevano perso la propria supremazia psicologica ed anche il loro dinamismo stava diminuendo. Sempre più distaccati dal paese per il fatto che si erano rifugiati all'estero, avevano progressivamente perso tutte quelle caratteristiche positive che un tempo avevano avuto almeno in parte. Un po' alla volta avevano subito un decadimento, influenzati dall'ideologia europea della “società civile”, o dai trotzkisti, o dalle tendenze anarchiche, ed avevano cominciato a definirsi democratici, sostenendo e portando avanti questa linea. Ecco perché sono i responsabili della perdita di centinaia di quadri che erano ancora intenzionati a combattere per la rivoluzione -avessero o meno la linea giusta- e dello scioglimento delle organizzazioni.

Coloro che non avevano compiuto il loro dovere di avanguardie nella lotta antifascista, avevano completato e perfezionato la teoria della fuga dalla guerra. Avevano fatto in modo che migliaia di rivoluzionari e di patrioti si integrassero nel sistema. Di fronte a tali risultati, la questione dell' “oggettività/soggettività” non ha più alcun significato, poiché la questione più importante resta il fatto che intere organizzazioni si fossero sciolte e che migliaia di rivoluzionari fossero stati annientati. Queste organizzazioni sono responsabili di tutto ciò. Adesso questi individui, integrati nel sistema, dopo aver danneggiato migliaia di persone e dopo aver dato false speranze al popolo, si comportano come se niente fosse, preoccupandosi esclusivamente del proprio tornaconto personale. È nostro dovere chiamarli col loro vero nome: traditori, traditori della rivoluzione e del popolo. Presto o tardi il popolo della Turchia pretenderà giustizia e che i traditori paghino.    

Avevamo spesso detto che questo fronte "sensazionale", costruito all'estero, sarebbe stato solamente un fronte esterno, dato che praticamente non aveva contatti nel paese, e il 12 settembre ne aveva infatti evidenziato la precarietà e l'artificiosità. Fatto sta che, alla fine, senza riuscire a combinare granché, il fronte si era disgregato. Noi eravamo ben consapevoli che questa sinistra, chiusa nella propria arroganza piccolo-borghese, non ci avrebbe ascoltato. Tuttavia era nostro dovere affermare la verità ed avvertire il popolo della Turchia, la sinistra ed i nostri sostenitori. Per questa ragione avevamo pubblicato l'opuscolo A proposito del Fronte, nel quale avevamo chiarito la nostra posizione.

Avevamo sottolineato il fatto che, se la sinistra fosse stata realmente intenzionata a combattere il fascismo, non avrebbe dovuto perdere il proprio tempo ad inseguire cose irrealizzabili ed avrebbe anche dovuto smettere di ingannare il popolo con false dichiarazioni e rivendicazioni. Avevamo inoltre affermato che dovevamo tutti lasciare da parte quelle questioni che davano origine alle divisioni e che dovevamo trovare invece un accordo su un programma antifascista ed antimperialista, che si basasse su punti d'intesa, ed il cui obiettivo fosse colpire la giunta militare, per poi metterlo in atto con la realizzazione di azioni comuni compiute da forze unitarie. Purtroppo i nostri appelli erano destinati a restare senza risposte per il semplice fatto che queste forze non avevano il problema di dover realmente combattere nel paese.

Le interminabili discussioni erano approdate alla stesura di un programma, al quale loro, in fondo, non credevano e, dato che non ne avevano messo in pratica un solo punto, soprattutto DY ed il PKK avevano cominciato ad accusarsi reciprocamente, facendo sì che di quel fronte non restasse più alcuna traccia. Era inutile dire: «Abbiamo fatto delle proposte», poiché tutti sapevano a che gioco stavano giocando.

Queste organizzazioni erano talmente irresponsabili da non aver nemmeno provato a fare il benché minimo sforzo per spiegare al popolo le ragioni del loro scioglimento e dell'incapacità di realizzare un programma che dopotutto avevano condiviso. La realtà stessa avrebbe poi mostrato quale sarebbe stata la loro fine, proprio a causa di questa irresponsabilità e mancanza di carattere. Per quanto riguardava noi, ovviamente ci eravamo attirati le ire di questa sinistra fortemente vincolata all'ideologia borghese, nel momento in cui, dicendo la verità, avevamo pubblicamente svelato il loro volto falso e bugiardo.

Ora parleremo brevemente del PKK che, con il suo fronte e senza un partito, aveva preso in mano la situazione e che più tardi avrebbe messo in pratica criteri di lotta radicali e di sinistra. Prima del 12 settembre, il PKK era in conflitto sia con tutte le organizzazioni nazionaliste kurde che con tutti i gruppi della sinistra. Inoltre aveva anche dei conflitti interni all'organizzazione per via dei traditori. Tutto ciò gli aveva causato un grave indebolimento ed una schiacciante sconfitta, tanto che i suoi militanti, presi dal panico, avevano abbandonato il paese.

Anche se la direzione del PKK definiva questa fuga dal paese una «ritirata ordinata», sappiamo tutti bene, così come lo sanno pure loro, che la verità è un'altra. Infatti, mentre la sinistra in generale aveva subito la sconfitta dopo il 12 settembre, il PKK era già stato sconfitto prima del colpo di stato militare.

Allora, il PKK aveva perso la propria forza e le sue avanguardie erano fuggite all'estero. Aveva inoltre il morale a terra perché in Kurdistan, dopo il 12 settembre, i fascisti avevano imprigionato nei campi di concentramento migliaia di persone, fra quadri, simpatizzanti e popolazione civile. I fatti avvenuti dopo il colpo di stato militare avevano mostrato chiaramente che la fuga del PKK non era affatto una ritirata ordinata ed in questo periodo esso aveva dimostrato, praticamente ovunque, in carcere, in Turchia e all'estero, la propria debolezza e la propria demoralizzazione.

Prima del 12 settembre, il PKK aveva eliminato fisicamente gli altri gruppi di sinistra, facendone addirittura una teoria. A causa di questi attacchi, tutta la sinistra aveva emarginato il PKK, ma quest'ultimo non si era fermato ed aveva spinto ancora ulteriormente la propria condotta irresponsabile, bollando come controrivoluzionarie diverse organizzazioni.

Fuggendo all'estero, non è che il PKK avesse abbandonato una forza combattente in grado di sferzare un duro colpo al fascismo. Infatti in quel periodo l'obiettivo principale era quello di impedire l'istituzionalizzazione del regime militare del 12 settembre e di sconfiggere i fascisti, ma il PKK non aveva partecipato a questa lotta.

Il PKK, impaziente di uscire da quella situazione di isolamento politico che si era costruito con le proprie mani, aveva risollevato il proprio morale e, per cercare di riaprire un piccolo spiraglio a sinistra, aveva finto di fare autocritica, ammettendo di aver commesso alcuni errori in passato.

La sinistra però era debole e non aveva nessun piano d'azione, anche se affermava di essere sempre stata pronta ad agire. Ecco, il fronte era entrato nella scena politica proprio in questo modo e cioè esistendo a parole ma non di fatto.

Nel momento in cui questo fronte aveva fatto la sua comparsa, noi avevamo affermato che il PKK, nonostante avesse una tattica ed una linea errate, era un movimento radicale che stava distruggendo le teorie provocatorie del revisionismo e che meritava dunque di essere sostenuto. Avevamo inoltre affermato che la sua vera strada era quella del radicalismo, ma che, se fosse rimasto nel fronte pacifista, avrebbe finito col perderla. Dopo lo scioglimento del fronte pacifista, il PKK aveva ripreso il suo cammino e, valutata la situazione ottimale, nell'agosto 1984 aveva compiuto un salto di qualità, in seguito al quale amava definirsi l'unica forza capace di resistere alla giunta militare del 12 settembre: una chiara ed intenzionale distorsione della realtà.

A partire dal mese di agosto 1984, la giunta militare aveva paralizzato tutte le forze d'opposizione: la costituzione del 1982 era passata in seguito al plebiscito e nel 1983 c'erano state le elezioni. Il programma del regime fascista di ritorno alla democrazia stava proseguendo a tutto spiano. In questa prospettiva l'entrata in scena del PKK non costituiva nessun ostacolo a tale programma.

Senza dubbio vi sono stati anche molti fatti che hanno influenzato le masse popolari e la sinistra, dai quali poter trarre, a diversi livelli, insegnamento ed un nuovo dinamismo.

Ciò comunque non toglie nulla al fatto che il PKK non avesse combattuto contro il regime fascista del 12 settembre, che avesse abbandonato il paese prima del colpo di stato militare e che se ne fosse stato in disparte - come d'altronde il resto della sinistra - a guardare il fascismo istituzionalizzarsi giorno per giorno. La verità è che il PKK, con la propria adesione al fronte opportunista, aveva contribuito a distogliere il popolo dalla lotta rivoluzionaria.

 Glli anni difficili, il sacrificio, la fedeltà e il tradimento

Nei mesi di gennaio e di febbraio 1983, in un periodo in cui il movimento non era stato ancora ricostruito, avevamo dovuto far fronte ad una vasta operazione della controguerriglia. In quasi tutte le zone dove esisteva una nostra presenza parzialmente organizzata, moltissimi compagni ed avanguardie erano stati arrestati ed anche buona parte dei mezzi finanziari e del logistico erano caduti nelle mani del nemico. Quest'ultima operazione di polizia ci aveva lasciati col morale a terra: avevamo perso tutte le nostre forze combattenti e non sapevamo nemmeno se i compagni rimasti erano in grado di dare continuità all'organizzazione.

Il membro del Comitato Centrale P.G., che si trovava all'estero, ormai si occupava unicamente delle proprie questioni personali: si era sempre più allontanato dall'identità rivoluzionaria e dalla realtà del paese e le operazioni della controguerriglia in Turchia, i martiri e la resistenza dei prigionieri non lo interessavano più. Ormai la nostra lotta non riceveva più alcun sostegno dall'estero. Infatti l'organizzazione all'estero, invece di fornire un supporto economico o morale all'organizzazione nel paese, era diventato solamente un onere.

Pur se avevamo perso moltissime forze, l'importante era riunire i contatti rimasti e dare continuità all'organizzazione. Ora, nonostante avessero una minore esperienza, toccava ai compagni più fidati rimasti di assumersi la responsabilità della direzione del movimento, poiché dovevamo assolutamente rinforzarci e riuscire a compiere dei passi in avanti.

In questa fase la responsabile del movimento all'esterno era Sabo.

Gülcan, che fino ad allora aveva dimostrato una condotta positiva, era il compagno più vicino a Sabo. Erano stati questi compagni ad assumersi tutte le responsabilità nel periodo più duro che il nostro movimento avesse mai attraversato. Quasi tutti i contatti erano stati scoperti o non erano più sicuri. Non era rimasto quasi più nulla del denaro, delle armi, delle basi e della struttura gerarchica dell'organizzazione. Inoltre le persone che a Istanbul ed in altre città non erano state arrestate erano disorganizzate, non conoscevamo bene i contatti possibili e vi era una unità di guerriglia rurale, ma inattiva in quel momento. Il compito di riunire tutti questi contatti, di riorganizzare il movimento e di creare nuove possibilità d'azione era qualcosa di estremamente difficile, ma questi compagni lo avevano accettato con entusiasmo, nonostante l'onere e la loro inesperienza, sicuri di riuscirvi.

Accettando questo compito al livello più alto, Sabo in breve tempo avrebbe imparato a dirigere il processo rivoluzionario con senso di responsabilità, lealtà e coscienza. Doveva scoprire da sola quali fossero le cose giuste da fare, in base alla propria conoscenza, al buon senso, all'intelligenza e all'esperienza, senza che nessuno potesse indicarle la strada.

Sebbene ricevesse il sostegno dei compagni prigionieri, esso era comunque sporadico e molto limitato. Nel momento in cui aveva cominciato, Sabo era in contatto soltanto con pochissime persone che erano al corrente della sua vera identità. Inoltre, allora le nostre compagne non erano ancora in grado di misurarsi nella lotta, come invece fanno oggi, poiché erano ancora forti il retaggio di questa società maschilista e la tendenza a guardare le donne con disprezzo e ad impiegarle solamente in ruoli secondari, e Sabo, all'inizio, aveva dovuto combattere anche contro questa realtà per poter essere riconosciuta.

In quel periodo non avevamo i soldi nemmeno per pagarci gli affitti ed i biglietti dell'autobus, così, riducendo al minimo le nostre spese in carcere, avevamo potuto aiutarla a cavarsela almeno per un po’. Avevamo anche chiesto a tutti i prigionieri che eravamo riusciti a contattare gli indirizzi di parenti e conoscenti le cui abitazioni potessero essere utilizzate almeno per un breve periodo e li avevamo passati all'esterno. Questo, almeno in parte e momentaneamente, ci aveva evitato di lasciare per strada i nostri compagni. Potremmo citare un sacco di esempi e raccontare atti di eroismo e di sacrificio ed episodi drammatici, ma ciò non è necessario. Se abbiamo ricordato qui alcuni di questi fatti è unicamente per far capire meglio la situazione di allora.

Le difficoltà del processo rivoluzionario, quelle che la teoria non affronta e che non diventano fatti evidenti, sono così tante che non è assolutamente possibile spiegarle con le classiche e note teorie e schemi. A volte è persino impossibile spiegarle con parole semplici. Quando queste particolarità, proprie di in movimento rivoluzionario, non vengono tradotte in parole, non possono venire comprese; ma quando si cerca di rinchiuderle in schemi teorici si verrebbe portati inevitabilmente fuori dalla linea rivoluzionaria.

Per portare lo scontro ad altissimo livello, Sabo aveva proposto un'azione suicida, alla quale avrebbe partecipato lei stessa. Tuttavia, non era questo il modo in cui avremmo potuto ottenere importanti risultati, mentre invece era fondamentale riuscire a raggruppare di nuovo l'organizzazione. Per questa ragione tale proposta era stata respinta. Ricorderemo sempre la compagna Sabo per il suo altruismo e la sua lealtà al movimento.

Il responsabile dell'organizzazione all'estero, P.G., di fronte all'ordine di ritornare in Turchia aveva fatto orecchie da mercante, asserendo di non aver ancora terminato il proprio lavoro. Mentre i nostri compagni non potevano neanche permettersi di pagare l'affitto di un appartamento o addirittura il biglietto dell'autobus, lui, senza avvertirli, aveva preso loro del denaro e lo aveva mandato in Turchia alla moglie e alla famiglia. In seguito, senza chiedere e informare i compagni, aveva fatto espatriare la moglie, la cui presenza era invece necessaria all'organizzazione in Turchia, e, incurante del benché minimo principio morale, aveva proseguito questo genere di abusi e di tradimenti. Ad esempio, si era fatto dare dei soldi -che avrebbe poi usato per sé- anche dai simpatizzanti dell'organizzazione, ingannandoli con un mucchio di fandonie riguardo a uno scontro imminente che non si sarebbe mai verificato. Aveva inoltre utilizzato il nome dell'organizzazione per i suoi svariati traffici infamanti con la criminalità organizzata, ma presto avrebbe dovuto render conto del suo tradimento e ne avrebbe pagato il prezzo. P.G. non aveva adempiuto i compiti assegnatigli e non aveva nemmeno voluto cooperare con i compagni più giovani ed inesperti in questo periodo così difficile per il nostro movimento. Approfittando del fatto che i leader dell'organizzazione erano in carcere, aveva sfruttato il proprio carisma nei confronti dei compagni. Pensava di non dover niente a nessuno e di poter utilizzare a suo piacimento ciò che invece apparteneva all'organizzazione. Nessuno poteva fermarlo. Noi, in quanto prigionieri, non eravamo in grado di agire: siccome non sapevamo esattamente ciò che succedeva all'estero, dovevamo innanzitutto creare le condizioni che ci avrebbero permesso di venire a conoscenza dei fatti. A volte capitava che i compagni ricevessero la nostra rivista pubblicata all'estero: anche se rispecchiava molto il contesto nel quale appunto veniva pubblicata, i contenuti che vi erano espressi non avevano nulla a che vedere con la realtà della Turchia e la rivista non era nient'altro che un rozzo pezzo di carta stampato per pura formalità. Da parte nostra dovevamo riuscire a riunirci prima di tutto nel paese. I compagni fuori dalle carceri non potevano risolvere i problemi all'estero in tempi brevi.

Comunque, i nostri compagni giovani ed inesperti erano giunti in pochissimo tempo a quel grado di maturità, il cui raggiungimento richiede generalmente diversi anni. Vivendo quella fase ed apprendendo da essa avevano imparato ad eludere i controlli della polizia.

Nel frattempo la giunta militare stava portando avanti, incontrastata, il programma di transizione verso la democrazia. Dopo essere riuscita, pur se con qualche difficoltà, a far approvare con un plebiscito la costituzione del 1982, ancora reduce, per Così dire, da quella vittoria, non aveva trovato nessun ostacolo che le impedisse di indire le elezioni nel 1983. Tutto, dall'atmosfera in cui si sarebbero svolte tali elezioni, alla qualità dei partiti borghesi esistenti, alla campagna elettorale, fino all'impazienza dimostrata da quei partiti borghesi già esistenti da decenni, ne faceva presagire l'esito. Il regime, che per svariati nonché importanti fattori interni ed esterni non avrebbe potuto durare a lungo nella forma di giunta militare, stava cercando di trovare i modi e gli strumenti per ottenere i propri obiettivi politici ed economici con la truffa elettorale. Sebbene le elezioni avessero accresciuto la sensibilità politica delle masse, la situazione richiedeva una presa di posizione da parte delle organizzazioni rivoluzionarie. Avevamo perciò cercato di raggiungere il popolo con il nostro messaggio, chiarendo la nostra posizione con dichiarazioni fatte nelle aule dei tribunali e dall'interno delle carceri, distribuendo all'esterno volantini, opuscoli e programmi ed applicando i metodi classici. Non c’era nessun partito da votare e da sostenere che fosse realmente a favore del popolo. Al fine di convincere le masse e di denunciare le elezioni truffa della giunta militare, avevamo espresso chiaramente la nostra opinione in merito: «Non entrate in cabina elettorale. Boicottate le elezioni. Non ci sono né partiti né persone che vale la pena di votare e di sostenere». Ovviamente non era un boicottaggio attivo, ma, pur se passivo, era comunque un boicottaggio. A dispetto dei tempi duri, la nostra organizzazione continuava ad esistere: alcune persone delle unità di guerriglia presenti sulle montagne di Dersim erano state inviate in città per compiere azioni armate, ma tra queste alcune avevano tradito ed erano fuggite. La situazione di inerzia del paese, le battute d'arresto subite e l'incapacità di portare a termine gli obiettivi antifascisti avevano contribuito ad accrescere la paura. Quando poi a questa paura si era aggiunta anche una più pesante oppressione nelle città, il tradimento era diventato qualcosa di inevitabile.

I provocatori e i traditori, che volevano distruggere il movimento dal suo interno, avevano sempre fatto la loro apparizione nei momenti più difficili e di debolezza. Ali Akgün, che aveva fatto la sua comparsa proprio in quel periodo e che più tardi sarebbe stato punito, era uno di questi individui. Prima del colpo di stato militare del 12 settembre aveva ricoperto l'incarico di responsabile per la zona del Mediterraneo, in merito al quale aveva ricevuto diverse critiche per non aver adempiuto il programma e le decisioni prese dal movimento, per il suo egoismo, per aver creato confusione nelle questioni della regione e per aver utilizzato abusivamente ciò che apparteneva al movimento. Consideravamo importante la zona del Mediterraneo in quanto era proprio lì che ci aspettavamo di compiere dei progressi, ma, a causa del comportamento indisciplinato, dell'ottusità e del comportamento egoistico di Ali Akgün, non eravamo riusciti a realizzare buona parte di tale programma. Prima del 12 settembre gli avevamo chiesto di render conto seriamente delle sue azioni, ma era ovvio che non sarebbe stato sincero. Infatti, Ali Akgün doveva presentarsi a rapporto presso il comitato regionale, ma già al secondo giorno di permanenza nella zona - prima senza avvertire l'organizzazione e poi mentendo al comitato regionale - aveva tentato, insieme ad altri, di compiere un'irruzione in una gioielleria, facendo arrestare tutti. Per questo crimine li avevamo fatti retrocedere tutti al livello di semplici simpatizzanti e li avevamo rimossi dai loro incarichi. Nel 1982, approfittando dell'occasione di un'evasione decisa e coordinata da diverse organizzazioni, era fuggito dal carcere di Elazig insieme a due compagni. La decisione di farlo partecipare all'evasione era stata presa dall'organizzazione direttamente interessata nell'azione e motivata dalla sua pesante condanna.

Sebbene ci fossero state altre storie, Ali Akgün dopo l'evasione si era separato dai due compagni per problemi personali e per altre ragioni e si era comportato in maniera individualistica. Nel frattempo, poiché un altro compagno era stato incaricato come responsabile del movimento, Ali Akgün aveva inviato un messaggio in carcere per esprimere il proprio dissenso e per chiedere di ricoprire lui l'incarico. Avendo ben presente la sua pessima condotta tenuta in passato e la sua posizione, gli avevamo risposto che era un semplice simpatizzante, che non poteva dunque assumersi certe responsabilità e che prima avrebbe dovuto nuovamente mettersi alla prova. Tuttavia, siccome era uno di quei piccolo-borghesi che sopravvalutano se stessi, non aveva dato retta alle decisioni del movimento. Aveva trovato tre o quattro piccoli malavitosi, bisognosi di denaro, che non avevano nessun contatto con il movimento ed insieme a loro aveva compiuto furti, rapine ed ogni genere di sporco crimine mafioso, continuando in questo modo a vivere come un gangster senza più preoccuparsi dei compiti rivoluzionari. Sia i compagni all'esterno che i compagni arrestati nel corso delle operazioni di polizia del 1983 avevano detto che Ali Akgün nel gennaio 1983 non era stato arrestato, pur se la polizia aveva avuto l'occasione per farlo. In quel periodo, mentre tutti i nostri compagni e simpatizzanti si scontravano puntualmente con la polizia, lui si muoveva liberamente tra i poliziotti. Senza controllarsi, aveva detto ai quattro venti di essere lui l'autentico Devrimci Sol ed aveva fatto correre rischi a tutti i quadri, o presunti tali, che conosceva. Diceva che la polizia non lo aveva toccato perché aveva paura di lui. Invece l’oligarchia aveva riposto in lui le speranze di spezzare il nostro movimento. Mentre Ali Akgün andava dicendo: «Noi siamo l'autentico Devrimci Sol», i nostri compagni all'esterno non avevano quasi più contatti con il traditore P.G., il quale aveva iniziato a cooperare con Ali Akgün per tentare di legittimare il proprio tradimento. E così questi due individui avevano fatto un accordo per spezzare il nostro movimento. Ali Akgün, per realizzare tale piano, era in procinto di recarsi all'estero e nel frattempo si faceva ospitare da un simpatizzante del DHB. Un giorno però la polizia aveva scoperto e convocato in commissariato questa persona e Ali Akgün, spaventato dalla presenza dei poliziotti, aveva cercato di scappare dalla finestra e così era stato arrestato. La banda, che egli aveva riunito attorno a sé, si era staccata da lui e quindi si era sciolta. Il traditore P.G., dato che in quell'occasione aveva giocato la sua ultima carta, aveva deciso di far ritorno nelle braccia del sistema. Di fatto, gli autori di tale cospirazione non erano né P.G. né Ali Akgün, bensì l'oligarchia e gli opportunisti. Gli opportunisti però non potevano accettare che tutti i loro sforzi per spezzare il movimento andassero ancora una volta un fumo ed è per questa ragione che non si sarebbero lasciati sfuggire nemmeno un'occasione per mostrare apertamente il proprio atteggiamento ostile e di rancore. E la messinscena che avrebbero orchestrato in seguito alla punizione del traditore Pasa Güven e di Ali “il barbaro” ne sarebbe stato un risultato.

 

I nostri corpi trasformati in armi

Il nostro movimento, mentre stava ancora curandosi le ferite, aveva dato continuità al proprio antifascismo fondato sulla violenza rivoluzionaria. In seguito all'ascesa al potere del governo ANAP, avevamo intrapreso una battaglia propagandistica antigovernativa, smascherando il volto fascista del governo. Oltre alla classica propaganda, avevamo anche compiuto attacchi con bombe, distruggendo 10 sedi cittadine dell'ANAP ad Istanbul. In quel periodo la situazione in Turchia era tranquilla e queste azioni - contro le quali si era scagliata la violenza del governo - risultavano qualcosa di piuttosto sensazionale. Tuttavia, mancando di una certa stabilità, non riuscivamo ad intensificare queste azioni. Insomma, non essendo inserite in un programma quotidiano, lasciavano soltanto un'impronta momentanea.

La giunta militare continuava ad essere psicologicamente superiore. L'interno delle carceri ormai rappresentava il centro dell'opposizione, caratteristica garantita proprio dalla resistenza dei prigionieri. Ma, oltre alla lotta dei prigionieri per l'identità e la dignità, dovevamo unire il loro potenziale di resistenza e la loro forza con una lotta politica che potesse essere incisiva nei confronti delle masse popolari, dar loro sostegno morale e contrapporsi alla tattica di pacificazione della giunta militare.

Dopo il 12 settembre molti gruppi avevano scelto la “ritirata tattica”. Influenzati dalla guerra psicologica della giunta militare, avevano cominciato a frammentarsi, a deviare verso destra e a fuggire in esilio, poiché, fin dalla loro comparsa sulla scena politica, non avevano mai pensato seriamente al fascismo, allo stato, alla strategia, alla tattica o alla lotta. Il colpo di stato militare del 12 settembre 1980 li aveva ulteriormente confusi e indeboliti. Completamente disinformati sulla situazione del paese e sulla rivoluzione, avevano teorizzato sull'imperialismo ed avevano imposto a se stessi un'ideologia borghese che cominciava, in un modo o nell'altro, a condizionarli. Era ovvio che con idee simili gli opportunisti pensassero di non essere in grado di resistere, anche se, a dispetto della sua forza apparente, la debolezza della giunta militare era evidente all'opinione pubblica all'estero e nel paese. Essi avevano sopravvalutato la forza della giunta militare considerandola esageratamente “invincibile” e ritenendo “inutile” la lotta contro di essa. All'interno delle carceri avevano perseguito la linea dell’“antiresistenza”, cioè la linea dell’“accettazione passiva”, ed avevano cercato di legittimarla.

Questo atteggiamento volto alla resa era diventato palese soprattutto nel TKP [Partito Comunista Turco] e nell'Aydinlik che lo affiancava. Molti altri gruppi di sinistra si erano divisi tra la linea della resistenza e la linea della resa, quest'ultima perseguita appunto dal TKP. Se si osserva l'atteggiamento di Devrimci Yol nel carcere di Mamak - molti prigionieri del carcere di Mamak erano sostenitori di Devrimci Yol, inoltre anche i quadri dell'organo centrale ed altre avanguardie di quel gruppo erano detenuti lì - risulta chiara la sua responsabilità riguardo al processo di trasformazione di quel carcere in un centro di riabilitazione della giunta militare. Lì la giunta militare aveva giocato al gatto col topo con i prigionieri. Il carcere di Diyarbakir, dove la maggioranza dei prigionieri era costituita dai nazionalisti kurdi, era candidato a diventare il secondo centro di riabilitazione. La giunta militare aveva fatto tesoro dell'esperienza di queste due carceri per attaccare anche le altre nella speranza di ottenere i medesimi risultati. I prigionieri di Mamak e di Diyarbakir non erano stati capaci di prevenire le vittorie della giunta militare, il cui principale risultato era stato quello di far vedere al popolo in Turchia e all'estero che i rivoluzionari turchi e kurdi si stavano arrendendo e pentendo. Questa propaganda abilmente progettata aveva influenzato negativamente le masse popolari e si era anche spinta oltre, facendo diventare Mamak e Diyarbakir le istituzioni dell'intimidazione e della pacificazione delle masse popolari.

La giunta militare, fin dal primo giorno di ascesa al potere, era intenzionata ad attaccare in maniera intensiva il carcere, al fine di costringere i prigionieri alla resa prima che fossero in grado di riprendersi dalla confusione, e aveva messo in atto questo piano. Un ruolo fondamentale in questa capitolazione, confusione e deprivazione lo aveva giocato l'analisi insufficiente e non rivoluzionaria riguardo alla forza e alla debolezza della giunta militare, al periodo precedente il 12 settembre, al vicolo cieco in cui un regime apertamente fascista viene a trovarsi e alla capacità che un movimento rivoluzionario, contando sulle proprie forze, ha. Il primo attacco della giunta militare aveva causato il panico. Si era arrivati a considerarla onnipotente per paura di ulteriori e ben più gravi attacchi. Dicendo di voler prevenire una capitolazione ancor più grande, le attività finivano poco per volta ad adattarsi alla resa stessa. Una dopo l'altra, tutte le richieste della giunta militare venivano accolte. Ogni accettazione portava a un nuovo attacco e ad esso seguiva l'accettazione di un'ulteriore richiesta. Con questa tattica, in breve tempo, la giunta militare era riuscita a sottomettere i prigionieri di Marnak e di Diyarbakir e questa sottomissione era stata poi utilizzata con successo contro il popolo per mezzo della propaganda. In quel periodo il compito più urgente dei rivoluzionari era quello di contrastare questa propaganda e mostrare che i rivoluzionari non si stavano arrendendo. Era inevitabile che, per raggiungere tale obiettivo, per contrastare questa politica di sottomissione e di conseguenza per essere incisivi nei confronti della sinistra e del popolo, avremmo avuto dei martiri.

Nonostante i tentativi di ritirata da parte dell'intera sinistra e nonostante l’annientamento di ogni genere di resistenza, avevamo applicato con successo, fino alle elezioni del 1983, la nostra determinata e radicale linea di resistenza, la quale all'interno delle carceri, insieme al rifiuto della confessione in aula, aveva influenzato quasi tutti, dalla sinistra fino agli intellettuali piccolo-borghesi. Gli opportunisti invece non avevano fatto propria né la coscienza rivoluzionaria né la realtà del nostro paese e si erano addirittura opposti alla lotta per la difesa dei più basilari diritti, dicendo che la giunta militare durante quei primi anni era molto forte e che loro non volevano compromettersi. Quando poi la giunta militare aveva indetto le elezioni per il 1983, avevano creduto ad un ritorno alla democrazia, facendosi ingannare dal sogno che la pressione e il terrorismo nei confronti dei prigionieri si sarebbero attenuati fino a cessare del tutto. Di conseguenza avevano sostenuto - in coro con i demagoghi - che era inutile prendere una posizione politica in carcere poiché ciò era compito di coloro che stavano all'esterno e che le carceri non erano centri di lotta. Dove non c'è fermezza ideologica le deviazioni di destra o di sinistra sono inevitabili.

Mentre gli opportunisti fantasticavano, la giunta militare, quasi ne avesse letto il pensiero, aveva imposto ai prigionieri di indossare la divisa carceraria, confondendo ancora di più le idee agli opportunisti, e mentre questi ultimi continuavano a sperare nella democrazia, il fascismo aveva compiuto un attacco ben più duro dei precedenti. Se la giunta militare aveva realizzato il proprio programma di transizione, distanziandosi da un regime apertamente fascista, non aveva di certo accantonato quello inerente la riabilitazione dei prigionieri. Coloro che non avevano capito che il fascismo in Turchia cercava di agire dietro la  facciata della democrazia, sarebbero stati in grado, dopo dolorose esperienze, di riconoscerne la realtà ? Purtroppo le fantasie degli opportunisti non riguardavano solo il carcere, ma si erano spinte talmente avanti che alcuni gruppi - come ad esempio Kurtulus che era fuggito dal paese ancor prima del 12 settembre al grido: «La giunta militare sta arrivando» - avevano fatto addirittura ritorno in Turchia per riorganizzarsi, credendo che le elezioni del 1983 avrebbero instaurato di nuovo la democrazia, e così si erano trovati di fronte a una situazione inaspettata. I loro sogni erano stati troppo grandi: tutte le organizzazioni di sinistra avevano i propri militanti in carcere oppure avevano cessato di esistere; tutto il paese era paralizzato. Essi avevano creduto, ritirandosi, di aver sviluppato una gran tattica e di essere riusciti a conservare le forze. Ora credevano di poter mandare queste forze all’assalto del paese e di riuscire a catalizzare attorno a sé l'intero potenziale rivoluzionario. Ovviamente, pensando ai possibili ostacoli, non avevano trascurato l'attacco ideologico contro il nostro movimento. È assai triste ma, a partire dall'istante in cui questa gente    -che non aveva mai combattuto nel paese, estranea al popolo, incapace di sbarazzarsi di tutti i pensieri astratti e contorti e di quell'instabilità tipica degli intellettuali piccolo-borghesi, che aveva coltivato solo scoramento e sfiducia, che aveva addirittura importato dall'Europa alcune idee di destra-   aveva rimesso piede nel paese, avrebbe avuto soltanto un paio di mesi di vita. Ad esempio Kurtulus, che anche dopo il ritorno in Turchia aveva esclamato con felicità:  «Tutti gli altri sono crollati. Siamo gli unici ad esserne usciti indenni», dopo qualche mese  - dopo cioè aver sbattuto la testa contro il muro del carcere ed aver riacquistato coscienza (per davvero ? ) -   aveva dichiarato: «Siamo stati tutti colpiti e pure noi abbiamo ricevuto la nostra parte».   Avrebbero imparato ?

Gli anni della sconfitta erano stati l'ambiente ideale per lo sviluppo di ogni sorta di perversità, degenerazione ed immoralità ideologiche, di una maggiore distanza dal popolo, del rinnegamento e dell'idealismo filosofico, come conseguenza degli attacchi e della politica di sottomissione messe in atto dalla borghesia. Per far sì che la nostra organizzazione continuasse ad esistere, che non perdesse terreno e che fosse in grado di dirigere il popolo, dovevamo combattere ogni genere di tendenza opportunista che attaccava la nostra chiarezza ideologica, minava la nostra stabilità, sosteneva l'oligarchia e foraggiava la mentalità della sconfitta. Dovevamo agire contro tutte quelle tendenze che derivavano intenzionalmente dall'ideologia opportunista, che volevano distruggerci, portandoci progressivamente allo sfacelo e alla dipendenza dal sistema ed istituzionalizzando lo status quo. Non potevamo lasciar spazio all'influenza borghese in qualsiasi forma e travestimento si presentasse: all'interno ed all'esterno, le deviazioni di destra e di sinistra, il revisionismo e il compromesso. Dovevamo tracciare una linea chiara la cui realizzazione non permetteva di dare troppo spazio né ai dettagli né ai dubbi. L'esistenza dell'organizzazione dipendeva dalla nostra capacità di superare in maniera ideologicamente stabile questo processo ed era soltanto su tale questione che si sarebbe deciso il nostro futuro. La linea della resistenza e la lotta in carcere erano allo stesso tempo uno strumento per combattere e neutralizzare i nemici interni ed esterni. Questa concezione e questa prospettiva avevano permesso ai nostri quadri e simpatizzanti di accrescere la fiducia in se stessi e a noi di continuare la resistenza per molti anni, contando sulle nostre forze, al di là di tutte le differenze. Sapevamo di poter raggiungere risultati positivi.

Gli opportunisti, a rimorchio dell'idea di democrazia contro l'obbligo per i prigionieri di indossare le divise carcerarie, non erano in grado di far fronte a una resistenza che esigeva sacrifici a lungo termine. Si trovavano così impantanati in determinate posizioni ed erano ormai stanchi ed esausti. Essi da un lato perseguivano questo atteggiamento, sognando una nuova democrazia, e dall'altro mostravano tutta la loro debolezza di fronte alla nuova ondata di attacchi, parlando ancora una volta di onnipotenza della giunta militare. In un primo momento avevano pensato che sarebbe bastato un breve periodo di resistenza generale per far sì che la giunta militare rinunciasse alle proprie richieste/pretese. Il nemico e la sinistra avrebbero dovuto affrontare una prova di determinazione: il più determinato avrebbe vinto. Purtroppo, il modo di pensare degli opportunisti e la loro forma mentis non li avrebbero condotti alla vittoria. E così, alla fine, più di 1.000 prigionieri avevano partecipato alla resistenza generale del 1983, che era diventata ben presto una guerra di forza di volontà tra il nemico e la sinistra. Ma, giunti al culmine della resistenza, quando le forze rivoluzionarie e democratiche del paese e del mondo stavano dando il proprio sostegno ai prigionieri, quando il gioco che la giunta militare faceva dietro la facciata democratica era stato smascherato, quando il regime fascista si trovava in una posizione difficile ed obbligato al compromesso, gli opportunisti avevano cominciato a nutrire sempre più dubbi e avevano bruscamente interrotto la resistenza, dando in questo modo alla giunta militare una facile vittoria. Le agenzie di stampa mondiali avevano riportato: «La giunta militare è riuscita a spezzare la resistenza istigando i prigionieri l'uno contro l'altro». Adesso il nemico poteva elevare il suo programma di riabilitazione. Ancora una volta gli opportunisti avevano sbagliato nel credere che l'interruzione della resistenza avrebbe portato a un compromesso con il nemico e così quest'ultimo aveva distrutto le loro speranze - che comunque non erano poi tante - di poter accrescere l'offensiva non appena la resistenza fosse terminata. Gli imbecilli non erano stati capaci di imparare dall'esperienza. Ora non avevano più la forza di organizzare una nuova resistenza ed erano decaduti moralmente. Affermazioni come: «Resisteremo. Non accetteremo le divise carcerarie» erano soltanto parole a cui nemmeno loro credevano. Spinti da noi alla resistenza, cominciavano a legittimare la ritirata: la tattica della ritirata era sempre stata presente anche in carcere, ma fino ad allora non aveva mai avuto la reale possibilità di affermarsi. Adesso i prigionieri, che perseguivano quella stessa ideologia che la sinistra all'estero aveva scoperto in seguito al colpo di stato del 12 settembre, potevano verificare questa teoria con un ritardo di tre o quattro anni. Per riuscire ad autoconvincersi e a convincere i loro simpatizzanti avevano dovuto fare notevoli sforzi e, nel nome della ritirata tattica, avevano addirittura utilizzato parecchi esempi storici, da Brest-Litovsk alla NEP, cercando di collegarli tutti alla situazione carceraria, quando di fatto era ben chiaro ciò che dicevano e ciò che volevano. Invece di dire semplicemente: «Non abbiamo la forza di resistere ancora. Dobbiamo accettare le divise carcerarie», avevano bisogno di ricorrere a giustificazioni teoriche, anche se ciò aveva raggiunto livelli assurdi. Con la ritirata degli opportunisti era diventato ovvio che il grado di sacrificio di coloro che continuavano la resistenza nel carcere di Istanbul sarebbe stato maggiore rispetto a quello raggiunto nella situazione di resistenza generale: dovevamo essere pronti a questo. Non potevamo regalare così al nemico quel genere di individuo assoggettato che esso voleva creare per poterlo poi esibire davanti al popolo, dopo aver costretto tutti i prigionieri ad indossare le divise carcerarie.

Dovevamo contrastare quel tipo di condotta, nata dalle carceri di Mamak e di Diyarbakir, che, fornendo alla giunta militare altro materiale propagandistico, avrebbe accresciuto il disappunto delle masse popolari e dovevamo quindi inviare al popolo questo messaggio: «Non ci siamo arresi nonostante tutti gli attacchi del nemico», pronunciato ad alta voce e nelle più dure condizioni oggettive.

Era ovvio che la ritirata degli opportunisti dalla resistenza contro le divise carcerarie avrebbe portato ad un massiccio declino della partecipazione e noi dovevamo sostituire tale perdita. Per essere totalmente autonomi e poter contare sulle nostre forze, dovevamo innalzare barricate contro la nuova ondata di attacchi da parte dell'oligarchia e dovevamo impedire la sottomissione, anche se avremmo avuto dei martiri. L'oligarchia aveva fatto buon uso della situazione emotiva degli opportunisti dopo la loro brusca interruzione dello sciopero della fame del 1983. La loro disponibilità ad accettare le divise carcerarie aveva accresciuto le speranze dei fascisti, i quali avevano cominciato a dimostrare la propria determinazione. Però, nonostante questa dimostrazione di forza, nonostante le elezioni del 1983 e nonostante altre manovre in senso democratico, il fascismo stava affrontando una profonda crisi economica e politica interna e doveva misurarsi anche con l'isolamento esterno. Potevamo fermare questa ondata di sottomissione se tenevamo conto del vicolo cieco nel quale la giunta militare si era trovata intrappolata e se riuscivamo a porre le basi di una resistenza determinata senza aver paura di sacrificarci. Potevamo giocare, in diversi modi, un ruolo positivo all’interno e all’esterno del carcere, dando allo spirito della resistenza un rinnovato dinamismo. L'abolizione delle divise carcerarie e di altri strumenti di sottomissione avrebbero significato il fallimento della politica fascista messa in atto dalla giunta militare contro i prigionieri ed avremmo così dato inizio a una fase in cui le pressioni del fascismo nei confronti dei prigionieri sarebbero diminuite e parte dei loro diritti sarebbero stati riconosciuti. Il raggiungimento di tali obiettivi dipendeva dalla nostra determinazione alla resistenza e dalla nostra politica rivoluzionaria. I nostri quadri e simpatizzanti erano pronti ad assumersi questo compito storico. Fin dall'inizio essi avevano affrontato questo processo, avevano constatato la differenza tra la nostra politica e quella degli opportunisti ed avevano saputo tener testa alle deviazioni di destra. Questo era il contesto nel quale avevamo deciso di attuare lo sciopero della fame ad oltranza. Poiché nessun altro gruppo di sinistra, eccetto il TIKB, aveva accettato la proposta di una nuova resistenza generale o di uno sciopero della fame ad oltranza, avevamo deciso per la seconda proposta, iniziando con il TIKB lo sciopero della fame ad oltranza. Nell'ambito di una resistenza organizzata a tutti i livelli, sia delle masse che dei quadri, i volontari dello sciopero della fame ad oltranza avevano dato inizio alla protesta il 13 aprile 1983. L'oligarchia, ancora determinata, aveva lanciato la controffensiva fin dal primo giorno. La resistenza, che sarebbe durata 75 giorni, era quasi quotidianamente sottoposta ad attacchi fisici, psicologici e ideologici. Nel corso di questa resistenza, che avrebbe avuto anche dei martiri, e nel momento in cui l'oligarchia continuava gli attacchi contro i prigionieri mobilitati, gli opportunisti avevano discusso delle divise carcerarie, avevano approfittato delle condizioni migliori ottenute con la resistenza e, come se niente fosse, si erano uniti alle chiacchiere e alle speculazioni dell'oligarchia. Non potevano però aspettarsi che la resistenza si concludesse con una sconfitta.

Sebbene i nostri compagni dirigenti Abdullah Meral e Haydar Basbag, il nostro quadro Hasan Telci e un leader del TIKB, M. Fatih Öktülmüs fossero caduti come martiri, non avevamo ottenuto l'immediata abolizione delle divise carcerarie. Ma la resistenza, che aveva fatto conoscere all'opinione pubblica mondiale, con ben quattro martiri, la questione delle divise carcerarie, si era trasformata in un fronte di lotta contro la politica di oppressione attuata dalla giunta militare contro i prigionieri. Essa aveva dato alle masse popolari il messaggio che i rivoluzionari non si sarebbero mai arresi  - anche a prezzo della loro vita -  ed aveva impedito ai fascisti di ingannare la coscienza delle masse. Adesso dovevamo scrivere la storia della resistenza dei prigionieri di Devrimci Sol, che avremmo intitolato: "Sono morti, ma non si sono mai arresi”.

In quel periodo le masse non riuscivano a capire completamente l'importanza di questa resistenza all'interno ed all'esterno del carcere, ma col passare del tempo l'avrebbero compresa meglio e ne avrebbero colto i differenti aspetti.

Inoltre questa resistenza era anche un processo che avrebbe ancora una volta messo alla prova tutti coloro che stavano nelle nostre fila, dalle masse, ai quadri, ai dirigenti, e nel quale avremmo altresì potuto verificare la nostra fermezza ideologica.

Forse questa resistenza non portava all'immediato ottenimento di importanti diritti concreti: infatti lo scopo principale non era tanto questo, quanto invece i risultati politici e in quel campo era una vittoria, e cioè la continuazione della resistenza,  nella quale sviluppare ancora e costruire sui risultati politici ottenuti altre nuove forme di resistenza. Non avremmo accettato le divise carcerarie e non avremmo obbedito agli ordini: avremmo continuato la resistenza.

Per la prima volta nella storia dei prigionieri dopo il 12 settembre 1980, l'accettazione da parte degli opportunisti delle divise carcerarie aveva reso evidente la netta divisione tra i prigionieri. Le teorie opportuniste erano state attentamente riassunte con ragionamenti demagogici come Brest-Litovsk, la NEP e gli aspetti individualistici dell'essere umano. Allora gli opportunisti dicevano: «La giunta militare non vuole obbligarci ad indossare le divise carcerarie». Se adesso ricordiamo quel fatto con un amaro sorriso, esso aveva comunque costituito un esempio negativo nella storia dei prigionieri, poiché gli opportunisti avevano presentato l'accettazione delle divise carcerarie addirittura come una vittoria. Essi avevano pensato che, accettando di indossarle, la giunta militare avrebbe cessato di esercitare pressioni, concedendo loro una tregua, mentre invece, avuto ciò che voleva, aveva continuato a volere di più, facendoli così precipitare di nuovo nella confusione. Poiché ci eravamo rifiutati di indossare le cosiddette "bare azzurre", a noi e ai prigionieri del TIKB erano stati negati tutti i diritti, persino quello di presenziare ai processi, ma noi avevamo comunque proseguito la nostra linea di condotta e fatto rivivere la libertà all'interno del carcere. Inoltre ci tenevano separati dagli altri ed eravamo sottoposti a continui attacchi, mirati esclusivamente contro di noi e non verso coloro che indossavano le divise carcerarie, poiché, se la giunta militare avesse attaccato anche questi ultimi, avrebbe annullato gli effetti della vittoria appena ottenuta nei confronti degli opportunisti. Per questa ragione aveva messo in atto il trattamento differenziato dei prigionieri, utilizzando le divise carcerarie per attuare anche all'interno del carcere la politica del dividi et impera.

Era alquanto difficile per la giunta militare spiegare all'opinione pubblica mondiale la situazione dei prigionieri, che ormai da due anni non potevano presenziare ai processi perché rifiutavano le divise carcerarie. In quel periodo l'associazione dei nostri familiari si era sviluppata, diventando la voce che faceva conoscere all'esterno la resistenza dei prigionieri. Il regime fascista, costretto a mantenere la facciata democratica, non poteva più continuare tale attacco. Noi dovevamo proseguire la resistenza. Il 15 novembre 1985 la giunta militare aveva cominciato ad arrendersi di fronte alla nostra resistenza. Dopo aver conquistato tutti i nostri diritti, nel gennaio 1986 avevamo completamente abolito l'uso delle divise carcerarie, dando così una grossa sconfitta sul fronte delle carceri alla giunta militare. Adesso anche gli indipendenti e gli opportunisti potevano togliersi le 'bare azzurre". Per poter scrivere questo capitolo di storia quattro compagni erano caduti come martiri.

La nostra fermezza ideologica e la nostra determinazione organizzativa operavano su diversi fronti. Infatti esse non potevano limitarsi al fronte delle carceri, ma dovevano essere considerate un processo, ricco di lezioni politiche, importanti ancora oggi, sulle quali basarci tuttora.

All'estero il traditore Pasa aveva ormai interrotto tutti i rapporti con il nostro paese e si occupava solamente delle sue questioni personali. In Turchia c'erano stati altri arresti e Sabo era rimasta da sola: questo non era sufficiente. Avevamo bisogno di nuovi militanti. Lo sciopero della fame ad oltranza dei prigionieri aveva attirato forti simpatie da parte dei quadri, dei simpatizzanti e del potenziale rivoluzionario in generale, ma purtroppo la nostra organizzazione era troppo debole per poterne raccogliere gli effetti positivi. Il comandante Necdet Pisimisler e diversi altri compagni dell'unità di guerriglia rurale della regione del Mar Nero - che il 12 settembre non aveva fatto sentire propria presenza combattente - erano caduti come martiri nel 1981 durante i combattimenti con il nemico.

Sempre nel 1981 i combattenti dell'unità di guerriglia rurale della regione di Sivas-Tokat erano stati fatti prigionieri, mentre l'unità di guerriglia rurale di Dersim era riuscita a sopravvivere fino al 1984 compiendo poche azioni di minor livello poiché, pur avendo maggiore esperienza di altre unità e pur operando in un'area ad alta concentrazione di potenziale rivoluzionario, aveva stabilito la priorità della conservazione delle forze ed aveva quindi deciso di non dare inizio ad azioni rilevanti. In seguito all'arresto di questi combattenti, avvenuto alla fine del 1984, la nostra attività dì guerriglia era cessata anche in quella zona.

 

La necessità della ritirata

Fortunatamente in quel periodo era stato scarcerato M.A.  Egli, dopo il 12 settembre, che aveva assunto alcuni incarichi nel Comitato Centrale ed aveva partecipato alle discussioni inerenti i problemi e i nostri doveri all'esterno, uscendo dal carcere con il morale alto.    Pensavamo che l'organizzazione potesse ben presto fare dei progressi perché ora, accanto a Sabo, c'era un altro dirigente di cui avevamo fiducia, ma M.A. aveva utilizzato questa fiducia per affrontare i propri problemi personali e, sebbene fossero già trascorsi un paio di mesi, non aveva ancora cominciato nulla.

Decideva i luoghi d'incontro, ma poi raramente si faceva vedere, mettendo a repentaglio la vita dei nostri compagni migliori. Rinviava di continuo le proprie responsabilità con la scusa di problemi familiari e di salute e dopo qualche mese ne aveva trovata un'altra: gli “incubi”.  M.A. si stava incamminando sulla strada del tradimento: dopo il periodo degli incubi aveva cominciato ad avere paura, concludendo così la sua vita di rivoluzionario. In quegli anni questa era stata la linea perseguita da coloro che non volevano condurre la vita dei rivoluzionari. Questi individui dovevano dimostrare alla polizia, all'ambiente in cui vivevano e a tutti gli altri che non si sarebbero più impegnati in attività rivoluzionarie e questa strada li portava a perdere il proprio carattere e la propria dignità. La polizia li controllava e li osservava per sapere che cosa stessero facendo e quando capiva che non volevano più essere rivoluzionari li contattava e, facendo pressioni, li costringeva come minimo alla delazione. Questo era stato il modo in cui la polizia aveva contattato M.A., il quale si era umiliato a tal punto da arrivare a bere e a cenare con gli stessi aguzzini che lo avevano torturato. Anche se non era diventato un delatore, M.A. aveva promesso loro di non essere mai più un rivoluzionario.

Gli anni della sconfitta erano stati anni difficili e del tradimento, ma nonostante ciò noi avevamo proseguito la nostra strada. Per certi versi era più facile, da prigionieri, resistere alle pressioni e alle torture, poiché in quella situazione era chiaro chi fosse il nemico, ma il dolore infertoci dai traditori, che avevano agito calpestando i loro stessi valori, era ancora più forte. Per altri versi il tradimento aveva avuto l'effetto di una frusta, rafforzando la nostra volontà di libertà e intensificando gli sforzi per cercare di uscire dal carcere.

Il carcere aveva due volti: da un lato era una scuola e dall'altro tritava come una macina le persone, specialmente quando le organizzazioni fuori erano deboli ed il nemico psicologicamente superiore. Finché non veniva messa a repentaglio la vita delle persone e finché queste ultime non erano sovrastate dalla situazione, era possibile seguire la linea della resistenza, mantenendo un livello di vita e di resistenza collettivo. Quando però non c'era più una chiara distanza tra rivoluzione e controrivoluzione e nemmeno una netta separazione dal sistema, allora il ritorno al sistema non diventava poi così difficile. Coloro che avevano affrontato il carcere e le torture, e che poi uscivano e si trovavano dall'altra parte del muro, si sarebbero nuovamente misurati con le torture, le pressioni e le difficoltà della carcerazione, finalizzate a spezzare la loro identità rivoluzionaria.

Essere dei rivoluzionari significa essere preparati a questo. All'intensificazione della lotta rivoluzionaria segue un aumento della violenza controrivoluzionaria. In questa lotta la morte è una possibilità concreta. Le persone sono obbligate a scegliere immediatamente tra il sistema e la rivoluzione. Una personalità indecisa e irresoluta - non realmente emancipata dal sistema -   deve quindi misurarsi da un lato con le aspettative dei propri compagni e del popolo e dall'altro con le minacce da parte dell'oligarchia di tortura, terrore e morte. Coloro che non credono alla superiorità della rivoluzione e che sono volubili si arrenderanno alle pressioni e alla violenza del nemico e verranno reintegrati nel sistema. Abbandoneranno il popolo e i compagni e li tradiranno. Questo genere di personalità appartiene ai piccolo-borghesi, deboli e non preparati al sacrificio, che vivono nella speranza di una rivoluzione immediata. In tempo di vittoria essi sono i più radicali, mentre nella fase della sconfitta si chinano di fronte al nemico e sono sempre sul punto di tradire. Essi sono i potenziali portatori del tradimento all'interno della rivoluzione...

Il compagno Niyazi era stato scarcerato nell'ottobre 1985. Fin dal 1970 egli aveva partecipato a tutte le fasi di sviluppo del nostro movimento ed era sempre stato pronto al sacrificio. Niyazi possedeva ancora una memoria della lotta che il nemico e i più non conoscevano, un patrimonio che non era mai stato rivelato fino ad allora. In qualsiasi situazione egli aveva sempre saputo mantenere la fiducia che avevamo riposto in lui e dopo il 12 settembre, entrato nel Comitato Centrale, gli erano stati affidati, senza alcuna esitazione, molti incarichi. Il compagno Niyazi non era come M.A.: quest'ultimo non si era mai completamente staccato dal sistema, né in passato né in carcere, mentre Niyazi era diverso; aveva trascorso un'infanzia povera, fin da bambino, per vivere, aveva sempre dovuto lavorare ed era cresciuto nei quartieri popolari più poveri. Tranne che per la sua personalità intellettuale, egli non aveva nessun legame con il sistema, dal quale si era nettamente staccato fin dall'inizio. Era uno dei dirigenti del nostro movimento e la sua liberazione sarebbe stata indubbiamente molto importante. Eravamo contenti e fiduciosi perché per noi era come se, insieme a Niyazi, fossero stati scarcerati centinaia di prigionieri: egli avrebbe portato all'esterno tutti i nostri ideali e sentimenti, il nostro spirito combattente, la nostra rabbia e la nostra collera. Questa era l'atmosfera al momento della sua liberazione.

Fuori lo attendevano un sacco di problemi. Niyazi doveva misurarsi con compiti enormi: doveva riassestare l'organizzazione, occuparsi del tradimento all'estero, ridare una nuova forma al movimento, costruire una struttura centrale e sviluppare la lotta. Era impossibile incrementare la lotta e stabilire un programma con l'organizzazione che c'era allora, con la rete di rapporti esistente e con le rimanenti risorse. Il regime fascista, malgrado la sua continuità, stava attraversando una fase di rinnovamento, perciò sarebbe stato inutile cercare di ampliare la resistenza impiegando le forze e la struttura esistenti: avremmo soltanto disperso ancora di più le forze. Per poterci rafforzare e preparare alla fase di espansione dovevamo prima di tutto concludere la discussione, iniziata alla fine del 1984, sulla ritirata tattica. Niyazi era riuscito in breve tempo ad eludere la sorveglianza della polizia e a cominciare così ad adempiere ai propri compiti. Ora Niyazi e Sabo guidavano il nostro movimento.

La situazione del movimento era stata valutata nei dettagli e discussa con i quadri più importanti, giungendo alla decisione della ritirata tattica, che non doveva essere una fase di totale passività, bensì una fase durante la quale compiere, di tanto in tanto e senza disperdere le forze, azioni e iniziative di propaganda, ma essa doveva principalmente servire a ridare forma e stabilità all'organizzazione, a riunire le forze e ad accelerare il processo di costruzione del partito.

Avevamo dichiarato che ritenevamo P.G.  - con cui tutti i contatti erano stati interrotti e che aveva trasformato la nostra organizzazione all'estero in un convivio per i propri interessi personali-   responsabile di tradimento. Dopo che avevamo pubblicamente esposto tutti i suoi tentativi di dividere il movimento all'estero, si era isolato e, avendo capito che non poteva più sfruttare il movimento rivoluzionario e le masse a vantaggio dei propri familiari e conoscenti, lui e sua moglie, controllati dalla polizia francese, avevano cominciato a trattare con la mafia. I quadri e i simpatizzanti del nostro movimento avevano provato un'enorme rabbia verso questo traditore che ci aveva abbandonati sotto il fuoco del nemico. Non lo avremmo mai dimenticato.

Pur non avendo ancora raggiunto un buon livello di stabilità, avevamo ugualmente compiuto degli interventi all'estero, cominciando a fare pulizia. Inoltre avevamo lentamente cominciato a ripristinare e ad ampliare i contatti, le cui possibilità finora erano state limitate e distorte.  Allora il governo ANAP doveva attuare alcune riforme democratiche, anche se limitate.  Alcuni settori popolari avevano cominciato a rompere il silenzio, imposto alle masse con il terrore e le pressioni. Diverse classi e settori popolari, i familiari dei prigionieri, i giovani, gli studenti, i lavoratori e persino alcuni partiti borghesi –sebbene dentro a una linea riformista- avevano iniziato ad alzare la voce e a rivendicare i propri diritti. Noi dovevamo essere la voce delle rivendicazioni del popolo, che la giunta militare, per mezzo di pressioni e censura, aveva appunto costretto al silenzio e dovevamo prendere in mano, insieme alla lotta del nostro movimento, anche la lotta delle masse. Infatti, senza creare una base costituita dal potenziale di massa, è impossibile avere un'ampia e solida organizzazione di quadri. Dovevamo dirigere le masse nel loro tentativo di rialzare la testa rivendicando i propri diritti economici e politici, senza cadere nella trappola della legalità. Dovevamo prendere decisioni coraggiose riguardo all'ideologia, alla politica e all'organizzazione delle masse, dovevamo metterle in atto e, giorno per giorno, senza esporci, dovevamo rafforzare sempre più il retroterra dell'organizzazione. Dovevamo analizzare tutte le possibilità e nello stesso tempo diventare subito radicalmente attivi. La nostra organizzazione non considerava invincibile il fascismo, né si illudeva sulle elezioni e la democrazia. Dopo aver ben valutato la forza delle masse e le forze a disposizione, eravamo stati in grado di compiere dei passi in avanti. In breve tempo eravamo riusciti a estendere la direzione delle masse e contemporaneamente anche ad allargare la formazione dei quadri: così facendo avremmo potuto superare la fase della ritirata tattica. Inoltre avevamo perseguito anche obiettivi molto importanti, quali lo sviluppo delle occasioni di addestramento militare per la formazione di una guerriglia urbana e rurale professionale e lo sviluppo di un fronte di retroguardia per la guerriglia urbana e rurale. Per dirigere il movimento di massa, per prevenire le sconfitte, per costruire un fronte di resistenza contro l'assalto dell'opportunismo a livello mondiale e per sviluppare l'unità ideologica era altresì necessaria la pubblicazione di un organo di stampa periodico e legale che potesse raggiungere le masse. Era inoltre necessario ogni tipo di organizzazione democratica in grado di riunire le masse e diventarne il portavoce. Anche i familiari dei prigionieri dovevano mobilitare una parte delle forze di massa e, per poterne aumentare l'effetto, dovevamo convergerle all'interno delle organizzazioni democratiche. Al fine di riunire, per la prima volta nella storia della Turchia, i familiari dei prigionieri in una piattaforma democratica, ci eravamo rivolti a tutti i movimenti politici e persino a qualche singola persona. Tutta la sinistra opportunista e riformista non aveva reagito al nostro appello, ma aveva cercato furbescamente di crearne un'altra identica. Sebbene lo scopo di tale mossa fosse ostile, essa era stata comunque utile. Adesso nello stesso campo operavano due differenti organizzazioni: la tradizione si ripeteva. Ancora una volta quasi tutti gli opportunisti e riformisti si erano ritrovati insieme, compresi quelli che reciprocamente avevano mosso accuse agli altri di essere “lupi grigi maoisti”, o “lacchè dei Russi”, o “estremisti”, o "traditori controrivoluzionari”. Ora, senza nemmeno una parola di autocritica, erano di nuovo insieme, più "maturi”.

Sembrava che anche il TIKB - che aveva partecipato con noi allo sciopero della fame ad oltranza, durante il quale i prigionieri e i loro familiari avevano dato esempio di solidarietà - non avesse in mente di stare con noi in futuro, visto che  non aveva   perso l'occasione per  schierarsi a fianco degli opportunisti e dei riformisti.

Noi eravamo in un altro posto

Poiché la giunta militare sapeva che non avremmo fatto compromessi e poiché temeva potessimo in qualche modo influenzare il blocco riconciliatore degli opportunisti, aveva concentrato i prigionieri di Devrimci Sol in braccetti isolati e separati. Tuttavia avremmo potuto sfruttare a nostro vantaggio questa politica di isolamento messa in atto dalla giunta militare. Agli inizi del 1986 quasi tutti i prigionieri di Devrimci Sol rinchiusi nelle carceri di Istanbul erano stati concentrati nelle sezioni più malsane. Anche se alcuni di noi si trovavano ancora nelle sezioni degli opportunisti, vi erano comunque le condizioni per poter collettivizzare tra di noi.

Dovevamo utilizzare questa opportunità. Avevamo così affrontato un periodo di discussione, durato diversi mesi, finalizzato alla rieducazione dei nostri compagni che per anni erano rimasti isolati nei braccetti separati, lottando sulla linea di resistenza di Devrimci Sol. Volevamo stabilire l'unità ideologica, fare un bilancio di tutta la nostra politica e tattica del passato, constatare se avevamo imparato o meno dalla pratica quotidiana. Volevamo inoltre approfondire i nostri pensieri riguardo al futuro. Questo periodo di discussione aveva creato un'atmosfera vivace e noi avevamo fatto nostra l'idea di democrazia di Devrimci Sol. Quelli erano stati gli anni durante i quali, in seguito alla sconfitta, la bruttura, la degenerazione e la rassegnazione che avevano investito la causa rivoluzionaria, avevano avuto l’effetto di una palla di fuoco, devastando e bruciando ogni cosa. Se da parte nostra eravamo riusciti a salvarci da tutto questo, o perlomeno a non subire ferite insanabili, e a rimanere in piedi, lo dovevamo, tanto per cominciare, alla nostra chiarezza ideologica e al nostro patrimonio di conoscenza rivoluzionaria. Al decadimento ideologico e psicologico, dovuto agli anni della sconfitta, si erano aggiunte anche le differenze, a livello mondiale, tra i revisionisti del PCUS da un lato e gli opportunisti del Partito Comunista Cinese e del Partito dei Lavoratori d'Albania dall'altro, che, negando la realtà, avevano fatto sì che il popolo venisse assoggettato all'ideologia dell'imperialismo. In particolar modo il PCUS, guidato da Gorbaciov, aveva organizzato un grande complotto, trasformando la teoria di “Superamento degli errori e dei limiti del socialismo, apertura e rinnovamento” nella proclamazione del capitalismo, e coinvolgendo tutti i partiti socialisti e comunisti dei paesi socialisti nella discussione, nuova e senza precedenti, di questa teoria imperialista. E così, di punto in bianco, le teorie borghesi    -come ad esempio che l'imperialismo ed il capitalismo erano mutati, rinnovandosi, e che di conseguenza la ribellione e la rivoluzione proletarie non avevano più senso-   venivano inserite nel dibattito dei rivoluzionari di tutto il mondo.

D'ora in poi sarebbe stato possibile passare al socialismo attraverso il compromesso con l'imperialismo. Queste teorie erano la forma ultima della politica revisionista, sviluppatasi a partire dal l950, alla fine del periodo stalinista, con Kruscev e Breznev, che avevano progressivamente condotto il PCUS alla decadenza sia nella struttura che nella sovrastruttura, distruggendo lo spirito del socialismo, sviluppando la cultura individualista del capitalismo e tradendo le rivoluzioni nascenti e i movimenti di liberazione. Erano state così preparate tutte le condizioni per la capitolazione e il ritorno al capitalismo ed era stato Gorbaciov    -che probabilmente sarà ricordato come il più grande traditore della storia rivoluzionaria mondiale-    a dare l'ordine di sferrare il colpo finale. Anche la propaganda aveva superato tutti i limiti e lo aveva dipinto come un abile leader, addirittura più grande dello stesso Lenin. Questo grandissimo complotto dell'imperialismo era stato presentato senza spendere una sola parola sul socialismo.

I riformisti ed i revisionisti del nostro paese, che per decenni non avevano mai deviato dalla linea del PCUS, avevano anch'essi partecipato a questo tradimento a livello mondiale attraverso la ricerca del compromesso e della sottomissione nei confronti del governo ANAP, lunga mano della giunta militare.

Il complotto era ancora così lontano dal realizzarsi che queste forze da un lato avevano cominciato a fare appelli alle altre organizzazioni per “l'unità della sinistra”   e per la lotta contro il sistema, e dall'altro avevano mantenuto i rapporti con Özal, lavorando in questo senso per far ritorno all'ordine costituito. Özal, in quanto collaboratore del complotto imperialista, aveva ottimamente impiegato sia il metodo pacificatore che aveva imparato dagli imperialisti, sia il raggiro che aveva ereditato dall'impero ottomano, allo scopo di sbarazzarsi completamente del filosovietico TKP che, pur essendo revisionista, per decenni aveva continuato ad utilizzare I'appellativo di  “comunista”. Alla fine Özal era riuscito a trascinare questo partito nei giochi apparentemente democratici fatti dal fascismo e a portarlo allo scioglimento con un'operazione di polizia.

Certamente il TKP voleva sciogliersi, ma intendeva farlo nel corso di un programma a lungo termine, in base al quale avrebbe fatto ritorno nel paese, avrebbe organizzato grandi manifestazioni, non avrebbe dovuto denunciare apertamente il socialismo ed avrebbe convinto gli altri gruppi e partiti di sinistra. Ma i portavoce dell'oligarchia, gli eredi dell'impero ottomano che comunque non erano poi così sicuri della propria forza e cultura, non si erano fidati di questo programma a lungo termine e lo avevano perciò bloccato, liquidando in breve tempo i leader del TKP. Nel frattempo avevano cominciato a discutere sulle teorie di Gorbaciov che avevano un'impronta imperialista.

Questo dibattito aveva avuto luogo anche nel nostro paese e quasi tutti vi erano stati coinvolti. Quelle organizzazioni che non erano mai state in grado di pensare a qualcosa di  diverso dalla linea del PCUS e di sviluppare qualcosa di proprio, all'improvviso avevano cominciato a elogiare il capitalismo e a scoprirne i lati buoni e positivi, nonostante fosse evidente che teorizzassero il ritorno al capitalismo. Nemmeno gli ideologi dell'imperialismo avrebbero mai potuto immaginare che la sinistra revisionista fosse talmente corrotta da non credere affatto nella propria causa e nei propri princìpi e che potesse quindi essere annientata in un solo colpo. Da parte nostra dovevamo mostrare ai popoli di tutto il mondo in che stato si trovasse il socialismo e quali fossero le mire della politica di Gorbaciov.  Senza esitare avevamo mostrato chiaramente quale fosse la nostra linea di condotta nei confronti di questo tradimento, nata dalla critica, passata e presente, contro la politica del PCUS, del Partito Comunista Cinese e del Partito dei Lavoratori d'Albania.  Infatti, invece di unirci a loro negli errori, avevamo basato la nostra politica sulla nostra lotta e sulla nostra rivoluzione; i nostri quadri e simpatizzanti l'avevano poi fatta propria. Anche se questi partiti avevano fatto la rivoluzione, avevano l'esperienza, avevano guidato milioni di persone per decenni e possedevano un'immensa forza morale e materiale, noi - pur non essendo né un partito né un'organizzazione - dovevamo innalzare personalmente la bandiera del marxismo-leninismo, proprio nel momento in cui le tesi del marxismo-lenirnsmo -valide a livello generale- venivano poste sotto accusa

Una buona parte della sinistra turca, che non aveva rapporti con i revisionisti e i riformisti, non seguiva la politica di Gorbaciov, ma aveva imboccato la via dell'opportunismo. Infatti, sostenendo che il capitalismo aveva sia  «lati positivi che negativi», cercavano di nascondere la propria politica di resa senza distinguere tra ciò che era prioritario e ciò che era secondario. Altri dicevano che questa era la dimostrazione che il PCUS sbagliava e che il Partito dei Lavoratori d'Albania aveva ragione, non rendendosi conto che, in questo modo, anch'essi, in maniera non troppo diversa dal PCUS, stavano portando la sinistra nel pantano, cercando di liquidarla. La nostra posizione in merito era talmente chiara e aperta da non lasciare spazio alle repliche. Gorbaciov voleva estirpare l'intero sistema socialista offrendolo all'imperialismo. Il dibattito, che avevamo iniziato a fare nei braccetti e finalizzato alla rieducazione dei nostri compagni, era vivacemente continuato e il suo primo risultato concreto era stata l'analisi della situazione del socialismo a livello mondiale e della politica di Gorbaciov.

Avevamo poi pubblicato e diffuso le nostre analisi. I nostri compagni, che per anni non avevano potuto parlare né discutere fra di loro, erano assetati di ideologia. Se consideriamo il maltrattamento in carcere, dobbiamo tener conto anche del fatto che molti nostri compagni, non avendo potuto seguire gli avvenimenti via via accaduti nel paese, non avevano potuto sviluppare le proprie opinioni e, pur se il loro cuore batteva sempre per Devrimci Sol, erano stati inconsciamente influenzati dalle teorie degli opportunisti, dei revisionisti, degli intellettuali piccolo-borghesi e dall'umanitarismo borghese, che non avevano niente a che vedere con Devrimci Sol e con la nostra politica. Però noi avevamo gradualmente imparato a sbarazzarci di tutte queste differenze, ambiguità ed errori e, credendo fortemente in ciò che facevamo, a rafforzare, giorno per giorno, l'entusiasmo e lo spirito collettivo, riscoprendo noi stessi, i nostri lati positivi e diventando ancora più entusiasti nel constatare la nostra resistenza. Stavamo migliorando le nostre qualità e sapevamo che avremmo ancora una volta scosso il mondo intero, stavolta dalla Turchia. Eravamo entrati in una fase in cui, pur se per un periodo momentaneo, l'ideologia borghese era superiore, le masse popolari non credevano più nel socialismo e in cui sarebbe stato alquanto difficile difendere il marxismo-leninismo nel mondo dicendo: «Sono un marxista-leninista. Sono un socialista».

Dovevamo accelerare la nostra pratica, dovevamo conoscerla e difenderla ancora una volta in tutti i suoi aspetti ideologici, filosofici, politici e storici, e dovevamo assumerci le responsabilità a livello internazionale. I nostri quadri, nel momento in cui avessero fatto proprio tale patrimonio di conoscenze, sarebbero stati in grado di distruggere il complotto imperialista, di rafforzare la lotta nel nostro paese, di dare un'impressione positiva alle organizzazioni sorelle nel mondo e di contribuire al loro rafforzamento. L'imperialismo non avrebbe mai potuto sollevare le masse popolari dalla miseria, né tantomeno liberarle, poiché il sistema imperialista e capitalista, fondato sulla colonizzazione, anche in questa fase continuava a mantenere salde le proprie posizioni riguardo allo sfruttamento, alla tirannia e a tutto ciò che ne consegue. Quali che fossero state le teorie utilizzate per camuffare, negare o schernire la realtà, da parte nostra dovevamo capire che esse sarebbero servite unicamente a prolungare l'esistenza dell’imperialismo e del capitalismo e dovevamo perciò prendere una chiara posizione in merito. Il socialismo è l'unica alternativa all'imperialismo e al capitalismo. Finché il sistema imperialista e capitalista sopravviverà, il socialismo dovrà continuare ad esserne l'unica alternativa e questa sua prerogativa dovrà essere difesa, anche se il percorso non sempre sarà lineare.

La responsabilità del fatto che al momento la borghesia fosse ideologicamente superiore e del fatto che la sinistra non fosse stata in grado di resistere a sangue freddo a questi attacchi ideologici va attribuita a quei movimenti di liberazione che non avevano niente a che fare con il marxismo-leninismo e a quei partiti revisionisti come il PCUS che avevano deviato fino a giungere ad una situazione che non avrebbe più permesso il cambiamento sociale. Il revisionismo aveva visto la proprie fine. Anche se pareva che la lotta socialista si fosse sostanzialmente ritirata, in realtà il popolo, con il passare del tempo, avrebbe constatato che era stata proprio la politica revisionista a far crollare il socialismo e avrebbe visto il modo in cui i revisionisti avevano eseguito con successo gli ordini degli imperialisti per farlo fallire ed il modo in cui il sistema socialista era stato trasformato in un mercato da conquistare. I partiti revisionisti si erano progressivamente staccati dal popolo e non si erano più preoccupati di metterlo al corrente delle questioni inerenti la rivoluzione per renderlo così partecipe alle loro soluzioni. La rivoluzione non era più la rivoluzione del popolo. Nel momento in cui questi partiti, ignorando il popolo ed estraniandosi da esso, avevano cercato di mettere in atto la politica socialista, si erano trasformati in una casta completamente estranea ai problemi del popolo. La rivoluzione non apparteneva più al popolo e i revisionisti avevano cercato altre strade. Un popolo che non partecipa direttamente alla soluzione dei propri problemi e che non considera propri i problemi della società, non potrà mai essere creativo e nemmeno disposto al sacrificio. Poiché questi partiti si erano trasformati in caste revisioniste e burocratiche e poiché le masse popolari ed il proletariato erano stati tagliati fuori dalla rivoluzione, il socialismo - che in precedenza aveva ottenuto grandi vittorie,  a livello di base e  di sovrastruttura, contro il sistema imperialista e capitalista - non poteva più evitare la fase di regressione.

Gli altri movimenti di liberazione avevano utilizzato i metodi revisionisti per avviare i negoziati con gli imperialisti, anziché assicurarsi la caduta del sistema capitalista, rinnovare il marxismo-leninismo con le giuste rettifiche, rendere il popolo partecipe alla soluzione dei problemi e dare ancora maggior sostegno ai movimenti di liberazione nel mondo. Il meccanismo statale, governato dai revisionisti e tuttora esistente nonostante i tentativi di ciò che restava della borghesia e degli imperialisti di soffocare il socialismo, aveva assunto la funzione di opprimere le masse, di costringerle al silenzio e di governarle con i divieti. In tutte queste zone il socialismo, l'internazionalismo, la creazione dell'uomo nuovo, ecc. erano decaduti e la degenerazione era continuata.

Una tale situazione - in cui nel nome del socialismo veniva messo in atto ogni genere di politica economica che non aveva niente da spartire con il socialismo - non avrebbe portato che alla distruzione delle speranze del popolo e del proletariato nei confronti del socialismo, e alla fine essi si sarebbero fatti influenzare dalle ideologie borghesi. Se al popolo non si racconta la verità dei fatti e ciò che realmente accade nel mondo e nel paese stesso, con il passare del tempo risulterà impossibile impedirgli, nonostante gli obblighi, le pressioni e i divieti, di andare alla ricerca di qualcosa di nuovo. Tra l'altro, poiché viviamo in un mondo dove i mezzi di comunicazione sono notevolmente avanzati, le masse popolari, al di là di tutti i divieti e le coercizioni, erano state influenzate ed affascinate dalle menzogne e dalla demagogia dell'imperialismo.

Dopo aver subito la manipolazione della coscienza, con idee come ad esempio quella che non avrebbero mai potuto trovare nel socialismo tutto ciò che invece il capitalismo avrebbe offerto loro, spinte dagli imperialisti e dai revisionisti, avevano abbattuto il socialismo. Tuttavia, ciò che avevano abbattuto, o che cercavano di abbattere e che era loro estraneo, non era il socialismo, bensì il revisionismo. Per poter comprendere la verità e ricominciare ancora una volta la lotta nel nome del socialismo, era necessario che il popolo sperimentasse in prima persona il fatto che il sistema imperialista e capitalista alla fine non avrebbe cambiato nulla - come invece sostenevano i revisionisti - che lo sfruttamento più disumano avrebbe continuato ad esistere e che le persone sarebbero diventate una merce.

Non soltanto il popolo, ma anche dozzine di organizzazioni che dicevano di essere comuniste e marxiste-­leniniste, avrebbero constatato la stessa cosa ed avrebbero ripreso l'arma del marxismo-leninismo. All'interno di un sistema imperialista e capitalista il socialismo deve costantemente far fronte ai problemi; se così non fosse, vorrebbe dire che non esiste. Nonostante l'esperienza vissuta dai popoli del mondo e dalle organizzazioni marxiste-leniniste, ci vorrà ancora parecchio tempo prima che la lotta socialista possa di nuovo ricominciare e questa fase difficile, proprio a causa dell'influenza dell'economia capitalista e dell'ideologia imperialista, durerà appunto parecchio tempo. Anche se questa fase presentava degli alti e dei bassi, da parte nostra eravamo assolutamente certi, grazie all'esperienza accumulata osservando le mosse ed i tentativi fatti dai revisionisti, che ogni giorno avremmo compiuto progressi e che saremmo passati ad una fase ancora più viva e rapida di crescita rivoluzionaria. La nostra politica all'esterno del carcere di direzione delle masse e di creazione degli strumenti per metterla in atto si stava sviluppando in fretta.

In quasi tutte le zone, tra i giovani e nella classe operaia, eravamo riusciti a riunire ed a dirigere piuttosto rapidamente il potenziale che le masse racchiudono in sé. La nostra attività editoriale aveva avuto un'ampia risonanza tra il popolo e l'opinione pubblica, desiderosi di soddisfare il loro bisogno di ideologia. Anche i gruppi di sinistra avevano dato il via, pur se in maniera timida e debole, ad iniziative come la pubblicazione di giornali, come se volessero dire: «Ci siamo ancora».  Tuttavia la loro attività editoriale si concentrava sulla discussione di problemi interni ben lontani dalla politica rivoluzionaria. Questi circoli politici, che durante il periodo della giunta militare per la maggior parte si erano rifugiati all'estero e che non avevano intrapreso una lotta che richiedeva sacrifici, avevano cominciato una battaglia per l'egemonia, anziché occuparsi dei problemi urgenti della rivoluzione e dell'organizzazione delle masse. Avevano portato dall'Europa dei pensieri antagonisti al marxismo-leninismo e avevano preso la direzione delle organizzazioni. Avevano complicato la pura, semplice ed urgente realtà della rivoluzione facendola diventare una questione insolubile, si erano adattati al pensiero degli intellettuali piccolo-borghesi, avevano agito distruggendosi reciprocamente e mettendo in atto scissioni, rendendo in questo modo la propria vita un inferno, senza riuscire a lasciare né un'organizzazione, né una struttura gerarchica, né rapporti fondati sulla fiducia e sul senso di collettività, né altri valori. Avevano addirittura sabotato le proprie organizzazioni. Avevano agito in questo modo soprattutto i circoli del TKP, di Kurtulus e di Devrimci Yol. I circoli che nel nome della democrazia si accusavano reciprocamente di dispotismo, nel momento in cui erano riusciti a smantellare e a sciogliere le organizzazioni che essi stessi avevano costruito con le proprie mani e alle quali avevano un tempo dedicato molto lavoro, avevano finalmente trovato la pace, e tutto questo nel nome della “libertà di dialogo”. Devrimci Sol non sarebbe mai diventata un'organizzazione del genere. Certo, anche noi avevamo discusso di tutto. Gli opportunisti ci guardavano pensando: «Bene, discutono. Presto ci sarà una scissione».

Avevamo riso di loro, continuando a discutere di ciò che accadeva nel mondo e nel nostro paese, del nostro popolo e persino di noi stessi, senza però mai dividerci. Questo dibattito, durato diversi mesi ed al quale avevano partecipato centinaia di compagni, ci aveva permesso di gettare le basi di HAKLIYIZ KAZANACAGIZ [Siamo nel giusto. Vinceremo.], che sarebbe diventato la pagina d'oro della nostra storia durante il periodo della giunta militare e dei processi; un libro che mostrava come si sarebbe formato il potere rivoluzionario del popolo, definiva il nostro passato, presente e futuro e diventava un testo educativo e da consultare. Quest'opera si era sviluppata ed arricchita nel corso di tale dibattito, il quale aveva messo in atto l'unità ideologica ad un livello superiore, garantendone l'ulteriore sviluppo, proprio nel momento in cui eravamo attaccati ideologicamente dal fascismo del 12 settembre. E, non meno importante, l'attacco ideologico al socialismo da parte dell'imperialismo era stato completamente vanificato proprio dalle nostre prerogative: il messaggio che la ribellione rivoluzionaria sarebbe continuata, un messaggio che avevamo inviato dalle aule dei tribunali fascisti ai popoli della Turchia, del mondo, alle organizzazioni amiche e ai movimenti di liberazione, era anche una risposta agli attacchi attuati dall'imperialismo e dall'oligarchia. Questa linea di condotta portata avanti dalla nostra organizzazione aveva giocato un ruolo importante -come una luce nell'oscurità del fascismo- indicando la strada verso il futuro, facendoci superare gli ostacoli, diventando una verifica della determinazione e portandoci ad un livello che nessun'altra organizzazione avrebbe raggiunto.

Diversi gruppi opportunisti già prima del 12 settembre avevano dato il via allo sfacelo e al decadimento ideologico, allargandolo poi a tutti gli ambiti durante la repressione fascista. Uno di questi ambiti erano i tribunali. Per noi i tribunali dovevano essere i luoghi in cui avremmo chiesto ai fascisti la resa dei conti, avremmo dato fiducia al popolo ed avremmo condannato le forze al governo. Ma la politica di questi opportunisti aveva reso i tribunali un luogo in cui le persone, direttamente o indirettamente, si ponevano in maniera subordinata nei confronti dell'oligarchia e chiedevano pietà. Questi individui non esitavano a dire di non essere mai stati un'organizzazione, di non aver mai, in nessun modo, avuto intenzione di abbattere lo stato e - mettendo in atto una linea di difesa - affermavano di aver intrapreso una lotta legittima e legale contro i gruppi fascisti, di aver mostrato al popolo come doveva difendersi dato che lo stato non riusciva a tutelare la vita della gente, ma tutto ciò in termini di pubblicazioni di articoli su riviste legali. A giustificazione di frasi demagogiche quali: «Gli scontri tra la sinistra e la destra avevano messo a repentaglio la vita della gente e la democrazia era quasi perduta», formulate dai pubblici ministeri, dai giudici e dai generali della giunta militare, essi si erano dimenticati del fascismo, dell'imperialismo, dell'oligarchia, sostenendo invece che una delle cause del colpo di stato militare dei 12 settembre erano stati gli scontri tra le organizzazioni di sinistra, come la nostra, e i gruppi fascisti. Il portavoce del PCUS in Turchia aveva dato riconoscimento al sistema e in tribunale, indicandoci, aveva detto: «Non diciamo che non si debbano prendere provvedimenti contro i terroristi. Ci opponiamo però alle esecuzioni e alle torture». Con tali parole e senza vergogna si era rivolto ai fascisti. In sostanza, la posizione assunta da questi individui mostrava chiaramente che essi agivano in base ad una loro paura personale e che stavano cercando di salvarsi da una condanna da parte del tribunale fascista denunciando le proprie attività e con arringhe di difesa in cui dichiaravano di non aver mai pensato alla rivoluzione o che comunque non era stata questa la ragione del loro agire. Questo comportamento aveva alimentato ed incrementato la loro stessa sfiducia, dando origine al rinnegamento ed alla liquidazione delle loro organizzazioni. Il valore storico della nostra condotta rivoluzionaria messa in atto nelle aule dei tribunali diventa palese nel momento in cui la si analizza attentamente dentro il programma politico dell'organizzazione. Le nostre conclusioni si sarebbero dimostrate giuste negli anni a venire. A volte il valore storico dei fatti e degli avvenimenti non viene compreso immediatamente. Coloro che avevano storto il naso e che avevano definito «radicalismo a buon mercato» la nostra linea di condotta rivoluzionaria, ben prima della fine avevano già dato inizio alla propria disgregazione. Da parte nostra avremmo continuato a scrivere la storia. Il dibattito sulla chiarezza ideologica, che avevamo iniziato all'interno del carcere e che mirava a fermare le tendenze revisioniste, doveva proseguire anche all'esterno, per giungere così ad una maggiore azione collettiva. Tuttavia non eravamo riusciti a ottenere una partecipazione dell'esterno e questo si era dimostrato un limite. Ciò poteva accadere anche in altri ambiti. Così, se in un primo momento il materiale pubblicato presentava evidenti ambiguità ideologiche e pensieri più o meno di destra, dopo qualche numero, a seguito dell'intervento dei compagni in carcere, gli errori erano stati corretti; era stata anche dichiarata la guerra al riformismo e ad altre idee di destra. La rivista aveva così cominciato ad adempiere il suo vero compito. Poiché il lavoro collettivo risultava insufficiente anche ad altri livelli, c'era il rischio di considerare soltanto lo sviluppo democratico dei movimenti di massa, dimenticandosi così degli obiettivi strategici o comunque non lavorando abbastanza in questa direzione. Le difficoltà di quella fase - dall'incapacità nella pratica di dirigere, alla scarsa costruzione di nuovi quadri, agli attacchi ideologici provenienti dai diversi fronti - si potevano superare soltanto attraverso un'ampia partecipazione collettiva ed un'azione pianificata, senza mai perdere di vista gli obiettivi strategici. Purtroppo mancava una sufficiente comprensione ed una ferma presa di coscienza delle particolari caratteristiche di quella fase. Ciò aveva dato spazio ad un pensiero unilaterale. In seguito ad un'apertura relativamente democratica del paese -anche se molto debole- ed al nostro lavoro di direzione dei movimenti di massa, erano sorte in diversi ambiti delle organizzazioni democratiche. Gli opportunisti, avendo visto tali sviluppi e nonostante stessero attraversando una grave e ormai cronica crisi ideologica, erano lentamente ritornati alla politica.

I riformisti, perseguendo la strategia del compromesso con il sistema, avevano utilizzato le masse come strumento per raggiungere i propri scopi e per avere il controllo dei movimenti di massa. Noi possedevamo una chiarezza ideologica, cosa che invece mancava agli opportunisti e ai riformisti Essa ci avrebbe guidato verso i movimenti di massa, alla creazione di nuovi quadri, all'organizzazione e al raggiungimento, nei diversi campi, degli obiettivi strategici. In breve tempo avremmo potuto creare un massiccio potenziale di forze. Ma se i compagni all'esterno non avessero anch'essi raggiunto quella chiarezza ideologica, che noi avevamo creato all'interno del carcere grazie alla forte partecipazione di compagni, e se non fossero riusciti a crescere e ad arricchirsi, allora saremmo stati condannati a restare una pura teoria soggettivista. Se l'ideologia non viene fatta vivere in modo programmato e pianificato nella lotta, allora c'è il rischio di deviare dal proprio obiettivo, malgrado l'unità ideologica espressa a parole. Se non si perseguono costantemente gli obiettivi e il programma, se non si discute a sufficienza sui successi come anche sugli errori, se non si trae insegnamento dall'esperienza, se non si verifica e non si fa vivere nella pratica quanto si è appreso, allora è impossibile raggiungere i risultati voluti. E se non si raggiungono i risultati voluti, allora gli errori si ripeteranno e il lavoro svolto subirà un lento ma sicuro declino. Ciò si può prevenire con la critica e l'autocritica aperte, attraverso il dibattito, l'insegnamento che ci viene dalla pratica e dal lavoro collettivo, creando una nuova prassi. Per farlo dobbiamo sapere cosa e come fare, conoscere la realtà esistente, proseguire una condotta che ci renda fiduciosi del nostro ruolo in Turchia e nel mondo, determinati nel campo degli obiettivi strategici. Se anche la più piccola ambiguità e confusione - che sono inevitabili - non vengono immediatamente affrontate, allora, nel momento in cui non si riesce a mettere correttamente in atto il programma, esse porteranno a ricercare pretestuosamente la causa nelle "condizioni oggettive", cosicché gli errori ed i limiti verranno di conseguenza teorizzati. L'energico lavoro programmatico e collettivo e i princìpi e i valori ad esso connessi perderanno di significato, diventando parole vuote e astrazioni. Ovunque si diffonderanno scuse e chiacchiere sulle "condizioni oggettive"; la conquista del potere e il centralismo dell'organizzazione verranno in questo modo cancellati; i responsabili di zona e dei settori - e persino i singoli individui -, ognuno sostenendo di «sapere di più», continueranno a ribadire i propri punti di vista; il popolo rifiuterà la disciplina; l'organizzazione assumerà un'impronta anarchica, portando al caos e alla stasi.

In un paese con caratteristiche particolari come il nostro, la ripresa del processo rivoluzionario non può avvenire all'improvviso, dopo un periodo di silenzio lungo, statico, difficile e senza vita. Una linea di lotta viene perseguita facendo attenzione a questi aspetti: relativamente al movimento di massa c'è un'educazione ideologica; relativamente all'educazione ideologica c'è la costruzione di quadri e dell'organizzazione; relativamente all'organizzazione c'è la crescita lenta ma costante delle azioni. Questa è una fase particolare e perciò dev'essere osservata attentamente; ogni argomento va analizzato scrupolosamente. Per potersi organizzare attorno a un obiettivo strategico, per evitare che gli errori del passato si ripropongano, per eliminare i limiti, è necessario conoscere bene, in tutte le loro caratteristiche, soprattutto i nuovi quadri, ci si deve concentrare sull'obiettivo strategico e sul raggruppamento delle forze per poter avanzare progressivamente. Sono necessarie la conoscenza e la formazione di tutti i quadri, così come il controllo e la pianificazione di tutte le attività come l'approvvigionamento di armi, di munizioni e di altro materiale necessario e la scelta dei luoghi adatti all'addestramento. In questa fase, nel momento in cui ci eravamo staccati ideologicamente, psicologicamente e come organizzazione dai risultati del 12 settembre, erano diventati evidenti gli enormi danni causati dal fascismo. A partire dall'oligarchia, passando per i riformisti e gli opportunisti, fino agli intellettuali piccolo-borghesi, si erano tutti uniti al coro ostile nei confronti delle organizzazioni rivoluzionarie, cercando di trascinare il popolo dalla loro parte per allontanarlo dalla lotta. Questa propaganda era stata così efficace che il popolo era arrivato al punto di svolgere i ruoli più incredibili per rimanere nella legalità, rendendo così continuamente conto di sé all'oligarchia. Questa ossessione, questo atteggiamento che conduce alla pacificazione, era presente anche nelle nostre fila. Alcune persone, spaventate nel corso di qualche operazione di polizia o durante qualche piccola azione armata, avevano cercato di proteggersi abbandonando l'organizzazione, senza avvertirla fino a quando non si sentivano al sicuro. L'operazione dì polizia avvenuta in seguito all'attacco con bombe contro la sede regionale dell'ANAP ad Istanbul nel dicembre 1987 ne era stato un esempio significativo: alcune persone, il cui ruolo era di alta responsabilità, non si erano nemmeno presentate agli appuntamenti e avevano cercato di mettersi in salvo abbandonando l'organizzazione. Possiamo affermare che, eccetto un esiguo numero di persone, nessuno aveva agito con una coscienza di organizzazione e di compagno. Una delle ragioni di tale comportamento risiede nella pacificazione, sorta dal 12 settembre. D'altro canto, il popolo era cosciente di tale realtà, ma non era stata sviluppata e completata una adeguata formazione dei quadri. Alcuni personaggi carismatici, i cui volti erano già ben noti a tutti, avevano collaborato con l'oligarchia, la quale aveva fatto di tutto per soffocare la crescita della lotta rivoluzionaria, diffondendo costantemente a livello legale una contropropaganda nei confronti delle organizzazioni e dei rivoluzionari. Questi personaggi carismatici, invitati a presentarsi presso gli uffici della contropropaganda, usati dalla borghesia per ottenere legittimità, stavano abbandonando una struttura organizzativa piena di rischi. Questa gente, conosciuta per il proprio comportamento dissidente, che cercava di usare l'organizzazione per il proprio tornaconto, voleva essere veramente responsabile di arrivare a un cambiamento della situazione, ossia essi non volevano svolgere alcun compito di un certo rischio. La gravità di questa situazione si sarebbe vista successivamente ed in misura molto maggiore.

 

NOTE

1)       Nel 1938 il governo turco del presidente Atatürk e del primo ministro Demirel aveva soffocato la rivolta dei  Kurdi aleviti, guidati dallo sceicco Riza, nella regione di Dersim, assassinando più di 90.000 Kurdi aleviti.

2)       Il 27 maggio 1980.

3)    A Maras, nel 1978, i fascisti avevano assassinato centinaia di rivoluzionari, democratici e patrioti. La polizia e l'esercito si erano astenuti dall'intervenire.

4)       Il primo numero di Devrimci Sol era stato pubblicato il 30 marzo 1980.

5)       Il 7 luglio 1980 i gruppi fascisti, appoggiati dall'oligarchia, avevano attaccato la sinistra alevita a Çorum al fine di provocare un massacro. Incoraggiato dall'azione di punizione di Gün Sazak, il popolo aveva resistito sulle barricate. I fascisti non erano riusciti ad intimidire il popolo con i massacri.

6)       Il 12 luglio 1980 a Fatsa, città dove la sinistra turca e soprattutto DY avevano un grosso potenziale, la polizia e l'esercito avevano effettuato perquisizioni nelle abitazioni di militanti della sinistra e dei patrioti. La polizia aveva catturato e portato via coloro che erano stati denunciati dai fascisti. Centinaia di persone erano state arrestate e torturate in una fabbrica adibita in modo speciale per quell'occasione. Anche se alcuni avevano resistito, la maggioranza della sinistra si era arresa e l'atteggiamento della sinistra durante l'operazione Fatsa aveva fatto sì che il popolo perdesse fiducia nei rivoluzionari. Un grosso potenziale rivoluzionario era stato tradito.

7)       A partire dal 24 gennaio 1980 il governo aveva cominciato a prendere tutta una serie di provvedimenti, i quali, preparati nel corso del 1979 e resi effettivi in seguito al colpo di stato militare, consistevano in un congelamento dei salari e nella svalutazione della lira. La posizione della borghesia monopolista ne risultava rafforzata. Dopo Il colpo dì stato militare erano stati sorpresi anche tutti i sindacati, eccetto il filogovemativo Türk-Is.

8)       Nel mese di ottobre 1980, poche settimane dopo il colpo di stato di settembre, Dursun Karatas veniva arrestato nel corso di un'operazione di polizia.

 

(traduzione a cura di una prigioniera politica)